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antologia poetica provenzale | 463 |
l’abìò ’n aure qu’ero tant naut
E tant bel, que las pastourelos,
Quanti lou sourel ero trop caud,
L’i beniòu s’i repausa ’n pauc
E se racounta las noubelos.
Uno jamai mancabo pas,
E mai d’un cop, sans camarados,
Faguesso frech ou calimas,
Beniò joust l’aure de las fados
(Es atal qu’ero batejat).
Aquelo, qu’ero tant tissouso,
Ero pas la mai amourouso,
Per qu’encaro cap de goujat
l’abiò pas dich lou mot qu’enjaulo:
— T’aimi! — Nani; la santo taulo
E la gleiso erou sus passius;
Amai, amé sas deboucius,
Ero poulido coumo un astre.
(S. D. di Villeneuve (Béziersl (Lou Campestre))
.
Vera un albero tanto alto e bello che le pastorelle, quando
il sole era troppo caldo, venivano a riposarvisi un poco,
raccontando le novelle. Una fra quelle non mancava mai,
e più d’una volta, senza compagne, facesse freddo o calore cocente, veniva sotto l’albero delle Fate (era cosi che
l’avevano battezzatoi. Colei ch’era si costante, non era la
più innamorata, perchè ancora nessuno le avea detto la parola che rallegra: T’amo! No! il santo altare e la Chiesa
erano le sue passioni, e fra le sue devozioni, era bella
come un astro.