I Caratteri/Prefazione

Goffredo Coppola

Prefazione ../Il filosofo Teofrasto IncludiIntestazione 23 settembre 2023 75% Da definire

Teofrasto - I Caratteri (Antichità)
Traduzione dal greco di Goffredo Coppola (1945)
Il filosofo Teofrasto

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P R E F A Z I O N E


Le mie pagine introduttive e la traduzione dei Caratteri di Teofrasto erano già bell’e pronte per la stampa nel giugno 1943. Avrei soltanto dovuto consegnare il manoscritto a un editore e s’era già progettato di farne un’edizione di pochi esemplari, quand’ecco che intervennero î fatti del luglio e ogni cosa fu messa sottosopra miserevolmente. Ho dunque aspettato in sino a tanto che convenisse pubblicarle in veste più dimessa, come oggi richieggono i tempi, ma tuttavia degna e corretta, e poi ho deciso di affidarle alle attente cure dell’amico Krimer affinché le accogliesse nelle collezioni Mondadori e le divulgasse fra gli studiosi dell’antico e del moderno, apparendo i Caratteri del filosofo ateniese altrettanto antichi che modernissimi e altrettanto greci che italiani...

Dirò per altro che mentre correggevo le bozze mi si è offerta l’occasione di notare che monsignor Giovanni Della Casa dovesse conoscere e apprezzare i Caratteri, e che li leggesse con tanta attenzione da conservare chiarissimo ricordo di cotal lettura nel suo Galateo, in quei passi soprattutto dov’egli descrive la poca leggiadria che taluni mettono in camminare o in mangiare, o in fare questa o quella delle cose che noi uomini sogliamo e dobbiamo fare giornalmente. Ond’è ch’io ho reputato necessario trascrivere dal Galateo alcune descrizioni che non tanto ci richiamano a un determinato carattere teofrasteo, quanto [p. x modifica]alla maniera del filosofo greco, segno evidente che monsignor Della Casa aveva letto con grande interesse l’opuscolo di Teofrasto.

«E, in camminando, troppo dimenarsi disconviene. Nè le mani si vogliono tenere spenzoloni, né scagliare le braccia, né gittarle, sicchè paia che l’uom semini le biade nel campo; né affisare gli occhi altrui nel viso, come se egli vi avesse alcuna maraviglia. Sono alcuni che in andando levano il piè tanto alto come cavallo che abbia lo spavento, e pare che tirino le gambe fuori d’uno staio; altri percuote il piede in terra sì forte che poco maggiore è il romore delle carra; tale gitta l’uno de’ piedi in fuori e tale brandisce la gamba. Chi si china ad ogni passo a tirar su le calze e chi scuote le groppe e pavoneggiasi, le quali cose spiacciono non come molto ma come poco avvenenti... Non si vuol medesimamente comparire con la cuffia della notte in capo, né allacciarsi anco le calze in presenza della gente. Sono alcuni che hanno per vezzo di torcer tratto tratto la bocca o gli occhi o di gonfiar le gote o di fare col viso simili atti sconci...»

Io non starò qui a confrontare i passi teofrastei che potrebbero avere ispirato monsignor Della Casa in così vivaci descrizioni, ma ognuno saprà avvertire leggendo Teofrasto che quel «brandir la gamba» e quel «gittar le braccia sicchè paia che l’uom semini le biade nel campo» e molte altre ancora sono immagini in tutto degne di Teofrasto. Non starò neppure a riprodurre un passo del Galateo, nel capitolo 47, dove si accenna a «coloro che altro non hanno in bocca giammai che i loro bambini e la donna e la balia loro: Il fanciullo mio mi fece iersera tanto ridere, e Voi non vedeste mai il più dolce figliuolo di Momo mio, e La donna mia è cotale, lo credereste del cervello ch’ell’ha...; ma si devo aggiungere che monsignor Della Casa prese per autentica perfino la prefazione bizantina e ne compose per il suo libriccino una tutt’affatto simile, [p. xi modifica]immaginando perfino d’esser vecchio egli che morì appena cinquantenne, appunto perché la prefazione non autentica dei Caratteri appare redatta da un Teofrasto novantenne. State a sentire:

«Conciossiaché tu incominci pur ora quel viaggio del quale io ho la maggior parte siccome tu vedi fornito, cioè questa vita mortale, amandoti io assai come io fo, ho proposto meco medesimo di venirti mostrando quando un luogo e quando un altro, dove io, come colui che gli ho sperimentati, temo che tu camminando per essa possi agevolmente o cadere o come che sia errare...». Che sono poi le parole di dedica al signor Galateo, e ramonentano assai da vicino quelle che Teofrasto nella presunta sua dedica a Pólicle avrebbe premesso ai Caratteri. A meno che non sia autentica la prefazione dei Caratteri, e Teofrasto, come monsignor Della Casa fece più tardi, abbia immaginato anche lui d’esser vecchio, assai vecchio, e d’avere pressoché fornito la maggior parte di sua vita mortale.

I Caratteri di Teofrasto sono così freschi di verità che, potremmo ripetere con Giacomo Leopardi, di farne un’edizioncina elegante traducendoli dal greco in puro e buono italiano, è venuto in mente anche a noi, oggi, dopo aver letto le traduzioni fin qui pubblicate: le quali assai di rado raccolgono in così poche parole com'è il greco la vivace dovizia dei modi e locuzioni teofrastee, e di rado sono fedeli quanto la diversa indole delle due lingue italiana e greca comporta; ma, o suonano sciocchissime e insulse, come quelle già note al Leopardi, o troppo preziose per lo stile ostentatamente toscano o romanesco, come le più recenti. «Il libro è affatto del tempo presente» soggiungeva Leopardi; e noi faremo nostre anche queste sue parole, essendo l’operetta teofrastea tuttora feconda di nuovi e forse necessari insegnamenti, e non apparendo in nessun modo oziosa la nostra fatica di traduttori e di interpreti sebbene condotta con minore infendimento, al certo, che non avesse Leopardi e della miglior lingua parlata e della scritta migliore. [p. xii modifica]

Abbiamo pertanto deciso di novamente tradurre Teofrasto, questo Teofrasto dei Caratteri che reca da testimone verecondo e accorato gli esempi dell’indole umana, e li rappresenta al proprio pensiero e all’altrui con fedeltà evidente ma non insultante. insultante. E, a meglio chiarirne il pensiero e l’arte, abbiamo premesso tre capitoli intorno alla sua vita e alla fortuna del suo libricino, che forse non appariranno inutili neppur essi ai nostri lettori, se è vero che noi li abbiamo scritti con molta limpidezza evitando di cadere nei facili peccati del filologismo. E però anche le note che accompagnano la traduzione sono sobrie, brevi, pacate: e, oserei dire, degne del libriccino che dal filosofo di Ereso fu armoniosamente redatto e pubblicato tre secoli prima dell’era cristiana.

G. C.


Dicembre 1944-XXIII