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Atto V
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viii

I BERNARDI

Secondo il Mazzuchelli, questa commedia di Francesco D’Ambra sarebbe stata pubblicata due volte dai Giunti di Firenze: nel 1563 e nel 1564. Ma 1della supposta prima edizione del 1563 tacciono affatto tutti gli altri bibliografia2; e, alcuni anni fa, negò recisamente l’esistenza Emilio De Benedetti3: sicché è da credere che il Mazzuchelli sia stato tratto in errore dalla lettera di dedica di Frosino Lapini a Claudio Saracini che è premessa alla stampa del 1564 e che ha la data «Di Fiorenza alli xx. di Gen. mdlxiii». 4 Comunque, i Bernardi uscirono in luce, dopo la morte dell’autore, per le cure del suo amico Lapini che giá, poco innanzi, aveva pubblicato l’altra sua commedia intitolata II furto. E, d’allora in poi, non ebbero che due successive ristampe: la prima, a Firenze, nel 1750, «copiata fedelmente», com’è detto sul frontespizio, [p. 464 modifica]«dall’edizione de’ Giunti del 1564»;5 e la seconda, a Trieste, nel 1858, derivante pur essa dalla giuntina6pongo a fondamento di questa mia nuova edizione il codice Magliabechiano 11. vm. 29: nel quale la commedia è preceduta da una lettera di dedica del D’Ambra a Cosimo de’ Medici, che fu sostituita, nella stampa dei Giunti, da quella, già ricordata, di Frosino Lapini al Saracini; e nel quale è lecito riconoscere, se non con certezza, almeno con probabilità, l’esemplare stesso offerto dall’autore al duca mediceo7. Scritto in caratteri calligrafici, con molta cura e con una tal quale sobria eleganza, questo codice è quasi sempre corretto; e le non molte negligenze che pur vi si trovano, e di cui sarebbe superfluo dar qui precisa informazione, si correggono facilmente o col proprio giudizio o mediante il confronto con la stampa fiorentina del 15648. Un solo punto, per il quale seguo la stampa allontanandomi dal codice, deve essere esattamente rilevato e chiarito. [p. 465 modifica]

L’atto quarto termina, secondo il manoscritto ’Magliabechiano, con la scena nona (dialogo fra Albizo e Bolognino) e propriamente con le parole di Bolognino «Andiam, ch’orma’ presto l’arete in braccio». Invece, secondo l’edizione dei Giunti, questa medesima scena, che è però ivi la decima e non la nona,9, ha, dopo il verso ora citato, altri sei versi; ed è poi seguita da un’altra non breve scena (dialogo fra Aldabella, Albizo e Bolognino) con la quale veramente l’atto si chiude. Ora, a una dimenticanza dell’amanuense del Magliabechiano, che, nel trascrivere il proprio originale, saltasse via distrattamente gli ultimi sei versi della nona (o decima) scena e tutt’intera la scena decima (o undicesima), non si può pensare in nessun modo;10 ma neppure si può pensare, fino a prova in contrario, che Frosino Lapini, pubblicando l’opera dell’amico, prolungasse di sua propria testa una scena e tutta un’altra scena aggiungesse. Piuttosto sarà da ammettere una doppia redazione della commedia e saran da formulare due ipotesi ugualmente ragionevoli e possibili: o che il D’Ambra medesimo sopprimesse, come non necessario allo svolgimento e all’intelligenza della favola, il dialogo, precedentemente scritto, [p. 466 modifica]fra Aldabella, Albizo e Bolognino (e quindi anche i sei versi che lo ricollegavano alPanterior dialogo fra Bolognino e Albizo); o che, al contrario, lo immaginasse, e lo inserisse in séguito nell’opera propria, come opportuno a meglio lumeggiare la figura losca della mezzana. In questa incertezza, non possedendo nessun dato di fatto che giovi a determinare quale sia la forma definitiva voluta dall’autore, ho seguito, si, come già dissi, per tutta la commedia, il testo del codice anziché quello della stampa; ma ho creduto doveroso, per il caso particolare di cui qui si discorre, attenermi alla seconda e discostarmi dal primo, conservando gli ultimi sei versi della scena nona e tutta la decima. Il sopprimere quelli e questa, solo perché mancanti nel codice Magliabechiano, se avrebbe potuto corrispondere ad una felice intuizione della verità, avrebbe anche potuto essere un grave e pericoloso arbitrio.

  1. Scrittori d’Italia, voi. i, parte 2, p. 602.
  2. Ved. Allacci, Drammaturgia, 144 e 851; Quadrio, Storia, voi in, parte 2, p. 71; Fontanini - Zeno, Biblioteca, 1, 426; Haym, Biblioteca, 11, 162; Brunet, Manuel, 1, 226; Graesse, Trésor, 1, 98; L. Razzolini e! A. Bacchi della Lega, Bibliografia dei testi di lingua a stampa citati dagli accademici della Crusca, Bologna, Romagnoli, 1878, pp. 20 e 346; Salvioli, Bibliografia, 1, 524-25.
  3. La vita e le opere di Francesco D’Ambra, Firenze, Ufficio della «Rassegna nazionale», 1899, p. 28.
  4. Egli pensò, probabilmente, che, se questa lettera è del 1563, dovè, dunque, accompagnarsi ad un’edizione dello stesso anno: dalla quale sarebbe poi stata riprodotta nell’edizione successiva del 1564. Ma il Lapini avrá seguito lo stile fiorentino; € lo stampatore (sempre secondo lo stile fiorentino) avrá apposto al libro, come anche oggi accade frequentemente, la data del nuovo anno che stava per cominciare: sicché, in sostanza, le due date 1563 e 1564 finiscono coli’ identificarsi.
  5. Si trova nel voi. v del Teatro comico fiorentino, Firenze, 1750. Curioso indice della bigotteria che imperversò cosi lungamente, in Toscana e altrove, dopo la controriforma è la soppressione di alcune parole (quelle da me chiuse fra parentesi quadre) nei seguenti luoghi delle scene 6 e 7 dell’a. v: «Oimè! oimè! [Gesù 1] l’spirito. | Come può star questa cosa? [In nomine | Patris et Fili] Certo quest’è opera»; «tener la casa tua? Vo’ ch’ai [vicario | dell’arcivescovo] andiamo, e poniamoli»; «E che vuo’ tu che faccia in ciò ’1 [vicario?]»; «Ah! Tu di’ ben; egli è ver. Se et giudica | [i preti e’ frati, che peggio che diavoli] | sono» ecc.
  6. Si trova nel volume, di cui già feci parola a proposito deWAridosia, intitolato Il teatro classico del secolo XVI, Milano, presso l’Ufficio generale ecc. Che quest’edizione provenga direttamente dalla stampa del 1564 è dimostrato dal non trovarvisi le goffe lacune delle scene 6 e 7 dell’a. v che deturpano la posteriore stampa del 1750 e che ho notate qui sopra.
  7. . Io Sulla sesta delle carte bianche che precedono il testo della commedia è quest’avvertenza manoscritta: «Ambra (Francesco d’) i Bernar-! di Commedia in versi sdruccioli. Cod. in 4. chart. foli. 07. cum epistola nun- eupatorio ad Cosmum I. cui hoc ipsum exemplar nitide scriptum oblatum fuisse videtur ab auctare. Edita fuit anno 1364. In typographia Iunctarum. Fuit | Cosmi I. M. E. £>„ fut videtur) cui inscri- pta fuit, et haeredum. Antonii Magliabechii, qui cod. ex Palati- na Magnorum Ducum Bibliotheca | f orlasse obtinuit». Non so di chi sia tale avvertenza; ma la congettura che vi si esprime pare a me ragionevolissima, come già parve anche al De Benedetti, op. cit., p. 30. Il quale De Benedetti pubblicò, dal cod. Magliabechiano, la dedicatoria del D’Ambra (pp. 30-32) e il prologo (pp. 33-35): facendo seguire quest’ultimo dal testo del prologo stesso secondo la stampa del 1564.
  8. Ricavo, ad es., da quest’edizione (il cui titolo è: I Bernardi Comedia di M. Francesco D’Ambra Cittadino, & Accademico Fiorentino. Nuovamente data in luce. | Con privilegio. In Fiorenza appresso i Giunti. MDLXIIII [in fine: In Fiorenza per Bartolomeo Sermartelli, MDLXIIII. A stanza delti heredi di Bernardo de Giunti]) l’elenco dei personaggi, che nel codice manca. Solo vi introduco alcune modificazioni richieste dalle diverse forme che il codice offre nel testo della commedia; e scrivo «Bisdomini» invece di «Visdomini», «Piro» invece di «Pietro» ecc.
  9. Tale diversità di numerazione deriva da ciò: che, nel codice (e, per conseguenza, in questa nostra ristampa), la se. 6 dell’a. iv comprende cosi il monologo di Fazio come il suo dialogo successivo con Bolognino e i due facchini; mentre, nell’edizione dei Giunti, il dialogo e il monologo formano due scene separate e distinte (la 6», che si chiude con le parole di Fazio «Egli è desso. Che disegno | fa costui?», e la 7», che si apre con le parole di Bolognino «Or siam a casa. Muovetevi»). Quindi accadde che il numero d’ordine di ciascuna delle scene seguenti si accrescesse, nella stampa fiorentina, d’un’unità.
  10. Di altri due codici dei Bernardi, che furon già additati dal De Benedetti e intorno ai quali ha avuto la cortesia di comunicarmi alcune notizie il cav. Carlo Nardini, uno, il Riccardiano 2818, offeso da gravissime mutilazioni, contiene, solo in parte, il primo atto ed il terzo; l’altro, il Riccardiano 2970, ov’è contenuta l’intera commedia in prosa, concorda col Magliabechiano, poiché, in esso, l’atto quarto termina colla scena decima (la numerazione è, dunque, conforme a quella della stampa giuntina) e precisamente colle parole «Andiamo che presto homai l’haverete in braccio». Di questa redazione prosastica il De Benedetti pensa che non ci rappresenti la prima stesura dei Bernardi ma sia stata fatta, per servire ad una qualche recita, da chi «aveva dinanzi il testo in versi, e veniva copiandolo senza cambiare nulla, fuorché qua e là l’ordine delle parole» (op. cit., p. 39).