I Marmi/Parte prima/Ragionamento primo/Carafulla e Ghetto Pazzi
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Carafulla e Ghetto Pazzi
Carafulla. L’opinion mia è, Ghetto, che pazzo voglia dire zoppo del cervello e cervello a pezzi.
Ghetto. Se tu non hai il cervello storpiato tu e partito in mille parte, non vaglia. Oh tu ti fai strolago! Or vedrò se tu ne sai un buon dato. Come gira il sole?
Carafulla. Il sole non gira, noi giriamo; la terra è quella che si volge: non sai tu che il cielo si chiama fermamento? E quando costor vanno a torno alla terra e’ dicono: — Io ho girato tutta la cosmografia. —
Ghetto. Questo non dice giá frate Alberto del Carmine, che la terra giri, né fra Mauro d’Ogni Santi.
Carafulla. Che sanno eglino che’l ciel giri lui?
Ghetto. Al veder dell’andar del sole che ogni mattina si beva di qua e si nasconde di lá, la luna e le stelle, il dí e la notte.
Carafulla. Odi, Ghetto, lasciami dire. Se la terra stessi ferma, in un súbito la si mescolerebbe con l’acqua, col fuoco e con l’aria, e non durerebbe il mondo; la gira sempre, però giriamo ancóra noi del continuo. Questi palazzi che si fendono da capo a piedi, che i muratori dicano «egli ha fatto un pelo», vien perché è mal fondato; né deriva da altro se non che nel girar che fa la terra talvolta la dá un poco di scossa e le case minacciano rovina. Poi non vedi tu che col tempo ogni cosa dá giú? Dágli dágli, volgi volgi, e’ bisognerebbe bene che la cosa stessi forte nel manico che la non si dimenasse.
Ghetto. Come fa l’acqua nel girare a non si rovesciare, quando ch’è di sopra, all’ingiú tutta?
Carafulla. Togli una secchia in mano per il manico e giratela sopra il capo: non sai tu che la sta ferma che non se ne versa pur una gocciola?
Ghetto. E se colui percotessi punto, se ne versa pure alquanta.
Carafulla. Cotesto è bene la cagione che piove, perché, nel girar la terra, si spande l’acqua, quando la percuote, e si sente ancor il romor della percossa, quel che noi diciamo il tuono; ma la volta è tanto grande che noi non ce ne possiamo avvedere. Quando uno naviga, perché credi tu che egli recia? Non per altro sé non che allora egli è con i piedi in aere ed è forza che getti fuori; onde, infino che uno non è assuefatto, sempre teme lo stare co’ piedi in aere.
Ghetto. Adunque il sole sta sempre fermo, la luna e le stelle, e noi, girando, ritorniamo in quel luogo medesimo?
Carafulla. Messer sí. Il mare, quando cresce e quando scema, non va per altro in su e giú se non per quel dimenarsi che fa la terra in qua e lá, che manda l’acqua ora da un canto e ora da l’altro.
Ghetto. Ora ti credo io, perché i terremuoti son detti, secondo la tua timologia, terra mossa, id est moto che fa la terra: adunque la terra si muove?
Carafulla. Messer sí, la terra gira. Perché credi tu, Ghetto, che i filosofi abbin detto che noi siamo un arbore a rovescio? Non per altro se non perché la maggior parte del tempo noi stiamo a capo di sotto. Non si vede egli che, stando fermo fermo a seder talvolta, egli ci viene un duol di capo per il girare che la fa talvolta piú forte che ’l solito, e chi non ha buon capo sta fresco? I bambini, che non si ferman mai, e i fanciulli, mentre che crescano, è, perché non sono ancóra assuefatti a stare in piedi sopra questa palla della terra.
Ghetto. Dicon bene, i libri della spera, che l’è tonda tonda; e poi l’ho veduta in quei cerchi di scatola che fanno quei giri, quando maestro Nicolò medico del Castellacelo drieto alle case nuove diceva: — Questo è il giamitt, questo è reubarbico, ritropico, abitabilis, inabibilitabilibus . —
Carafulla. Vedi, adunque, che io non ti dico bugie.
Ghetto. Ma egli girava i cerchi e non la palla.
Carafulla. Be’, Ghetto, e’ fanno come i maestri di scrimia: e’ si serbano un colpo per loro e non vogliano che si sappi ogni cosa. Non girava egli la mano dove teneva quella cosa che pare un arcolaio, e la voltava sotto sopra?
Ghetto. Sí.
Carafulla. Allora veniva a girar la terra; e quando egli anaspa con quella mano, toccandola con dir: — Qui è sotto il popolo — e — qui sopra il panerello... —
Ghetto. Come fanno eglino a farle quelle palle di cerchi? Perché n’ho vedute di ottone e di ferro.
Carafulla. Maestro Camillo e Fruosino dalla Volpaia le fanno con l’ancudine e con il martello. Odi quest’altra, se la ti va: quando la terra stessi ferma, non dicano costoro che sotto a noi son gente c’hanno i piedi dove i nostri piedi, per il contrario?
Ghetto. Sí.
Carafulla. Come vorresti tu che gli stessino in piedi? Aspetta che io ci ho meglio da dire. Gli strolaghi vogliono che il sole sia piú grande di tutta la terra piú di dieci miglia e che vadi girando a tornogli in sino a mezzo: o non sarebbe egli lume per tutto?
Ghetto. Io non t’intendo e per me non credo che tu sappi quel che tu ti dica; se non che la sia vera che tu giri e il cervello ti giri anch’egli.
Carafulla. Sí, che il tuo monda nespole! Tu sei pazzo publico. Tu dirai pur che si trova dell’acqua in cima d’una montagna: e la non vi potrebbe giá essere, se la cima del monte, che ti par lá su alto, non fusse di sotto; e, quando e’ si fonda in qualche luogo e non si trova ne’ fondi acqua, è perché quella parte viene a essere di sopra.
Ghetto. Tu debbi avere ora il cervello di sotto, n’è vero? In questo caso, del dire della strologia, tu non vali una crazia, ma, nel dare il significato alle cose che ti son dimandate, tu vali un prato, come dire: «Prezzemolo, chi ti prezza amalo; bombarda, rimbomba, arde e dá», e altre girelle.
Carafulla. Nel guatare che tu fai nell’acqua talvolta, non vedi tu le cose a capo di sotto? E nel far della luna la terra gira allora piú forte assai: però chi è amalato e ha il capo debole non può sopportar quell’aggiramento e gli fa male; chi è poi bene impastato e di buona natura, la passa. Quando ne vien l’invernata, la palla della terra gira sotto un’altra parte del cielo, la primavera un’altra, e cosí di tempo in tempo.
Ghetto. Di’ pur ciò che tu vuoi, e acconciala a tuo modo, ché tutte le cose che tu di’ l’ho per pazzie.
Carafulla. Come vorresti tu che io accordassi lo star ferma la terra in mezzo e che i cieli girassino?
Ghetto. Te lo dirò io: mettiti nel capo una botte grande grande grande, maggior che la maggior botte di Santa Maria nuova, e che la girassi forte forte, e presto presto piú che non fa un rocchetto nel filatoio mille volte, e in questa botte vi fosse una pallottola di legno, come quelle con che si giuoca alle pallottole; la sarebbe forzata a star nel centro di quella botte e non toccar mai in nessun luogo dopo che l’avesse sul principio dato quattro giravolte, perché la violenza di quel moto la terrebbe in aria.
Carafulla. Ah! ah! che cosa da ridere! Il buco del cocchiume poi fosse il sole e quel della cannella la luna, lo spillo quella stella che riluce piú dell’altre, tutta la botte fosse bucata con una lesina che parrebbono stelle. So che tu ne hai detta una di quelle marchiane! La pallottola potrebbe ancóra accostarsi in un canto e non si spiccar mai dalla botte.
Ghetto. No no, tu non intenderesti mai; tu se’ pazzo.
Carafulla. Il meglio ricolga il peggio. Sará bene che noi ci pigliamo per un lembo, ché noi abbián sollevato tutto questo popolo de’ Mármi: andiancene qua drieto al campanile, ed entreremo in casa nostra, e faren la pace con una mezzetta: giri poi il mondo a suo posta, gireremo ancor noi.
Ghetto. Eh, fratello, questo è un aggiramento che ogni uno ne participa la sua parte.