Guerino detto il Meschino/Capitolo XXIX

Capitolo XXIX

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CAPITOLO XXIX.


Come il Meschino uscì dalla porta della Fata, o tornò per la caverna, dove dormì e poscia uscì fuori.


L
a damigella rinserrò la porta dopo parlato, e il Meschino fatta l’orazione entrò in cammino per le oscure tenebre, e quando gli parve esser dove trovò Macco, cominciò a gridare: «Gesù Nazareno fammi salvo!» Poi chiamò Macco ad alta voce dicendo: «Io me ne vado». Allora sentì urlare e muggire più di cento per dolore ch’ebbero ch’ei se ne andasse. Egli si fermò, e chiamò ancora Macco il quale rispose dicendo: — Che dimandi tu?» E il Meschino disse: — O Macco, ritorno a vedere la tua città; che novelle vuoi tu ch’io rechi di te?» Ei rispose: — Non dir nè bene nè male;» dimandogli poi il Meschino s’egli aveva speranza di partirsi da quel luogo, e rispose: — Il dì del giudizio ci partiremo pieni di dolore ed afflitti, perchè in questo luogo non aspettiamo se non la seconda morte». Disse Guerino: — Adunque tu sei morto, se tu aspetti la seconda morte». Rispose: — Io non sono morto, ma sono molto peggio, considerando dov’io sono per il peccato d’accidia e di pigrizia». Dette queste parole si percosse in terra, e così facevan molti altri ch’erano in questo medesimo luogo per simili peccati. Il Meschino disse: — Perchè non vi uccidete l’un l’altro, per uscire da questo tenebroso luogo?». Rispose: — La morte ci sarebbe [p. 254 modifica]vita, ma non possiamo perchè il Divino Giudice vuole che noi siamo così sino che verrà a giudicare il mondo, e che le trombe suoneranno e grideranno: Venite al giudizio. Allora ne sarà tolta la vita naturale, e risuscitati andremo al giudizio». Allora dimandò Guerino: — Avete voi niun amor di Dio, o di voi o di qualche altra cosa creata?» Rispose Macco: — Niun amore regnerà in noi, anzi porteremo odio e invidia sino ai brutti vermi, e non è niuna cosa al mondo così brutta, la quale noi non vorremmo più presto essere, che qui in questo luogo; or pensa se noi portiamo invidia ad altre cose più belle, e quanta invidia porto a te, pensando che tu hai cercato il mondo, e ti sei con tanta virtù affaticato, e quanta allegrezza io proverei se tu fossi rimaso qui dentro con la Fata, e dopo fatte tante battaglie che una vil femmina piena d’iniquità ti avesse vinto! Sappi che per la tornata che tu fai indietro, mi dai tanto dolore e accrescimento d’ira, che mi raddoppia il pianto». Allora il Meschino si cominciò a far beffe di lui, e molti altri cominciarono a dire: — Il giudice che ne ha giudicati in questo luogo è così grande, che della sentenza non si può appellare, e noi non curiamo di essere abbandonati, perchè non possiamo aver peggio di quello che abbiamo». Il Meschino rispose: — E così maledetti rimanete!» e prese il suo cammino, e quando passò il fiumicello tutti gridavano: — Va, che tu non possa mai ritrovare il padre e la madre tua, nè la tua generazione». Ei se ne rise perchè tanto gli potevano nuocer le loro bestemmie, quanto potevano giovar loro le sue orazioni, se il divino Giudice già li aveva giudicati. Montò sopra della caverna per le tenebre, ed in capo di quella salita gli mancò la prima candela, per la qual cosa egli subito accese l’altra.

Veramente non si potrebbe dire quant’era l’oscurità e le tenebre di quell’oscura caverna fatta per la rottura dei sassi, e per certi rovinamenti. Dov’era largo, dov’era stretto, ed era forata tutta questa montagna, ed andava or in qua or in là, e molte volte conobbe il Meschino ch’era tornato indietro dov’era passato, e la sua maggior paura era che la candela si consumasse, stimando che se il lume gli mancava, ei fosse per certo perduto. Nè gli valeva forza d’amore nè d’ingegno; ma solo la speranza di Dio e l’orazione, cioè il chiamare Gesù Cristo Nazareno, era la sua difesa, [p. 255 modifica]cantando: Deus exaudi oratinem meum etc. Deus in nomine tuo salvum me fac etc. Miserere mei Deus. Dicendo quest’orazione trovò l’uscita e la bocca dov’era entrato, e allora venne meno l’altra candela, e rimase, all’oscuro, sicchè non poteva conoscere il luogo, ma si confortava perch’ei vedeva il cielo stellato, e vedeva per l’ombra delle montagne le due ale del dragone dove ei passò entrando. Così egli stette sino al giorno chiaro, e dormì un poco, e stimò essere uscito dalla caverna nella mezzanotte, avendo penato, dall’ora ch’egli uscì dalla porta della Fata insino all’ora che uscì dalla caverna, dodici ore. Quando venne il dì chiaro provava da sè medesimo quanto era andato volgendo per quell’oscuro laberinto fatto d’essa montagna. Riconosciuta alla luce del dì la caverna donde uscì e dov’era, rendè grazie a Dio, disse i sette Salmi Penitenziali, raccomandossi a Dio, e prese il suo cammino fra le due ale del dragone, e andando tra molte gran pietre rovinate in quell’antro, cominciò a ritrovare la via. E quando giunse alla coda del dragone, cominciò a vedere il romitorio nel quale aveva lasciato Anuello ed i tre romiti, e cominciò a venire in giù, e fugli maggiore fatica il discendere che non fu il salire, e però tanto stette a discendere quella coda del dragone, che, il sole passato le parti australi, già declinava a Garbino. Quando giunse appresso al romitorio circa cento braccia vide venire verso lui sei persone, cioè i tre romiti, Anuello e due suoi servi. E giunto Guerino a loro, i romiti molto laudavano Dio che lo aveva fatto ritornare, tutti l’abbracciarono, e così Anuello, e andarono nel romitorio a riposarsi perchè egli era stanco.