Giuseppe Gioachino Belli

1831 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu corone di sonetti letteratura Giusepp'abbreo Intestazione 2 aprile 2024 100% Da definire

L'inzogno A Nina
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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GIUSEPP’ABBREO.

1.

     Certi mercanti, doppo ditto: aéo,1
Se sentìnno2 chiamà ddrento d’un pozzo.
Uno sce curze3 all’orlo cór barbòzzo,4
E vvedde move,5 e intese un piaggnisteo.

     “C....! qui cc’è un pivetto6 pe’ ssan Ggnèo,7
Come un merluzzo a mmollo8 inzino ar gozzo!„
Caleno un zecchio: e ssù, frascico e zzózzo,9
Azzécchesce chi vviè? Ggiusepp’abbreo.

     L’assciutteno a la mejjo cór un panno,
Je muteno carzoni e ccamisciola,10
E ppoi je dànno da spanà,11 jje danno.

     E doppo, in cammio12 de portallo a scola,
Lo vennérno13 in Eggitto in contrabbanno
Pe’ cquattro stracci e un rotolo de sola.

Morrovalle, 7 settembre 1831.


Note

  1. Grido degli Ebrei che comperano robe vecchie.
  2. Si sentirono.
  3. Ci corse.
  4. Col mento.
  5. Vide movere.
  6. Un fanciullo. [Ma è sempre un po’ ironico.]
  7. [È un santo, come san Lumino, san Mucchione, santa Pupa, ecc., inventato dalla plebe, per poterlo bestemmiare impunemente. Nel vecchio dialetto, gnèo (da mieo, per mio, come gnagolare da miagolare, ecc.) significava anche io; ma non l’io comune, bensì l’io orgoglioso e spavaldo. C’è gnèo! Nun avete (abbiate) pavura! Oggi però, in questo senso, è quasi affatto disusato, come il suo sinonimo miòdine, che deriva pure da mio. Cfr. la nota 1 de’ sonetti: Uno mejjo ecc., 27 genn. 32, e Er discissette ecc., 8 genn. 33.]
  8. [Un baccalà in mollo.]
  9. Fradicio e sozzo.
  10. [Giacchetta. Ma si veda la nota 5 del sonetto: La milordarìa, 27 nov. 32.]
  11. Da mangiare.
  12. In cambio.
  13. [Venderono.]
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2.

     In capo a una man-d’anni er zor Peppetto
Addiventato bbello granne e ggrosso,
La su’ padrona, jjótta1 de guazzetto,
J’incominciò a mettéjje l’occhi addosso.

     Ce partiva2 cór lanzo3 de l’occhietto,4
Sfoderava sospiri cór palosso:5
Inzomma, a ffàlla curta, dar giacchetto6
Lei voleva la carne senza l’osso.

     Ècchete ’na matina che a sta sciscia7
Lui j’ebbe da portà ccert’acqua calla,
La trova sur zofà ssenza camiscia.

     Che ffa er cazzaccio! Bbutta llì la pila,8
E a llei che tté l’aggranfia9 pe’ ’na spalla
Lassa in mano la scorza,10 e mmarco-sfila!11

Morrovalle, 7 settembre 1831.

Note

  1. Ghiotta.
  2. [Ci si dava. E questo verbo si pronunzia sempre con tono ironico. Cfr. in questo volume la nota 6 del sonetto: Li mariti (2), 6 nov. 32, e la nota 5Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte dell’altro: Er prete, 15 genn. 33.]
  3. Col vezzo.
  4. Dell’occhiolino.
  5. Armàti: fieri.
  6. [Valletto, groom. E deriva dall’inglese jockey, con ravvicinamento però alla giacchetta corta, che si chiama appunto giacchetto.]
  7. Cicia, [qui vale]: bella donna. [V. in questo volume la nota 1 del sonetto: So’ tutt’e ttre ecc., 10 ott. 31.]
  8. [Pentola.]
  9. L’afferra.
  10. La livrea.
  11. E fugge.