Giovanna d'Arco
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GIOVANNA D’ARCO.
Nel tempo in cui la Francia estenuata, come una regina svenuta, era oppressa dall’Inglese, e che le nostre spade taglienti, ogni giorno in una battaglia si smussavano sul terreno, e il povero lavoratore seminava col suo aratro senza mai potere raccogliere nulla, laggiù in fondo alla Lorena, nel villaggio di Donremy, in un bosco dove il gelsomino confonde il suo profumo con la verbena, Vera un albero tanto alto e bello che le pastorelle, quando il sole era troppo caldo, venivano a riposarvisi un poco, raccontando le novelle. Una fra quelle non mancava mai, e più d’una volta, senza compagne, facesse freddo o calore cocente, veniva sotto l’albero delle Fate (era cosi che l’avevano battezzatoi. Colei ch’era si costante, non era la più innamorata, perchè ancora nessuno le avea detto la parola che rallegra: T’amo! No! il santo altare e la Chiesa erano le sue passioni, e fra le sue devozioni, era bella come un astro.
Jean Laurés
(1877-1902).
JANO D’ARC.
Del tems que la Franco, aganido
Conino uno reino estabanido,
Ero troulhado per l’Anglés;
Que nostros espasos de tallio,
Cado jour, dins uno batalho,
Se talblrabou su’l pabés,
E que lou paure traballiate
Semenabo amé soun alaire
Sans jainai pourre acampa res.
Abai, al founds de la Lourreno,
Al bilache de Doumreinì,
Dins un bosc ount lou jaussemi
Mesclo sa flairo am la bermeno,
l’abìò ’n aure qu’ero tant naut
E tant bel, que las pastourelos,
Quanti lou sourel ero trop caud,
L’i beniòu s’i repausa ’n pauc
E se racounta las noubelos.
Uno jamai mancabo pas,
E mai d’un cop, sans camarados,
Faguesso frech ou calimas,
Beniò joust l’aure de las fados
(Es atal qu’ero batejat).
Aquelo, qu’ero tant tissouso,
Ero pas la mai amourouso,
Per qu’encaro cap de goujat
l’abiò pas dich lou mot qu’enjaulo:
— T’aimi! — Nani; la santo taulo
E la gleiso erou sus passius;
Amai, amé sas deboucius,
Ero poulido coumo un astre.
(S. D. di Villeneuve (Béziersl (Lou Campestre))
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