Gli orrori della Siberia/Capitolo XII – Attraverso la Siberia
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Capitolo XII – Attraverso la Siberia
Infatti i prigionieri ammonticchiati nelle camerate e nelle celle, venivano condotti nel cortile pel pasto mattutino. La loro toeletta fu rapida: una lunga sorsata d’aria gelata, che doveva tener luogo dell’acqua, uno scrollamento per sbarazzarsi alla meglio del fango nero e vischioso incollato sulle loro camicie sbrindellate e sul nudo petto, ed il rivoltamento degli stracci cacciati negli anelli che stringevano le loro gambe, già quasi tutte piagate e sanguinanti pel corrodere del ferro.
Fu dispensato il sonkari, il pane bigio e secco usato in Siberia, furono portati alcuni pentoloni contenenti una nera mistura di segala appena cucinata, poi la catena fu rapidamente formata, i galeotti in testa, i politici al centro, le donne e le carrette in coda, e quei cinquecento uomini e le tre sotnie di cosacchi si misero in marcia con un lungo fragore di catene, sotto la neve che cadeva senza posa.
Uscita dalla borgata, la lunga catena vivente si allungò sulla bianca Wladimirka con passo lento, affondando pesantemente nel morbido ma freddo strato nevoso.
Quella prima giornata di marcia, pei due nuovi prigionieri non poteva essere peggiore. Tirava un ventaccio rigido, tagliente, secco, che gonfiava i visi e screpolava le carni, e la neve cadeva turbinosamente cacciandosi negli occhi e perfino dentro i caftani.
Quell’immensa pianura bianca, che di tratto in tratto il sole, facendo la sua comparsa fra uno squarcio di vapori, illuminava, aveva un aspetto così triste che stringeva il cuore, ed aveva certi riflessi, che ferivano dolorosamente gli occhi. Pure bisognava marciare: la catena vivente non può arrestarsi che alla tappa, poiché una fermata all’aperto, con quel freddo veramente siberiano e quella neve che si ammonticchiava con rapidità spaventevole, poteva costare la vita, se non agli uomini, alle povere donne che si trascinavano alla retroguardia, ed ai loro piccini.
Il colonnello e lo studente, incatenati l’uno a fianco all’altro, sull’ultima fila degli esiliati, camminavano senza parlare, col capo affondato entro il loro caftano. Quantunque abituati all’idea di venire un giorno avvinti ed uniti a quella turba di disgraziati, quelle catene che battevano sulle loro gambe e sul loro stomaco, producevano in entrambi un doloroso effetto. Parevano stupiti di trovarsi in compagnia di quella gente, condannata come loro a marcire in fondo alle miniere della Transbaikalia e gettavano sui loro compagni di sventura, sguardi smarriti.
Chissà se il focoso studente, pronto sempre a ribellarsi, avrebbe tollerato a lungo quella situazione, se non avesse saputo che il capitano vegliava su di loro; Si sarebbe senza dubbio fatto uccidere, piuttosto che continuare per delle lunghe settimane quella marcia colla catena al piede.
Ma il capitano Baunje, quasi indovinasse i loro tristi pensieri, era là per consolarli. Passava e ripassava presso di loro nella sua slitta tirata da tre vigorosi cavalli e lanciava loro degli sguardi d’incoraggiamento.
Intanto la marcia continuava sulla interminabile Wladimirka, la quale, abbandonate le steppe immense della Siberia occidentale, saliva gli ultimi avvallamenti della grande catena degli Altai e dei monti Sajan. Quantunque la distanza fosse straordinaria, pure verso il sud, ove il cielo era sgombro di nebbie, si vedevano disegnarsi debolmente le alte cime di quei colossi dell’Asia, tanta è la purezza dell’aria siberiana.
La catena degli Altai è una delle più imponenti dell’Asia e non la cede che a quella dell’Imalaja. Ha una estensione di circa 4400 chilometri e forma l’ossatura centrale del continente asiatico. Comincia a formarsi presso gli Urali, con una serie di colline nude, in gruppi senza ordine, coperti solo da poche e meschine piante, ma poi s’ingrossa e s’alza rapidamente toccando con alcune vette i 2000 ed i 2500 metri ed una, la Bjelucha perfino i 3351 metri, ossia l’altezza del monte Bianco.
Le cime di questa gigantesca catena, che serve di confine fra la Siberia e la Cina, sono in parte coperte di nevi eterne ed i loro declivi da folte foreste di pini e da ghiacciai. Le altre catene, che corrono lungo i confini cino-siberiani, sotto i nomi di Sajani e di Tian-Sciancansci non sono altro che diramazioni della grande Altai.
A mezzodì, dopo una marcia di dodici verste sotto una incessante nevicata, il comandante della colonna accordò un riposo di un’ora, in mezzo ad una folta pineta. Forzati ed esiliati, sfiniti, semi-assiderati per l’intenso freddo, non potevano più reggersi in piedi.
Alle una, la colonna sempre guardata dai cosacchi, si riponeva in cammino per raggiungere la mezza tappa, lontana tredici verste. La grande tappa era ancora lontana, non essendovene che una sola, quella d’Ascinsk.
A notte inoltrata, fra un vero uragano di neve, gli sventurati, semi-gelati, ed esausti di forze, venivano ammucchiati nella mezza tappa, indecente fabbricato di legno, mezzo in rovina, composto d’una camerata appena sufficiente a contenere centocinquanta persone, di alcuni corridoi e d’alcune celle.
Buon numero di prigionieri furono costretti a dormire nel cortile, in un letto da cacciatori siberiani scavato nella neve. Sergio e lo studente poterono però accomodarsi nel corridoio, accanto alla stanza del capitano, volendo, diceva il comandante, avere sott’occhio due persone così pericolose!... Al mattino però, ritrovarono nelle loro tasche, altri biscotti, altra carne conservata e anche delle tavolette di cioccolato!...
Nei giorni seguenti la colonna proseguiva il viaggio, passando successivamente per Ascinsk, piccola borgata situata sulla sponda destra del Cialim affluente dell’Obi e quindi per Crasnoiarsk, capoluogo d’un dipartimento abitato da cinquantaduemila anime.
La mattina del 16 gennaio, attraversavano l’Jenissei già completamente gelato.
Questo fiume è uno dei più grandi che solcano la Siberia e serve di confine alle due Siberie l’occidentale e l’orientale. Nasce nella Mongolia, presso Cossogol, entra nella Siberia fra il piccolo Altai ed i monti Sajan, attraversa tutta quanta la Siberia dal sud al nord bagnando successivamente Miaustinsk, Nuovo Selovsk, Crasnoiarsk, Jenisseisk, Usti Pitscoje e parecchie altre minori e scaricasi nell’Oceano Artico di fronte all’isola di Siribiacoff, dopo un corso di 1344 miglia.
Numerosi e grossi affluenti si scaricano in questo grande fiume, ma quasi tutti sulla sua destra. Notevoli pel loro corso e per l’abbondanza delle loro acque sono la Tungusca inferiore, la Tungusca pietrosa e la Tungusca superiore la quale, nel suo corso meridionale, esce dal lago Baikal sotto il nome d’Angara, nei pressi d’Irkutsk.
Oltrepassato il fiume, la lunga carovana, scortata da mezzo squadrone di cavalleria del reggimento di Jenisseisk, che aveva dato il cambio a due compagnie di cosacchi, proseguì per Cansk, capoluogo del circolo omonimo, con una popolazione totale di cinquantamila anime.
Percorreva allora il governo d’Jenisseisk, immenso tratto di terreno, vasto come dieci volte l’Italia e che si estende dai confini cinesi fino all’Oceano Artico, fra i governi di Tomsk e di Tobolsk all’occidente e quelli di Irkutsk e di Iakutsk all’oriente.
Prima del 1836 tutto quel vasto territorio era quasi sconosciuto, coperto solo di immense foreste primitive, di steppe erbose, di maremme e di acquitrini, entro i quali si sprofondava fino a mezza gamba, e popolato da poche tribù di tartari kaschini, di manciù, di sajoti, di martori, di karagassi e di buriati.
La scoperta d’importanti miniere d’oro e sabbie aurifere, specialmente nei fiumi Birussa e Usolka, fecero accorrere ben presto numerosi coloni i quali portarono un notevole miglioramento in quella regione, facendo strade ed incanalando le acque delle maremme. Tuttavia la popolazione è ancora scarsissima, quasi nulla in paragone alla vastità del territorio, non superando i duecentomila abitanti.
Procedendo sempre attraverso ad acquitrini gelati od a foreste di pini e di betulle, ed arrampicandosi faticosamente sopra colline erte, battute da venti impetuosi e rigidissimi che scendevano dai ghiacciai dell’alta giogaia dei Sajan, la catena vivente s’avvicinava lentamente al governo d’Irkutsk.
Il 20 gennaio s’arrestava alla tappa di Nisne-Udinsk, capoluogo del circondario omonimo, e prima cittadella del governo di Irkutsk. Fra pochi giorni, quella grande carovana di disgraziati doveva giungere in vista della capitale della Siberia orientale, la grande e ricca Irkutsk, la regina della regione Baikalia, la più opulenta di quella immensa colonia russa.
Già il terreno cambiava rapidamente ed anche la temperatura diventava meno aspra. La Wladimirka aveva abbandonato le sconfinate steppe e gli acquitrini e serpeggiava attraverso a colline e montagne coperte d’immense foreste di larici, di pini e di betulle. Dei tratti di terreno coltivato cominciava ad apparire qua e là e si vedevano attruppamenti di capanne e piccole borgate. Di tratto in tratto delle slitte s’incontravano sulla grande via, cariche di pellicce e di derrate provenienti dalla Transbaikalia o dalla non lontana frontiera cinese, dirette verso l’Jenisseisk.
Anche numerose truppe d’uomini s’incontravano di sovente. Erano tongusi, chiamati dai tartari con tale nome dispregevole, per la loro sporcizia, ma il loro vero nome è quello di boukie.
Erano uomini di statura media, col viso piatto, gli occhi piccoli e vivaci, il naso dritto, i capelli lunghi ed intrecciati e con poca barba. Indossavano lunghe zimarre di pelle, calzoni larghi, stivali a vivaci colori adorni di pallottole di vetro e certi pettorali di pelle nera con numerosi lustrini.
Sono cavalieri eccellenti, cacciatori abili e coraggiosi e vengono adoperati dal governo d’Irkutsk per guardare la frontiera cinese. Malgrado gli sforzi dei pope1 russi, sono rimasti pagani, obbediscono ai loro schamani2 e adorano ancora Boa, il dio supremo, Detatschia, il sole, Begala, la luna e Dauda, ossia la terra.
Anche i buriati, popolo che abita i dintorni del lago Baikal, si mostravano in buon numero. Differiscono dai primi nei lineamenti, ma hanno comune la religione.
Sono più alti, più grassi, con tinta più pallida, quasi malaticcia, con pochi capelli e sono meno vigorosi. Si dedicano di preferenza alla pesca che alla caccia e passano per valenti marinai.
Il 24 la colonna, che affrettava la marcia, rinvigorita da quel clima un po’ più mite, quantunque nevicasse quasi senza interruzione, giungeva a Catuisk, seconda borgata della provincia d’Irkutsk, ed il 27 a Cutulisk, entrando nella larga vallata dell’Angara. La capitale siberiana era ormai vicinissima e così pure quel celebre lago dell’Asia centrale, che ha le sue maree come il mare e le cui tempeste sono più tremende di quelle degli oceani.
Ancora due mezze tappe ed il mezzodì del 1° febbraio la catena vivente, dall’alto d’una vetta contemplava, non con gioia, ma con angoscia, le cupole dorate della capitale della Siberia orientale, scintillanti sotto i pallidi raggi del sole, che si erano aperti un varco fra i pesanti vapori gravidi di neve.