Gemme d'arti italiane - Anno I/La famiglia del pescatore
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LA FAMIGLIA DEL PESCATORE SULLA SPIAGGIA DEL MARE
LA FAMIGLIA DEL PESCATORE
sulla spiaggia del mare
quadretto ad oliodi Eugenio Rosa
per commissione del Cav. Gio. Battista Giustinian
Da ogni linea di questo dipinto traspare l’affetto. Nel fermarvi sopra l’attenzione non è possibile di non ripensare a quelle soavi dolcezze domestiche con cui il povero si compensa degli amari dispregi del potente; dolcezze che sono sì grande balsamo alle anime rette, perché mostrano loro come niun bene pareggi quella pace che vien da virtù. Non altro vedi in questo dipinto che un marinajo adagiato vicino alla spiaggia del mare, il quale affisa alternativamente con occhio contento ora alla stia bella compagna seduta sopra un vivajo di pesce, ora al suo figliuolo che sdrajato in terra stuzzica in mille modi un cagnolino, vittima de’ suoi puerili trastulli, e che pur nonostante non sa staccarsene mai. La tranquillità che è nell’aria e nell’acqua, l’ilare solitudine di quella spiaggia si catenano mirabilmente alla pace improntata su quei volti amorosi; pensata accortezza dell’artista che sa quanto più dolce si faccia la calma dell’animo, se il cielo sorride sereno, o ne circondi amenità di campane, o il fiotto del mare ci batta pacifico al piede. Oh, guai al pittore che non cura o sprezza queste armonie del campo col sentimento dominatore del suo quadro! Quegli che dipinge uno svolazzo, o mille sconvolte pieghe in un Cristo orante, o rabbuja il cielo d’un tempestoso temporale quando figura una madre che cullandolo sorride al suo bambino, oh, quegli non intenderà mai la sacra parola dell’arte.
Possa d’or innanzi il bravo Bosa riprodurci più spesso temi simili al presente; ed avrà fatto allora meglio che de’ quadri belli, avrà fatto de’ quadri utili, de’ quadri che potranno dare vantaggiose lezioni al cuore. Né certo all’ingegno suo vigoroso falliranno i soggetti, specialmente se continuerà a cercarli nella vita interiore del popolo, in cui il sentimento non è velato né da cortesi ipocrisie, né da or vuote, or menzognere promesse.
Ci dipinga le allegrezze d’una povera famiglia che vede d’improvviso arrivare inaspettato soccorso da incognita mano: ci dipinga il fanciulletto che reduce dalle Sale di Asilo alla casa paterna, si inframmette per sedare le brutali discordie de’ genitori, o li ammonisce perché sopportino rassegnati la sventura: ce lo dipinga quando, incontrato un mendicante per via, gli dona il pane che andava sbocconcellando. Poi entri nelle chiese, negli spedali, nelle officine, e ci rappresenti quei tanti tratti di virtuosa e cristiana pietà, che l’artigiano esercita verso del suo fratello di lui più misero: uomini che recano parte dei loro piccoli sparmii a chi giace afflitto da lungo morbo; donne che vegliano assidue al letto de’ lor vicini malati; bambinelli, frutti lagrimegvoli dell’errore raccolti e cibati da famiglie pur di figliuoli straccariche; miseri cui la fiumana toglieva e vitto e casa e speranze, che pure in povero tugurio trovarono soccorso efficace, asilo non rimproverato.
Ecco i quadri ch’io vorrei veder sempre uscire dal valente pennello del Bosa. Forse molti estetici, molti mecenati, molti intelligenti torcerebbero il nifo, ma vi si affollerebbero intorno commosse quelle stesse moltitudini che ora nelle pubbliche esposizioni tanto s’allegrano, se scorrono una di quelle sue briose scene popolari in cui egli trasfonde sempre così mirabile verità.
Pietro Selvatico