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Sovra i sensi di lui, possente e forte:

Né i tuoni omai destar, non ch’altro, il ponno Da quella queta immagine di morte.

Esce, d’agguato allor la falsa maga, E gli va sopra, di vendetta vaga.

Ma quando in lui fissò lo sguardo, e vide Come placido in vista egli respira, E ne’ begli occhi un dolce atto che ride, Benché sian chiusi (or che fia s’ei li gira?), Pria s’arresta sospesa: e gli s’asside Poscia vicina, e placar sente ogn’ira Mentre il risguarda; e’n sulla vaga fronte Pende omai sì, che par Narciso al fonte.

Questi pittorici versi del Tasso valgono meglio di ogni nostra parola ad illustrare il quadro, qui riprodotto ad intaglio; ossia, più propriamente parlando, diremo che il dipinto del Conconi è un tentativo per far dire alla tela il concetto sì mirabilmente espresso dal divino Torquato. E vedi appunto l’Armida del quadro, pendere sulla vaga fronte del dormente guerriero, cupida, amorosa, più che nol fosse il giovinetto della favola, che morì al fonte languendo, preso dalla propria immagine. Benché sia questo il primo istante in cui essa vagheggia Rinaldo tu puoi già presentire nell’espressione del volto di lei, tutta la famosa scena, della quale sono poscia fatti spettatori Ubaldo e il guerriero Dano, allorché ascosi nel giardino incantato, veggono che ad essa … scintilla un riso Negli umidi occhi, tremulo e lascivo.

Sovra lui pende: ed ei nel grembo molle Le posa il capo e il volto al volto attolle.