Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro III/III

Libro III - Cap. III

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CAPITOLO TERZO.

Abiti, Armi, e Monete de’ Cinesi.


P
Rima che cominciassero a dominare i Tartari, portavano i Cinesi lunghi i capelli, avvolgendogli dietro la testa, alla maniera delle nostre contadine (però senza treccie) e facendone un grosso pomo, nel quale passavano lunghi spilli d’argento, così per sostenerlo, come per ornarlo; onde si veggono anche oggidì la Malaca, e in altri, luoghi, di questi Cinesi, che si dicono di capello: ma dopo l’Imperio del Tartaro, fu ordinato a tutti, in pena della vita, di tagliarsegli; e di andare alla miniera Tartara, colla testa rasa, e un ciuffo, come usano i Maomettani; con questa differenza però, che i Cinesi lo portano intrecciato, e lungo talora sino alle gambe. Vietò anche la pomposa veste, con maniche larghe, per introdurre la Tartara; ciò che i Cinesi sentirono, e sentono ancora dentro il cuore.

L’abito adunque Tartaro, che si usa oggidì in Cina, è, di State, un Maózu, o berretta di figura conica, delicatamente [p. 364 modifica]fatta di seta, o canne d’India, e coperta di crini di cavalli rossi: dentro è foderata di taffetà, et ha un laccio, per stringerla sotto il mento. In inverno la portano dell’istessa forma, ma di seta imbottita con bambagia, adorna di pelli fine nelle stremità, e coperta al di sopra di seta sfioccata, in vece de’ crini. S’usa per lo più di colore cremesino, e da pochi azzurra, o nera; e nella punta sogliono porvi, per ornamento, una pietra d’ambra, o di vetro di riso.

Nella celebrazione della santa Messa, ed amministrazione de’ Sacramenti, portano tutti i nostri Missionarj una berretta nera, dalla quale cadono quattro parti quadrate sin’all’orecchie, soprapposte ugualmente, e graziosamente; e da dietro pendono due liste, come quelle delle mitre Vescovali. Essendosi ciò introdotto dagli antichi letterati Cinesi; per distinguersi, i Padri della Compagnia hanno aggiunto ad ogni quadrato tre porte, fatte con un lacciuolo d’oro.

La loro camicia è detta Kuáziú, e si allaccia sotto il braccio destro, a’ fianchi, e sotto la gola. Ella è lunga sino a mezza gamba, con maniche lunghe, e strette. Vi accompagnano brache larghe, e [p. 365 modifica]lunghe sino a’ piedi, che dicono Kúziù , o Zevy, e liganle con una cinta di seta; alla quale appendono poi la borsa del tabacco, il moccichino, il coltello, e i bastoncini dentro una guaina. Portano però i nobili un cinturino di seta, con ferri dorati, e gioje. Le calze, che usano, sono per lo più di seta, o di tela, e si chiamano Uvázì.

I nobili aggiungono alla camicia (che a’ villani serve di veste) un’abito lungo nero, detto Paozu, di color violetto, o pure d’altro, (con maniche strette, che hanno nell’estremità un poco di roverscio, come un’orecchia) che dopo essersi abbottonato, da sotto il braccio destro sino a’ piedi; si stringe con una cinta di seta, detta Tayzù. Sopra questa veste pongono il Guaytao, ch’è giustamente, come una mozzetta Vescovale, però senza il cappuccetto, e con maniche larghe; e questo si abbottona avanti il petto. I letterati l’usano lungo, le persone ordinarle corto, i Tartari cortissimo.

Andando per la Città in sedia, costumano i letterati portare stivali di seta (in luogo di scarpe) detti Xivézu, e sono di vari colori. Le persone ordinarie, che camminano a piedi, gli portano d’un [p. 366 modifica]cordovano morbidissimo, e inchiodati sotto le sole, per non fargli consumare sì tosto, o prender umidità; perche non usano talloni. Le scarpe, che si usano da’ mercanti, e gente ordinaria, sono scollate, senza ligatura, ma strette dietro. Si fanno di seta, del color, che si vuole, colle sole di tela, e si chiamano hiáy. Tanto da’ nobili, quanto da’ villani, dell’uno, e l’altro sesso, è usitato il ventaglio, o Scenzu, e l’ombrella così d’inverno, come di state.

Le donne hanno l’istessa veste, ma abbottonata avanti il petto, e nel collo più stretta, per onestà; aggiugnendone altre dell’istesso taglio di sopra. Le scarpe, a differenza degli uomini, le portano ben aggiustate, con talloni. Il portamento però della testa è vago, perche hanno generalmente i capelli lunghi, e neri; e gli ungono con differenti olj, e gomme, per ridurgli a lor gusto. Ne formano sopra la fronte un’alto gruppo, con ferro filato, avvolto di seta, che poi cuoprono con parte de’ capelli sciolti, e divenuti lucidi colla gomma, ed olio. Degli altri, parte ne fanno come un pomo dietro la testa, e parte due ciocchette, che cadono graziosamente sul collo, a guisa d’ali. Nelle Provincie Settentrionali gli [p. 367 modifica]aggirano, et avvolgono dietro la testa, senza intrecciargli; e poi gli cuoprono con una, come scudella di seta, ben lavorata, o ricamata. In Pekin vi aggiungono un moccichino nero avvolto, per ripararsi dal gran freddo. Le vergini, per distinguersi dalle maritate, tagliansi parte de’ capelli intorno la fronte, e’l collo; lasciandone come una frangia, lunga due dita, siccome meglio potrà vedersi dalle figure di sopra portate.

Il color de’ Cinesi è bianco, come quello degli Europei, però nelle fattezze si distinguono; perché gli occhi generalmente sono piccioli, in dentro, e’l naso anche picciolino, e alquanto schiacciato; che nondimeno non dispiace. Hanno la barba così scarsa di peli, che vi sarà taluno, che non ne terrà in tutto cento; che non nascono, se non nell’estremità del mento, e sul muso: e quando pur ne crescesse alcuno nelle guancie, lo strappano con mollette; di modo tale, che la barba è lunga, ma rarissima. Questo è il maggior segno per conoscere un’Europeo fra mille Cinesi, e un Cinese fra mille Europei.

Le donne sono generalmente bianche, belle, e spiritose, molto più degli [p. 368 modifica]uomini, che sono di poco cuore. Si pregiano molto della picciolezza de’ piedi (come è detto di sopra) e le vecchie medesime tanto ne insuperbiscono, che, a dispetto delle rughe del volto, s’ornano il capo di vaghi fiori; e si martoriano in tale età, per far pompa dei picciol piede.

Adoprano in guerra i Cinesi arco, e freccia, e una scimitarra larga. Questa la portano a roverscio, colla punta avanti invece del manico; e volendo trarla fuori, danno un colpo sulla punta, e fan venire l’else avanti. L’armi da fuoco poco sono usate, però cominciasi ad inrrodurre, d’ordine dell’Imperadore, l’uso degli archibusi. Nelle Provincie Meridionali, per la comunicazione con gli Europei, usano alcuni scoppietti lunghi sette palmi, che portano palla picciola, più per vezzo, che per altro. La bacchetta la pongono dentro l’istessa canna, sicchè non ponno servirsene secondo il bisogno; nè sanno spararle in piedi, ma distesi colla pancia a terra, l’appoggiano a due come corna di capra, che sono in punta, per prender la mira.

Quantunque l’artiglieria fusse stata inventata nella Cina da molto tempo, non era però ben livellata, e fatta con le [p. 369 modifica]debite proporzioni; onde il Tartaro, incominciando a regnare, e volendo servirsene nella guerra contro l’Eluth, o Re Tartaro Occidentale, la fece fondere, e ridurre a perfezione, colla direzione del Padre Verbiest Fiammengo della Compagnia di Giesù; per lo che restò poscia molto bene affetto alla Compagnia. Di quella artiglieria si serve in campagna, come vidi in Pekin; poiché nelle mura delle Città non v’erano, che alcuni piccioli falconetti.

La soldatesca Cinese si compone di cavalleria, ed è divisa in otto bandiere, ciascheduna di cento mila soldati. Ogni bandiera ha il suo Generale, ch’è sempre un Regolo, o Gran Signore, e si chiama per ragion d’esemplo, Generale della bandiera verde, della bianca, etc. come altrove è detto. Ne’ presidj, e guardia della gran muraglia, ve n’è molto maggior numero; però la maggior parte sono Cinesi Tartarizati; non potendo la Tartaria Imperiale fornire sì gran numero di soldati.

Continua da padre in figlio, e nella famiglia, l’esser soldato; perché l’Imperadore non solo dà loro competente paga, secondo la loro qualità, ma di più il [p. 370 modifica]riso per tutta la famiglia, il cavallo, e ciò che bisogna per nutrirlo, senz’alcun risparmio; perche il tutto viene dalle Provincie, che lo danno per tributo. I Regoli hanno la paga assegnata, per tener dodici mila soldati, e mantenersi col decoro, che si conviene, oltre gli altri, che tengono a loro spese.

Benche nella Cina sia a vil prezzo l’oro, e di buona qualità; tanto quello, che si raccoglie ne’ fiumi, in tempo di piena, per le cavità, che si fanno ne’ letti de’ medesimi; come quello, che vien portato da’ Regni confinanti; non perciò usano di farne monete, ma dassi a peso. Il simile accade dell’argento, che s’introduce dalle straniere nazioni; particolarmente quello, che viene dall’America. Quindi l’Imperador della Cina chiama il nostro Monarca delle Spagne il Re dell’argento, perche non avendone ne’ suoi Stati alcuna buona miniera, tutto quello, che vi si spende, è portato da’ Spagnuoli in pezze da otto, e quivi poscia si riduce in lastre, un quarto migliori di qualità, o chilati. Di quest’ultimo si paga il tributo Imperiale, che i Mandarini denno riscuotere da’ sudditi, ne’ luoghi di loro giurisdizione. Tutto questo argento resta [p. 371 modifica]per sempre sepolto ne’ Tesori Imperiali di Pekin, e delle persone facoltose dell’Imperio; perche a’ Cinesi non fa d’uopo cosa veruna straniera. Lo spendere, e’l pagare, si fa tagliando in pezzetti l’argento, e pesandolo con una stateretta, detta tèng ciù. Si conta per Lean (o Taes in lingua Portughese) che vale 15. carlini Napoletani; per çien (o mas in Portughese) ch’è la decima parte del Taes; o per Fuen, o Condorin, decima parte del mas. Le monete basse di rame sono dette zien (o ciappas) delle quali 14. fanno un Fuen. Queste ciappe però sono state introdotte da dieci anni in quà; perche i Cinesi s’accorsero della perdita, che facevano, nel taglio d’un pezzetto d’argento, per comprare un frutto, o cosa di poco prezzo. Hanno un forame quadrato nel mezzo, per infilzarsi. Per una pezza d’otto se ne danno mille, e mille e cento, secondo che sono più o meno grandi, in diverse Provincie dell’Imperio. Si fabbricano di Tutunaga (metallo particolare di Cina, simile alla rame) con quattro lettere Cinesi da una parte, colle quali è scritto il nome dell’Imperadore; e due dall’altra, dinotanti il nome della Città, o Tribunale, che le fa coniare.