Gli orrori della Siberia/Capitolo XVIII – Il maresciallo dei cosacchi

Capitolo XVIII – Il maresciallo dei cosacchi

../Capitolo XVII – Una notte fra i lupi ../Capitolo XIX – L’orgia dei cosacchi IncludiIntestazione 7 gennaio 2017 75% Da definire

Capitolo XVIII – Il maresciallo dei cosacchi
Capitolo XVII – Una notte fra i lupi Capitolo XIX – L’orgia dei cosacchi

Capitolo XVIII – Il maresciallo dei cosacchi


I lupi, sotto quelle scariche micidiali, non interrotte, dopo di aver esitato, tanto ci tenevano a non perdere la loro preda che da un’ora inseguivano con accanimento senza pari, si erano decisi a battere in ritirata ed a rifugiarsi entro le tenebrose boscaglie che fiancheggiavano la Wladimirka.

Alcuni uomini, vedendo la troika libera; si erano slanciati sulla strada come se avessero intenzione di chiuderle il passo, ma l’jemskik, invece d’arrestare i cavalli, li aveva lanciati innanzi a tutta corsa, gridando:

– Largo!... Attenti alle gambe!...

– Alt!... – gridò una voce imperiosa.

– Avanti!... – comandò invece la giovane donna.

Quegli uomini però, quantunque corressero il pericolo di farsi schiacciare, invece di lasciare libero il passo, si strinsero vieppiù e abbassarono i fucili armati di baionetta, risoluti, a quanto pareva, a trafiggere gli animali.

– Alt!... – ripeté la voce di prima. – Alt, o faccio fuoco!

L’jemskik, dinanzi a quella minaccia, perdé il coraggio. Sapeva bene che i soldati russi non amano scherzare, soprattutto quando si trovano in Siberia e che non si fanno scrupolo veruno di adoperare le armi contro qualunque sia. Raccolse le briglie e con una violenta strappata arrestò bruscamente i tre cavalli.

La donna si alzò, gridando con voce irritata:

– Chi siete voi, che vi permettete di fermare dei tranquilli passeggeri che vanno per le loro faccende?...

– Dei soldati, – rispose la voce di prima, che aveva comandato al cocchiere d’arrestarsi.

Poi un uomo, un maresciallo dei cosacchi, grande, grosso e molto barbuto, apparve fra le raffiche di neve, avvicinandosi al fanale che illuminava la troika.

– Dove andate? – chiese.

– Attraverso la Siberia, – rispose la giovane donna.

– Per quale motivo?

– Ciò non vi riguarda.

– Anzi può riguardarmi molto. Chi siete voi?

– Una ragazza.

– È il vostro nome che voglio sapere.

– Marie Vaupreaux.

– Siete francese?

– Sì, signore.

– Pure parlate il russo come una moscovita.

– Ho abitato molto tempo a Mosca.

– Chi è il vostro compagno?

– Un mio servo.

– Il suo nome?

– Dimitri Laczincki.

– Un polacco?

– Si, signore.

– Mostratemi la vostra podarosnaia.

– Ma... non ne ho.

– Non ne avete!... – esclamò il cosacco, con stupore. – E come fate a ottenere il cambio dei cavalli dai mastri di posta, senza la carta imperiale?

– Viaggio con cavalli miei. Mi costano cari, ma dalle steppe della Baraba mi hanno portata fino qui.

– Non avete alcuna carta che possa assicurarmi che voi siete suddita francese?

– Nessuna.

– Ciò è grave, signora; ed io, malgrado tutta la mia buona volontà, non posso lasciarvi proseguire il viaggio.

– Come!... Voi mi arrestate?... – esclamò la donna con collera.

– Vi sono costretto, signora, – disse il cosacco con voce recisa. – Sono un soldato e devo essere schiavo del dovere e delle leggi.

– E dove pretendete tradurmi?

– A Irkutsk.

– E quanto impiegherete a giungere ad Irkutsk?

– Sei giorni almeno.

– Non posso attendere tanto. Ho affari urgenti a Irkutsk.

– Mi rincresce, signora, ma sarete costretta a seguirmi.

– Io protesterò presso l’ambasciatore francese di Pietroburgo contro questo arresto illegale.

– Fatelo, signora; il mio governo s’incaricherà più tardi di farvi le più ampie scuse. Io devo obbedire agli ordini che ricevo.

– E quali sono? – chiese la donna, con ironia.

– Di arrestare tutti i viaggiatori sprovvisti della podarosnaia.

– E dove mi condurrete intanto?

– Alla tappa, signora. Ci arresteremo fino a domani, poi ci metteremo in viaggio.

– E dov’è questa tappa?

– È qui vicina.

Poi, volgendosi verso due soldati, disse loro:

– Conducete questa signora ed i suoi compagni alla tappa.

I due cosacchi si misero ai lati della troika e condussero i prigionieri sul margine della pineta dove si vedeva sorgere, in mezzo alla neve, un piccolo fabbricato di legno, d’aspetto sinistro e dinanzi al quale vegliava una sentinella.

La donna ed i suoi due compagni furono fatti scendere e vennero introdotti in una lurida stanzuccia, molto bassa e riscaldata da una delle solite stufe monumentali usate in Siberia.

– Attendete il maresciallo, – dissero, mettendosi di guardia alla porta.

La donna si lasciò cadere su di una sedia, emettendo un profondo sospiro. Pareva che tutta la sua straordinaria energia l’avesse, in quel momento, abbandonata.

– Maledizione sui lupi e sui salvatori, – disse Dimitri, coi denti stretti. – Come ce la caveremo ora? Cosa farete, mia buona signora?

La giovane donna non rispose; pareva immersa in profondi pensieri.

– Ebbene, signora? – chiese Dimitri, dopo alcuni istanti.

– Proverò, – ripose ella, guardandolo fisso.

– Che cosa?

– Quel maresciallo non mi pare cattivo come tutti gli altri. Chissà!... Vedremo, Dimitri, e forse...

Non poté finire. Il maresciallo era entrato, lanciando uno sguardo burbero verso la prigioniera.

Fece cenno ai due cosacchi d’impadronirsi del cocchiere e di Dimitri, dicendo:

– Conduceteli per ora nel corpo di guardia e lasciatemi solo... Andate!...

Poi, volgendosi verso la donna, riprese:

– Ora a noi due. Vi prego di accomodarvi.

Invece di obbedire, la prigioniera si calò il cappuccio che le nascondeva gran parte del volto e si sbarazzò dell’ampia pelliccia che la copriva, dicendo:

– Fa assai caldo qui.

Appena il cosacco poté vederla in volto, emise un grido di sorpresa e d’ammirazione. Quella prigioniera era la più splendida creatura che avesse veduto fino allora in tutto l’immenso impero moscovita. Era di statura alta, slanciata, con una testa superba che tradiva, solamente a guardarla, una energia straordinaria ed una fermezza incrollabile. Aveva il viso un po’ largo, distintivo particolare delle donne di razza slava, ma che dà loro una grazia maggiore, la carnagione rosea con delle sfumature d’una delicatezza infinita, un naso diritto, labbra vermiglie che mostravano dei denti più candidi dell’avorio e brillanti come perle, e due occhi tagliati a mandorla, d’una tinta oscura indefinibile, e che avevano uno splendore strano, affascinante, quantunque sembrassero umidi, come se una lagrima continua scorresse sulle pupille.

Nell’abbassare il cappuccio, quella splendida creatura che non dimostrava più di sedici o diciassett’anni, fosse ad arte od inavvertitamente, aveva sciolti i capelli, i quali si erano subito svolti, ricadendo in pittoresco disordine sul giubbettino di pelle di renna, adorno d’ermellino.

– Ed ora, – diss’ella, incrociando le braccia sul seno e guardando fisso il cosacco, – parlate.

Il maresciallo, invece di cominciare l’interrogatorio, era rimasto lì a guardarla, con due occhi stupiti. Quell’uomo era il vero tipo del soldataccio cosacco. Grande, grosso, robustissimo, con spalle larghissime, lineamenti duri, due occhi che avevano una espressione selvaggia, ed il naso rincagnato. Una barba fitta ed irta come le setole d’una spazzola, gli copriva la faccia fino quasi agli occhi.

– Ebbene, parlate, – disse la giovane. – Siete diventato tutto d’un colpo muto?... Eppure si dice in Francia che i cosacchi hanno la lingua pronta al pari dello knut che adoperano così spesso.

Il maresciallo, udendo quelle parole pronunciate con un tono sarcastico, aveva alzato vivamente la testa ed inarcate le sopracciglia. Si capiva che era seccato di essere stato sorpreso in quell’attitudine d’ammirazione, lui, vecchio soldataccio dal cuore forse inaccessibile e reso duro dalla vitaccia da cane che doveva condurre fra le nevi della Siberia ed i forzati.

– Pensavo al caso vostro, – disse con voce aspra.

– Tanto vi conturba? – riprese la giovane donna, con un sorriso ironico.

– Per tutti i lupi delle steppe!... Io comincio a credere che voi vogliate ridervi di me!... – gridò il maresciallo sbuffando. – Badate!... Non si scherza cogli orsi del Don.

– Allora dite che cosa volete sapere da me. Ne ho abbastanza di questa commedia, signor soldato?... Non sono già né una deportata, né una figlia o sorella di forzati.

– Non vi dico il contrario, però mancate della podarosnaia, devo quindi arrestarvi, mia signora, e condurvi a Irkutsk per chiarire la cosa. Io devo fare il mio dovere, innanzi a tutto.

– Sì, arrestando una suddita francese che non ha mai commesso alcun delitto sul territorio dello czar, e che viaggia per divertimento.

Il cosacco ebbe uno scoppio di risa.

– Voi lo chiamate un viaggio per divertimento!... Signora mia, voi volete scherzare. Chiedete ai forzati che vanno alle miniere, se si divertono ad attraversare la Siberia in pieno inverno?...

– Essi non hanno né una comoda troika a loro disposizione, né lo scopo che ho io, – disse la giovane donna.

– Ah!... Voi avete adunque uno scopo per affrontare il freddo, le nevi ed i lupi della Siberia?

– Certamente.

– È questo che voglio conoscere, signora, – disse il cosacco, rizzandosi quanto era lungo, come per darsi maggiore importanza. – Ah!... ah!... Finalmente ci siamo!...

La bella fanciulla si mise a guardarlo, come per dirgli che la cosa poi non era tanto difficile. Poi disse:

– La mia intenzione era di recarmi fra i tongusi, alle sorgenti della Tungusca Pietrosa.

– A cosa fare?

– Per studiare gli usi ed i costumi di quelle tribù nomadi.

– E che cosa possono interessarvi quei selvaggi?

– Appartengo alla Società geografica di Parigi.

– Non comprendo niente; anzi sì, una cosa.

– E quale?

– Che voi volete burlarvi di me, signora mia. Vedremo però se vi befferete anche del governatore della Siberia orientale.

– Non sarò poi io, maresciallo, che mi burlerò di voi, bensì lui, — rispose la giovane donna, con accento quasi minaccioso. – Ah!... Voi volete condurre me, suddita francese, a Irkutsk?... Fatelo pure, anzi ora sono io che ve ne prego, ma quando sarò giunta dinanzi al governatore, mi lagnerò con lui a voce alta dei suoi cosacchi, e vedrete quale compenso avrete!... Per la croce di Dio!... Vi farò vedere come si rispettano le signore che nulla hanno mai avuto a che fare col governo russo. Andiamo a Irkutsk, maresciallo, subito!... I miei cavalli sono già abbastanza riposati e riprenderanno la corsa senza bisogno di venire frustati. L’ambasciatore francese, accreditato presso il vostro imperatore, vendicherà l’offesa fatta ad una donna del suo paese!... Avanti!... Partiamo, maresciallo!...

Il cosacco, dinanzi a tutte quelle minacce che risuonavano tremendamente ai suoi orecchi, era rimasto muto, guardando con una specie di terrore la giovane donna. Il governatore!... L’ambasciatore di Francia!... Una riparazione!... La cosa era grave, tale anzi da scombussolare un cervello meno abbrutito del suo. Se ci fosse stato qualche ufficiale nei dintorni per rimettere quell’affare nelle sue mani, sarebbe stato ben contento ed avrebbe anzi tirato un sospirone, ma sulla Wladimirka non poteva trovare che qualche raro posto di cosacchi, comandato da qualche maresciallo, ignorante al pari e forse peggio di lui.

Non vi era che d’andare a Irkutsk; giunti però colà si sarebbe subito mosso il governatore, il potentissimo governatore, e allora!... Cosa sarebbe accaduto se quell’arresto fosse stato veramente riconosciuto illegale?...

L’affare era serio, troppo serio per lui, che non si era mai trovato in simili imbarazzi. Aveva bensì compiuti altri arresti, ma di poveri cacciatori, di contadini o di forzati.

Però quella donna non era provvista della podarosnaia, dunque poteva anche ingannarlo, essere invece una persona sospetta, la figlia o la sorella di qualche pericoloso deportato.

Il povero cosacco, estremamente imbarazzato, si grattava la testa e si tirava il barbone, non sapendo quale partito prendere.

– Ebbene, non partiamo adunque? – chiese la giovane donna, con accento collerico, facendo un gesto d’impazienza. – Io spero che voi non mi obbligherete a rimanere tutto l’inverno in questa topaia.

– Ma... signora, – balbettò il maresciallo. – Io vorrei risparmiarvi una corsa fino a Irkutsk... però è l’affare della podarosnaia che mi trattiene dal lasciarvi libera. Ditemi perché non la possedete.

– Perché viaggiando con cavalli miei, la credevo inutile.

– E non vi hanno fermato le autorità di Tomsk?

– Non sono passata per Tomsk, – rispose la bella giovane con tono reciso.

– Sarete almeno passata per Semipalas, per Omsk, per Jekaterimburg.

– Nemmeno.

– E per quale via vi siete adunque introdotta in Siberia? – chiese il cosacco, guardandola con diffidenza, mentre un sorriso dilatava la sua bocca, mostrando una dentatura da vero lupo.

– Attraverso gli Urali, fiancheggiando Petropaulosk.

– Una via sospetta. Una persona che nulla ha da temere dalle autorità non evita le grosse città, né le vie migliori.

– Se avessi tenuta la via imperiale, non avrei potuto studiare gli Urali, né visitare le miniere d’oro.

– Ah!... Voi siete stata a visitare le miniere!... – esclamò il cosacco, mentre un lampo di cupidigia gli balenava negli sguardi. – Avete dell’oro nelle vostre valigie?

La giovane donna alzò le spalle, mentre mormorava fra i denti:

– Stupido.

Poi, guardandolo con due occhi ripieni di collera, disse:

– Orsù, finitela!... Se volete arrestarmi e condurmi a Irkutsk, fatelo, senza annoiarmi colle vostre sciocche domande. Non sono una russa io da dover obbedire a voi ed ai vostri superiori; appartengo ad una nazione che non deve obbedienza alla vostra e che nulla ha da fare colle vostre leggi.
Partiamo!... Ho fretta di farvi dare dal governatore il premio che vi meritate e vi assicuro che cercherò sia molto duro.

– Adagio, mia colombella, – disse il cosacco. – Sì, noi andremo a Irkutsk, giacché lo desiderate, non però tanto presto. Diavolo!... Nevica al di fuori ed i lupi sono affamati. Non li udite?

Fra i fischi del gelido vento si udivano al di fuori le urla tristi e lugubri, dei lupi. I feroci carnivori, furiosi di aver perduta la preda, si erano radunati attorno al posto dei cosacchi, pronti a balzare alla gola dei cavalli e degli uomini, se avessero commesso l’imprudenza di uscire. La giovane donna aveva udito quelle urla diaboliche che echeggiavano, ad intervalli, fra i sibili del ventaccio ed aveva provato un brivido.

– Sì, ci aspettano, – aveva mormorato. – Sono però meno pericolosi di questi cosacchi.

– Avete udito? – ripeté il maresciallo.

– Io non temo quegli animali, – rispose la giovane, con voce quasi sprezzante.

– Eh, mia colomba, se non li temete voi, ci tengo io a salvare la mia pelle. No, signora, non partiremo così presto; e poi, infuria la burrasca e non è prudente affrontarla di notte. Aspetteremo l’alba, ed allora si vedrà.

– Ed intanto cosa devo fare?...

– Se lo desiderate, vi offro da cenare, mia signora. Ohimé, la mia dispensa è magra, poiché il provveditore che doveva rifornire il posto è stato assalito dai lupi lungo la via e divorato come fosse stato una bistecca.
Se si fosse trattato di lui solo, meno male; un vecchio forzato di meno.
Disgraziatamente, dopo di lui i lupi hanno vuotato anche le casse. Tuttavia abbiamo ancora un po’ di pane ed un po’ di pesce, secco anch’esso.

– Ho qualche cosa di meglio nella cassa della troika, – disse la giovane. – Se accettate, dividerò anche con voi.

– Avete anche qualche bottiglia di vodka? – chiese il cosacco.

– Ho del ginepro e del rhum.

Gli occhi del maresciallo scintillarono. Come tutti i suoi compatrioti, insaziabili bevitori, amava sfrenatamente le bevande alcooliche.

– Del ginepro!... Del rhum!... – esclamò, mentre le sue nari, dilatate, parevano già che fiutassero l’acuto odore dello spirito. – E voi me ne darete?...

– Anche ai vostri uomini, – rispose la giovane, mentre un sorriso diabolico increspava le sue belle labbra. – Chiamate il mio servo.

Il maresciallo si precipitò verso la porta, urlando:

– Lasciate venire il polacco!... Presto, piccini miei. La signora ci offre del ginepro.

– Sì, e vedrai quanto, – mormorò la giovane. – Vedremo poi se mi condurrai a Irkutsk.

Si volse verso il suo fedele servo, che allora entrava, dicendogli, mentre con una mano gli faceva un rapido gesto:

– Dimitri, la cena, e soprattutto delle bottiglie, molte bottiglie.

– Va bene, signora Maria, – rispose il polacco abbassando il capo, come per farle comprendere che aveva indovinato il suo progetto.

Poco dopo rientrava, seguito dall’jemskik. Entrambi erano carichi di scatole e di bottiglie. Stesero su di un tavolo, collocato dinanzi alla stufa, una piccola tovaglia di finissima fiandra, vi deposero due tondi d’argento, alcune posate dell’egual metallo, poi un prosciutto che era stato appena toccato, delle scatole di carne conservata, un barattolo di caviale, del pane bianco biscottato onde si conservasse a lungo e sei bottiglie accuratamente sigillate.

Il maresciallo ed i suoi uomini avevano assistito, cogli occhi ardenti, a quell’imbandimento di cibi e di bottiglie, da loro le mille volte sognati, e forse mai assaggiati, condannati com’erano a non nutrirsi altro che di vecchio pane bigio e di pesce secco del Baikal. Specialmente quelle bottiglie esercitavano su di loro un fascino irresistibile e se non avessero avuto la certezza di assaggiarle anche loro, non si sarebbero indugiati ad allungare le mani.

La giovane donna si era seduta dinanzi alla tavola, facendo cenno al maresciallo di imitarla, poi aveva detto a Dimitri, indicando i quattro soldati:

– Tu, pensa a loro.

Il polacco aveva risposto con un cenno del capo. Prese il prosciutto, ne tagliò parecchie fette e l’offrì ai soldati assieme a del biscotto, poi stappò due bottiglie di ginepro e riempì parecchi bicchieri, mentre il maresciallo decapitava, con un colpo della sua sciabola, una bottiglia di rhum, dicendo:

– Perdonate, signora, ma questo metodo è più spiccio.

Riempì la tazza della giovane donna, poi la propria e la vuotò d’un colpo solo, come se si fosse trattato d’un semplice bicchier d’acqua.

– Per tutti i lupi del Don!... – esclamò, facendo scoppiettar la lingua. – Io credo, signora, che solamente alla corte si possa bere un liquore simile. Alla vostra salute, signora.

E la seconda tazza sparve nelle fauci del forte bevitore.

Riscaldatosi un po’ lo stomaco e stuzzicato l’appetito, il bravo soldato cominciò a dimenar le mascelle, divorando con una ingordigia da coccodrillo, caviale, prosciutto e carne conservata.