Gli orrori della Siberia/Capitolo XIX – L'orgia dei cosacchi

Capitolo XIX – L’orgia dei cosacchi

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Capitolo XIX – L’orgia dei cosacchi
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Capitolo XIX – L’orgia dei cosacchi


Mentre il maresciallo faceva onore alla tavola, con crescente appetito, mangiando e bevendo a crepapelle, ed i cosacchi, seduti attorno alla stufa, tracannavano i grandi bicchieri di ginepro che Dimitri e l’jemskik riempivano senza risparmio, la giovane donna non staccava gli sguardi dal formidabile commensale, come se volesse accertarsi dei progressi che faceva l’alcool su quell’orso del Don.

Il maresciallo doveva essere un fortissimo bevitore, però cominciava a dare segni non dubbi d’una non lontana ubriachezza. Vuotata la prima bottiglia, aveva decapitata la seconda e non cessava dal riempirsi la tazza, brindando senza posa ai begli occhi della supposta francese, al gran padre lo czar, e perfino ai lupi che gli avevano procurata quella bella serata, in compagnia d’una così munifica signora.

I suoi occhi a poco a poco si accendevano, mentre la sua faccia da vecchio orso, diventava rossa come se tutto il sangue dal cuore gli affluisse al capo. Rimpinzatosi al punto da scoppiare, aveva accesa una pipa monumentale ed ora fumava come una locomotiva, bagnandosi senza posa l’ugola.

Anche i suoi soldati minacciavano, da un momento all’altro, di rotolare addosso alla stufa. Le quattro bottiglie di ginepro erano ormai state vuotate, e l’jemskik, ad un ordine di Dimitri, ne aveva portate altre quattro, l’ultima riserva, ma anche la migliore, poiché erano ripiene di wiskey.

La comparsa di quelle nuove bottiglie fu salutata da un urrah, così fragoroso, da far zittire di colpo le urla dei lupi. Il maresciallo ne reclamò una per sé, quantunque non fosse riuscito a vuotare ancora la seconda ripiena di rhum e si trovasse già in tale stato, da non potersi più mantenere diritto.

– Signora, voi volete farci passare una serata così deliziosa che rimarrà memorabile, parola d’onore, – disse l’ebbro, soffiando e sbuffando come una foca. – Vi giuro che non ho mai trovato una signora così gentile e così generosa. Già... le francesi!... Le più amabili donne del mondo... Signora, alla vostra salute!... Viva la Francia!... Ed evviva alle francesi!...

Aveva decapitata anche la terza bottiglia per assaggiare quel liquore che giurava di non aver mai bevuto.

– Eccellente, signora!... – esclamò, dopo d’aver tracannata la tazza. – Il gran padre non deve berne di così squisito!...

– Lo credo, – rispose la giovane donna, ridendo. – Me lo ha regalato un milionario americano che ho conosciuto a Pietroburgo.

– A Pietroburgo!... Siete stata adunque a Pietroburgo?

– Certamente, maresciallo.

– E non vi siete fatta dare la podarosnaia... male, malissimo... ma no, perdonate, sono una gran bestia perché, se aveste avuto la carta imperiale, non avrei avuto il piacere di dare tanti baci a queste deliziose bottiglie.

– Però avrei potuto continuare il viaggio.

– E chi v’impedirà di continuarlo?... Quando sarete giunta a Irkutsk marcerete direttamente verso il nord.

– Perderò parecchi giorni.

– Li guadagnerete facendo correre di più i cavalli. Mi rincresce di non potervi lasciare libera, ma se lo facessi e si venisse a saperlo, mi si manderebbe diritto alle miniere.

– Chi volete che vada a dirlo al governatore?

– Chi?... Sono capaci di farlo anche i miei soldati, pur di guadagnare qualche decina di rubli. Io li sorveglio loro, ed essi sorvegliano me.

– Maresciallo, un altro bicchiere.

– Per tutti i lupi del Don!... Voi siete sempre gentile, mia signora. Sì, un altro bicchiere di questo delizioso fuoco che divora la gola, due, dieci, cento!... Ne berrei delle botti!...

Già completamente ebbro, invece di prendere il bicchiere afferrò la bottiglia, ed a rischio di tagliarsi la lingua, se la portò alle labbra, bevendo a garganella.

Quando la depose si rovesciò sullo schienale della sedia, come se fosse stato fulminato. I suoi sguardi, inebetiti, semi-spenti, si tenevano però ostinatamente fissi sulla giovane donna.

– Cosa avete? – gli chiese questa.

– Io non so... mi pare che la stanza giri e che la stufa... bruci tutta... – balbettò il maresciallo. – Il vostro liquore... è eccellente... ma taglia le gambe e...

– Cosa volete dire.

– Che... se non posso muovermi... voi potete fuggire...

– Non udite al di fuori i lupi?...

– Sì... i lupi... gli orsi... i leoni... gli elefanti... tutti che hanno fame... che hanno sete... sete... sete... dammi da bere... mia piccola colomba... brucio...

– Dormite, maresciallo; credo che facciano altrettanto anche i vostri uomini.

– I miei... uomini... dormono... canaglie... dormono...

Facendo uno sforzo, girò la testa verso la stufa e vide i suoi quattro soldati a terra, stesi l’uno sull’altro. Quei poveri diavoli, pieni come otri, russavano con tal fragore da far tremare le pareti.

Vedendo a terra i suoi uomini, il cosacco ebbe un istante di lucidità. Solo in quel momento aveva compreso per quale motivo la viaggiatrice aveva messo, così generosamente, le sue provviste a disposizione dei soldati.

Quantunque avesse il cervello annebbiato, aveva indovinato lo scopo.

– All’armi!... – urlò – Ci scappano!...

La giovane donna si era alzata, tenendo in pugno una rivoltella, che aveva rapidamente estratta dalla sua borsetta da viaggio.

– Non muoverti o ti uccido, – disse, con accento risoluto, puntandola contro l’ubriaco.

Questi aveva portato la destra alla guardia della sciabola ed aveva cercato d’alzarsi, per contrastare il passo alla prigioniera. D’improvviso però si trovò di fronte a Dimitri.

Il polacco non era giovane, avendo già varcata la cinquantina, però era ancora un uomo d’una robustezza eccezionale, con braccia muscolose ed un petto da gorilla.

Senza pronunciare una parola, alzò il pugno destro e lo lasciò cadere con tutta forza sul cranio del maresciallo. Questi ripiombò sulla sua sedia, poi stramazzò a terra, come se fosse stato accoppato.

– Dimitri!... – esclamò la giovane donna.

– Non temete, Maria Federowna, – disse il polacco. – Non è il mio pugno che l’ha addormentato, bensì quell’eccellente wiskey che gli ha dato il colpo di grazia. Fra ventiquattr’ore questo bruto sarà più lesto di prima.

– Fuggiamo, Dimitri. È necessario gettarci subito fuori della via imperiale, poiché appena questi uomini si sveglieranno ci daranno la caccia.

– Si sveglieranno, furiosi di essersi lasciati così grossolanamente corbellare, signora.

– Abbiamo fatto male a seguire la Wladimirka. Se avessimo attraversata sempre la steppa non avremmo fatto questo incontro.

– Bah!... Quando vorranno inseguirci, noi saremo lontani, padrona.

– Potremo metterci subito in viaggio?

– L’jemskik è andato a vedere se la via è sgombra.

– Che vi siano ancora molti lupi?...

– Lo temo, signora.

– Saremo forse costretti ad attendere?...

– Fino all’alba; appena spunta il sole, quei predoni a quattro gambe riguadagneranno la folta pineta.

– Questo ritardo m’inquieta, Dimitri, – disse la giovane donna, con un sospiro. – Vorrei già essere alle miniere ad abbracciarlo. Povero fratello mio!... Chissà in quale stato lo troverò.

– Non pensate a lui, padrona; voi vi commovete troppo.

– Non posso farne a meno, mio buon Dimitri. Mi sembra che sia trascorso un secolo, da quella notte fatale che vennero a strapparlo dalla nostra casa.

– Tacete, signora, od il vostro vecchio Dimitri piangerà dinanzi a voi.

In quell’istante rientrò l’jemskik. Quel cocchiere era un giovanotto di venticinque o ventisei anni, alto, robusto, dalla pelle quasi diafana, i capelli biondi e gli occhi azzurri; un vero tipo di slavo delle regioni settentrionali.

– Signora, – disse, – è impossibile partire.

– I lupi hanno assediato forse la tappa? – chiese la giovane donna, facendo un gesto d’impazienza.

– L’hanno circondata, e per di più nevica sempre ed il vento spazza la steppa.

– Non credi possibile che si possano forzare le loro linee?...

– Sono almeno duecento, signora; appena usciremo si getteranno addosso ai cavalli.

– Eppure bisogna partire. Questi uomini possono svegliarsi.

– Non è questo il pericolo che dobbiamo temere, – disse Dimitri.

– Quale adunque? – chiese la giovane.

– Ieri sera, prima di lasciare Nisne-Udinsk, mi hanno detto che attendevano una colonna di forzati, e temo che possa giungere qui qualche scorta per preparare il posto a quei miseri.

– Ragione di più per fuggire subito, Dimitri.

– Se volete tentare la morte, fatelo, signora, – disse l’jemskik. – Se lo desiderate, io vado ad attaccare i cavalli.

– No, aspetta, – disse ad un tratto Dimitri. – Forse possiamo uscire senza correre il pericolo di venire assaliti. Ciò avverrà forse più tardi, ma quando i nostri cavalli sono in corsa, possono gareggiare con quei famelici animali.

– In quale modo? Spicciati, Dimitri, – disse Maria Federowna. – Tu sai che io non ho paura e che sono decisa a tutto.

– Vi sono i cavalli di questi uomini nella scuderia, è vero Fedor?...

– Sì, – rispose l’jemskik – Ve ne sono cinque.

– Sono più che sufficienti, – disse il polacco, stropicciandosi allegramente le mani. – Faranno correre i lupi e noi approfitteremo per prendere il largo.

– Che cosa vuoi fare, adunque? – chiese la giovane.

– Venite, padrona, – rispose invece Dimitri.

Uscirono dalla stanza, dopo di essersi accertati che i cinque cosacchi dormivano profondamente, ed attraversato un corridoio, giunsero in un camerone lurido, oscuro, fetente: il carcere destinato alle colonne dei forzati.

In assenza dei prigionieri, i cosacchi vi avevano messo i loro cavalli, cinque brutti animali, piccoli, villosi come orsi, magri al punto da temere che da un momento all’altro le ossa forassero la pelle.

All’altra estremità, verso la porta d’ingresso, si trovava invece la troika. I tre magnifici sauri erano stati già attaccati dall’jemskik e scalpitavano e sbuffavano, udendo le urla dei lupi.

– Che brutti cavalli, – disse la giovane, accostandosi a quelli dei cosacchi.

– Non sono davvero belli, padrona, – disse Dimitri, – pure sono degli animali che posseggono dei garetti solidi e che galoppano quanto i nostri fra le nevi della steppa.

– Che cosa vuoi fare di essi?...

– Non avete capita la mia idea?...

– Non ancora, Dimitri.

– I lupi sono lì, pronti a gettarsi su di noi, appena usciremo.

– Li odo mordere perfino le tavole della porta.

– Bene: invece di uscire noi, manderemo avanti un paio di cavalli dei cosacchi.

– E i lupi li mangeranno.

– Non così presto, signora. Quando si troveranno fra i carnivori, fuggiranno e si trarranno dietro quei dannati urlatori.

– Finiranno però per venire raggiunti e divorati.

– Certamente, ma cosa importa?...

– Poveri animali!...

– Meglio loro che noi, padrona. Tenete pronte le armi, e tu, Fedor, aiutami.

– Non entreranno i lupi? – chiese Maria.

– Li faremo indietreggiare, padrona.

– Che cosa devo fare, Dimitri? – chiese l’jemskik.

– Imitarmi, e nient’altro.

Il polacco staccò uno dei cavalli e lo condusse dietro la porta, dopo però d’aver fatto indietreggiare quelli della troika. L’jemskik ne aveva condotto un altro.

I due poveri animali, come se avessero indovinato a quale atroce supplizio li destinavano, avevano cercato di opporre resistenza, impennandosi, nitrendo e sferrando calci. Udendo le urla sinistre dei carnivori, i quali si erano raggruppati dinanzi al portone della tappa, tremavano, mentre il lungo pelame si rizzava e s’accartocciava.

– Padrona, – disse Dimitri, – avete il fucile in mano?...

– Sì, – rispose la giovane donna.

– Badate! È probabile che qualche lupo entri.

– Son pronta a riceverlo.

– Fedor, stacca un fanale dalla troika.

– È fatto, Dimitri, – rispose l’jemskik.

– Dammelo, e tieni stretti i due cavalli per le narici.

– Non mi sfuggono.

– Attenzione!... Lascio cadere la barra!...

Depose a terra il fanale, e con una vigorosa spinta fece balzare al suolo la pesante e grossa traversa di legno che assicurava la porta, poi tirò i due catenacci e fece scattare il chiavistello.

I lupi, sospettando che gli uomini della tappa si preparassero ad uscire, raddoppiarono le urla. Alcune zampe passarono fra la fessura inferiore, grattando furiosamente il suolo.

– Bada che non ti sfuggano!... – gridò Dimitri, vedendo i cavalli impennarsi.

– Aprite, rispose l’jemskik che stringeva fortemente le nari dei due poveri animali.

I due battenti in un baleno s’aprirono, e Dimitri proiettò al di fuori la luce del fanale. Come si sa, i lupi, al pari di quasi tutte le bestie feroci, temono la luce; vedendo quegli sprazzi luminosi, allungarsi bruscamente innanzi alla tappa, rincularono precipitosamente, ululando.

Quel momento bastò! L’jemskik aveva lasciati andare i due cavalli, mentre la giovane donna, per spaventarli, scaricava dietro di loro il fucile.

I poveri animali, assordati dalle urla del polacco e dell’jemskik e dagli ululati, fecero un balzo innanzi, varcando le prime linee dei carnivori, poi si slanciarono all’impazzata sulla bianca pianura, filando come due meteore.

I lupi, vedendo le prede fuggire, s’erano slanciati dietro di esse ululando spaventosamente. Bastarono pochi istanti perché cavalli e carnivori scomparissero in mezzo ai turbini di neve che un vento gelido del settentrione sollevava impetuosamente in grandi ondate.

Dimitri, l’jemskik e la giovane donna erano rimasti sulla porta, porgendo ascolto agli ululati che si allontanavano verso il nord.

– Presto, – disse Dimitri. – Approfittiamo del buon momento per andarcene anche noi. La corsa dei cavalli, con quelle schiere di affamati, non durerà a lungo.

– Che tornino a prendersela con noi? – chiese la giovane.

– È probabile che riprendano la caccia, a meno che non vengano trascinati molto lontano.

– Partiamo, Dimitri.

L’jemskik era salito già a cassetta e teneva le briglie e la frusta. La giovane donna si gettò indosso una folta pelliccia fornita di cappuccio, che Dimitri aveva levata da una grande valigia, poi si cacciò sotto la coperta, mettendosi a fianco il fucile.

Il polacco stava per prendere posto accanto alla padrona, quando, nel volgersi, vide un’ombra apparire bruscamente all’estremità del corridoio.

– Per la nostra Vergine di Varsavia!... – gridò. – Il maresciallo!...

Il cosacco arrivava in buon punto. Ridestatosi più presto di quello che avevano creduto i tre fuggiaschi, aveva udito le urla dei lupi allontanarsi ed i nitriti dei cavalli, e accorreva per vendicarsi della burla fattagli.

Fortunatamente era solo, non essendo riuscito a svegliare i suoi uomini, meno formidabili bevitori di lui, e per di più era ancora tanto ubriaco da non reggersi quasi in piedi. Nondimeno non era meno pericoloso, poiché prima di lasciare la stanza si era armato di un fucile.

Vedendo l’jemskik a cassetta ed i cavalli pronti a partire, aveva spianata l’arma, urlando:

– Fermi... o... v’uccido... come... lupi!...

Dimitri s’era prontamente gettato dinanzi alla giovane donna facendole scudo col proprio corpo.

– Frusta, Fedor!... – gridò.

L’jemskik non se lo fece dire due volte. Applicò ai tre cavalli una poderosa frustata ed allentò le briglie.

La troika partì, rapidissima, urtando contro i due battenti mentre Dimitri e Maria afferravano i fucili, pronti a difendersi.

– Ah!... Cani!... – urlò il cosacco.

Poi uno sparo rimbombò.

Se quell’uomo non fosse stato ubriaco, avrebbe ucciso certamente qualcuno dei tre fuggiaschi, avendo fatto fuoco alla distanza di soli dieci o dodici passi; il proiettile invece mal diretto, andò a mozzare la campanella della duga del cavallo di mezzo.

Dimitri aveva alzato il fucile per freddare l’ubriaco, ma la giovane donna glielo aveva abbassato, dicendogli:

– È inutile ucciderlo!...

La troika era allora uscita dalla casa ed i tre cavalli, vigorosamente sferzati, s’erano slanciati sulla Wladimirka a gran galoppo, tuffandosi nei turbini di neve.

Il cosacco, vedendoli fuggire, s’era a sua volta slanciato fuori. Giunto però a pochi passi, le forze gli mancarono e cadde col volto in mezzo alla neve.

Prima che potesse rialzarsi, tre o quattro lupi, che si tenevano in agguato dietro l’angolo della tappa, gli furono addosso azzannandolo ferocemente.

Fra le urla del vento echeggiò un grido terribile, straziante.

– Cos’è accaduto? – chiese la giovane donna a Dimitri, il quale s’era alzato in piedi, guardando verso la tappa.

– Io credo che il maresciallo stia per lasciare la sua pelliccia in bocca ai lupi, – rispose freddamente il servo.

– È stato assalito?...

– Vedo sul bianco lenzuolo una forma umana che si dibatte contro alcuni carnivori.

– Dimitri!...

– Signora.

– Andiamo a salvarlo.

– È troppo tardi, signora; udite?

Un secondo urlo, più rauco del primo, era echeggiato in direzione della tappa, seguito da alcuni spari e dagli ululati dei lupi.

La giovane donna era diventata pallida.

– Degli spari!... – aveva esclamato. – Siamo inseguiti?...

– Al galoppo, Fedor!... – gridò Dimitri.

I tre cavalli non avevano bisogno di venire eccitati. Quegli splendidi animali pareva che volassero sull’immensa steppa, gareggiando coi turbini di neve che il vento si cacciava innanzi con estrema violenza.

Spaventati dalle detonazioni e dalle urla dei lupi che si udivano sempre in lontananza, colle folte criniere al vento, gli occhi in fiamme, la bocca bianca di schiuma, divoravano lo spazio con crescente velocità, trascinando la troika in una corsa furiosa.

L’jemskik in piedi, colle briglie ben strette nella sinistra e la frusta nella destra che scoppiettava incessantemente, gridava senza posa:

– Avanti, mie colombelle!... Volate!... Volate!...

La giovane donna e Dimitri, appoggiati allo schienale, interrogavano ansiosamente la steppa che si lasciavano indietro, cercando di discernere qualche cosa fra i turbini di neve. Quegli spari avevano fatto trabalzare i loro cuori.

Chi era accorso in aiuto del maresciallo?... Forse che la colonna dei forzati era già giunta alla tappa? In questo caso correvano il pericolo di venire vigorosamente inseguiti.

– Dimitri, che cosa pensi tu? – chiese ad un tratto Maria, con voce trepidante. – Che ci si dia la caccia?... Se noi ricadiamo nelle mani dei cosacchi siamo perduti!... Non si può ripetere due volte la stessa commedia.

– È impossibile, Maria Federowna, che la colonna dei forzati sia giunta alla tappa, – rispose il polacco. – Con simile bufera di neve non può aver abbandonato Nisne-Udinsk.

– E quegli spari?...

– Non so cosa dirvi, padrona.

– Che anche i quattro soldati si siano svegliati!...

– Mi sembra un po’ difficile, padrona, che la loro ebbrezza sia durata così poco. Quel ginepro era di ottima qualità, anzi del migliore, e ne hanno bevuto tanto che se io fossi stato al loro posto a quest’ora sarei morto.

– Tu sai che i cosacchi sono formidabili bevitori.

– Lo so; però non ammetto che siano stati essi ad accorrere in aiuto del maresciallo.

– E chi adunque?...

– Non lo so; d’altronde abbiamo torto a preoccuparci troppo. I nostri cavalli corrono come il vento e possono sfidare tutti i loro confratelli della Siberia.

– Ma la scintilla elettrica corre più dei cavalli, Dimitri. Appena noi giungeremo a Catulik verremo arrestati, perché il telegrafo avrà comunicato a quell’esaul l’ordine di fermarci.

– E chi ci obbligherà a passare per Catulik?... No, mia signora, d’ora innanzi noi abbandoneremo la Wladimirka.

– E andremo?...

– Piegheremo verso le montagne Sajan, e di là giungeremo sul Baikal. Ah!...

– Cos’hai, Dimitri?...

– Ancora i lupi. Hanno già divorato i due cavalli e tornano addosso a noi.

– Cattive bestie!

– Fra due ore l’alba spunterà, Maria Federowna, e allora ci lasceranno tranquilli. Prepariamo le armi e non lesiniamo le cartucce, Fedor!...

– Dimitri!... – rispose l’jemskik.

– Li odi?...

– Sì, i lupi tornano.

– Prepara la tua rivoltella.

– È pronta.

– Tieni strette le briglie.

– Rispondo dei cavalli. Avanti, mie colombelle!... Volate, volate!... Quei dannati li faremo correre!...