Gazzetta Musicale di Milano, 1844/N. 10

N. 10 - 10 marzo 1844

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[p. 39 modifica]BAZZETTA MUSICALE ANNO HI. - N. IO. M MILANO DOMENICA IO Marzo 1811. Si pubblica ogni domenica. — el corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un colonie in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio si intitolerà Astolugia classica musicale. — l’er quei Signori Associati che amassero invece altro genere di musica si distribuisce un Catalogo di circa V Stillo pezzi di musica dal quale [tossono far scelta di altrettanti pezzi corrispondenti a N. 150 pagine, c questi vengono dati yratis all’atto che si paga l’associazione annua; la metà, per la associazione semestrale. Veggasi l’avvertimento pubblicato nel Foglio N. 50, anno II, 1843. SOMMARIO. I. IL Teatro alla scala. Linda di (’Jiambuntx melodramma in tre alti. - IL Varietà". Ciò che s’intende [ter una buona composizione musicale. - III. Notizie MUSICALI DIVERSE. 1. R. TEATRO ALLA SCALA lèi MI A DI CHAMOUAIX, Melodramma in tre atti di Dossi con musica del cav. Donizetti, eseguito dalle signore Taiioiivi ed Imovi e dai signori Gaiidom, Coi.i.ini, I’edrighivi e Rovere, (la sera ’ì marzo). ®*&KW&e<lele coni binazione fortuna- Aveva fissalo di cominff^^c’are questo cenno con delle yx^i^tDosservazioni sull’abitudine tra noi lauto inveterata di dividere qualunque rappresentazione d’opera, breve o lunga ch’ella sia, per mezzo a un enorme ballo, il quale, torna ora inutile il dire, quanta funesta influenza eserciti sull esito dei brani dello spartito che sono destinati a succedergli, (piando l’egregio sig. Lainbertini, in mi ultimo suo giudizioso articolo, mi ha prevenuto, appoggiando la verità di questo, (pianto inveterato, altrettanto assurdo costume colle più appaganti ragioni. Ecco dunque risparmiala a me la fatica di un’aposlrofe su tale proposito, ed a chi ha la bontà di leggermi la noja d una colonna di stampa di più. Aon ci resta dunque adesso che unire i nostri voli a quelli della Gazzetta Privilegiata e confidare nel1 avvenire. Ma davvero che se andiamo di questo trotto.osservando che gli spartiti teatrali oggigiorno crescono ognidì più di mole, arriveremo a punto tale che ci sarà forza rimanere a teatro tino a mattina, ovvero dovremo tacitamente soffrire di vederli stranamente mutilati, per nessun’altra ragione, se non quella di dare tempo e loco all’esecuzione di un gran bailo: notando che questi balli danno pure dal canto loro tutte le lusinghe di seguitare la strada progressista delle lungherie, chiaramente promettendo di regalarci ben presto delle azioni mimiche, non più in tre o al più cinque atti, ma in dieci, quindici, cinquanta Quadri. Sarei davvero curioso di vedere un po in qual modo vi si conterrebbe nel caso che all attivissima impresa dei Hegj teatri venisse in capo (cosa non al tutto improbabile) di porre in iscena uno di que’ • La musique-pur dits infle.rinns vives. accru tuées. et• pour ainsi dire, parlantes, exprime toutes les pas• sions, peint tous les tableaux. rend tous 1rs objets. • soumet la nature entière à ses savantes imitations, • et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme îles sen• timents propres a l’émouvoir. • J. J. flvrssitji’. sparlili, che appellanti Roberto il Diavolo, (ìli Ugonotti,tzec. Saremmo sempre a quella, di sfacciatamente omettere, tagliare, mutilare un brano qua, un brano là, senza arrossire neppure mi istante al pensiero solo di farsi rei o complici di sacrilegi di tal fatta. - Dunque 1 opera a sé. il ballo a sé. - Speriamo nel tempo. - Serviva però di appoggio alle osservazioni del sig. Làuibertiui un fatto in parte erroneo, e che qui è giustizia rettificare. Aon è altrimenti vero die j nel primo allo della Linda sieuo stali ommessi nè più pezzi nè un solo. 11 primo i atto fu dato per intero: e non solaiiieute come fu dettato dall’autore a Vienna, ma anche coll aumenlo de due brani aggiunti più lardi a Parigi, e clic sono la cavatina di Linda () luce ili quest anima, e la romanza di Pierotto entro le scene. Questi due j pezzi, dico, non esistevano alla prima comparsa di quest’Opera. E pero vero che la sinfonia invece esiste. e 1 u (immessa: e che essa è lavoro finito, originale, di tessitura nuova: sinfonia studiatissima, accuratissima. oltremodo accarezzala e eiuslamenle i n predilelta dal compositore ÿ e die olire a ciò ha sommamente piaciuto (‘<1 anzi ha elettrizzalo. cosi ci raccontano, il pubblico viennese. Perchè poi qui questo famoso pezzo sia stato omesso. dirò aneli io con Michelotto, questo è quel che non si sa. Sono di que’ misteri alti ed ascosi, a quali c è forza chinare riverenti il capo, e pretendere di levarne il velo sarebbe vana temerità. Ciò non impedisce pertanto che la pubblica curiosità non cerchi indagarne le ragioni, e die non vi siano gli uni, i quali asseriscano, che la sinfonia fu ommessa perchè non faceva effetto, (il che è assurdo perchè ognun sa, come prima ho accennalo, quanto ne abbia già ottenuto altrove ) e non v’abbiano gli altri che portino delle ragioni ancor più forti e (a dirla a quattr’occhi che nessuno ci senta) non troppo lusinghiere nè per gli uditori, nè meno ancora per dii doveva eseguirla.... Siamo in tempo ancora, e si potrebbe una bella sera farci il regalo di questa sinfonia: cosi faremmo lacere ogni mala lingua, die ve ne son! pur tante, e lascercmmo al nostro pubblico l’incarico di rettificare il giudizio cosi favorevole de Viennesi intorno a questo pezzo di musica. Veramente. siccome le opere si danno per il pubblico, e non per altri, sembrerebbe anche sufficientemente giusto e naturale che a questo solo fosse dato il diritto di dare su ogni singolo pezzo la sua Il prezzo dell’associazione alla Gazzetta e alla Musica è di elTcliive Austriache L. 12 per semestre, ed elTcttiv» Austiache L. 14 affrancala di [torto lino ai contini della Al cui a re li ia Austriaca; il doppio per I’ associa zinne an liliale La spedizione dei pezzi di musica viene falla mensilmente e franca di porlo ai diversi corrispondenti dello Studio Bicordi, nel modo indicato nel Manifesto. Le associazioni si ricevono in Milano presso I Tllicio della Gazzetta in casa Bicordi, contrada degli Omcnoni N.° 1720: all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Cilici postali. - Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto. sentenza. Ma di ciò basti, e rispettiamo i misteri di Milano (•). L autore de’ cinquecento e uno libretti, il sig. (ladano Rossi, fu ben avvisalo nel trarre questo suo melodramma dall applauditissima pièce francese, che porla il (itolo M la grâce de Dieu e che al nostro teatro Re abbiamo più sere gustala. Il carattere di Linda, che partecipa dell ingenuità soave di Annua nella Sonnambula, e nelle scene della follia si approssima alle tinte della Ama del Paisidlo. è, abbencliè non nuovo, pur (pianto basta drammatico ed interessante. Questi argomenti pa(1) Benché, leggendo jeri I’ ultimo numero del Pirata, ci siamo accorti d’essere già stati da lui prevenuti nelle rettificazioni da noi imlirille all Estensore della Gazzella Privilegiala, tuttavia abbiamo pensalo di lasciare l’articolo come sta, per la semplice ragione che non possiamo menar buone le giustificazioni che fa il suddetto giornale in proposito alle mutilazioni praticale qui nella Linda. - E, prima ili tutto, notisi, in risposta all’asserzione del Pirata, che la cavatina di Linda e la canzone che Pierotto canta entro le scene non furono qui mandale da Donizetti, quasi fosse questo un regalo ciac l’illustre compositore facesse ai Milanesi; ma bensì questi pezzi, come nel nostro articolo accennasi, furono composti per Parigi, e il sig. Bicordi fino da quel momento li possiede, ed il Bicordi medesimo li conseguii all’impresa; come pure, ancora il Bicordi possiede anche il Duello del terzo allo, die qui si ammise per ordine dell Autore (continua a diri’ il Pirata), il qual Duello sara forse stalo ommesso a Vienna, ma invece a Parigi fu eseguilo colla cabaletta rinovala per Lablachc e produsse, dicesi, grande effetto. Termina il Pirata coi dire che se la Sinfonia non fu qui eseguila, si è, perchè il niaestro Zia parimenti prescritto di lasciarla. - Ne perdoni il Pirata, ma per noi questi ordini e queste prescrizioni d un Autore che trovasi a un mezzo migliaio di miglia lontano da noi (e che non ha pili nessun diritto di emanare ordini relaliv i alle riproduzioni di un suo sparlilo), sono cosa pili misteriosa dei misteri da noi succitati. Primieramente ne sembra impossibile, o almeno mollo strano, l’ordine di omettere un pezzo che, quale si è codesta Sinfonia, ha destalo daperliillo laida ammirazione, e tallio plauso. Questo ordine imi l a’remino ritenuto almeno per uno scherzo. In secondo luogo non sappiamo intendere perchè l’illustre maestro voglia fare a noi soli questa amara distinzione, quali non credendoci degni di poter apprezzare i suoi più bei lavori. - L se Donizetti avesse anco per esempio mandalo 1 ordine di omettere la Cavatina di Linda, il Duello col Buffo, l’Arii della Follia ed allei de’ pezzi più a p] ila lidi li, oh! avremmo voluto ben vedere allora se si avrebbe prestalo tanta cieca sommissione e obbedienza alle prescrizioni cd ordini del celebre compositore! Sarebbe lo slesso come se Bossini ordinasse di non eseguire la sinfonia del Gut/lichno Teli. Chi gli obbedirebbe? - Noi dichiarami» adunque, che se è vero che quest.’ ordine del maestro esiste, siamo indolii a risguardarlo come offensivo, o per il pubblico, o per gli esecutori, e forse sì per I’ uno che per gli altri; e che in conseguenza, contro un tal ordine, sarebbe stalo indispensabile dovere, per nostro comune decoro, di reagire. [p. 40 modifica]storali, semplici, a tinte dilicate, qualora siano vestiti di musica rettamente appropriata, qual è questa del Donizetti, esercitano sugli spettatori assai di sovente un sentimento di calma dolce e voluttuoso. Questa calma era da noi tanto più desiderata nella presente circostanza, che stanchi, oppressi, e sfiniti dai sussulti convulsivi che provammo per più di due mesi agli spasimi di Maria, di Norma, dell’Ebrea, avevamo assoluto bisogno di respirare la tranquillità e di riposarci da tanti attacchi nervosi. Questa deliziosa Linda non poteva dunque venire meglio a proposito. È sempre caro il riso, tanto più se succede a lunghi pianti. Egli è per questo che anche quello stupido personaggio del marchese di Boisfleury si cattivò tanto la generale simpatia, della quale avvertiamo da bel principio che notevol parte fu merito dello spiritoso attore, il sig. Rovere. Que' cosi detti buffi comici sono pure la sciocca cosa molte e molte volte! Non è a dirsi quanto essi tolgano all’effetto di un quadro drammatico e delicato.

Osservate, di grazia, se v'ha nulla di più insulso di questo carattere del Marchese. Adesso non mi ricordo se nell'originale francese esista quest’uomo: ma e certo che. anche se introdotto, e sarà trattalo assai diversamente.

Dopo che il poeta pone ogni cura. e riesce anche in parte, a dare a tutti gli altri personaggi del suo melodramma il carattere il più possibilmente poetico, a trattare il più elegantemente possibile l'amor paterno nel personaggio di Antonio, l'amicizia in quello cosi simpatico di Pierotto, l'amore tradito e l’affetto figliale in quello di Linda, svestendo que' buoni contadini savojardi di lutto ciò che di rozzo possono avere, e che potrebbe presentarsi disgustoso agli occhi del pubblico, e non ritenendo, dirò cosi, che il bello ideale della vita pastorale, egli ha il coraggio, in mezzo a un quadro tanto affettuoso ed interessante, di gettarvi lì questo Marchese, che nulla ha a fare e nulla fa nel dramma: uomo or buono ed or malvagio, ora sensato ed ora imbecille, prima temuto, poi sbuffonato. Se ho da esternare quello che sento, bisogna che io confessi che con questi buffi-caricati introdotti in un argomento tutt’altro che ridicolo 1'ho sempre avuta un poco. E cosa per me inesplicabile che laddove e poeta e maestro cercano tutti i modi per trascinare il loro pubblico all interesse, alla commozione ed a ciò che infatto si chiama investirsi del dramma, si possa sopportare che sorgano ex abrupto a levare ogn'illusione di verità de’ personaggi impossibili, quali sono quasi sempre questi buffi, antipatici e disgustosi, perché mere caricature solitamente di sciocchezza e di mal cuore. Da ciò vedesi chiaro che io intendo qui parlare eccezionalmente dell intervento di questo genere di buffi nelle opere che diconsi semiserie. A prova delia mia asserzione voglio portare ad esempio il duetto del primo atto tra il protagonista ed il buffo nel Furioso dello stesso Donizetti. Voi vedrete che quel pezzo, esposto che sia ad un pubblico educato, rare volte ottiene effetto. E perché? non per colpa della musica al certo, la quale anzi è espressiva quanto si può desiderare nel canto di Cardenio e di bellissimo colore buffo nella parte di Kaidamà. Ma gli è perché la situazione drammatica è complessa: voi vi trovate allora in una situazione siffatta, da non sapere se dobbiate piangere alle disgrazie di quel povero pazzo, ovvero sorridere alle melensaggini di quel moro. Tolto anche il principio incontrastabile che nelle scene commoventi o terribili qualunque cosa che ecciti al ridicolo non ottiene il suo effetto, ed anzi prende un aspetto rivoltante o almeno distraente, vedesi chiaramente che due caratteri, l’uno appassionatissimo, l’altro ridicolissimo posti a contatto, devono forzatamente distruggersi l'un l’altro, e l’impressione non può in conseguenza che restar nulla. Altrettanto dicasi di quell’altro cbiacchieratore di don Gerardo nel Torquato del medesimo Donizetti. Intendiamoci bene, che questa mia è, lo ripeto, una semplice osservazione eccezionale. e che altra cosa è allorquando essi (i buffi) introduconsi nelle opere interamente buffe, scopo delle quali non è che di tener vivo il buon umore a chi ascolta. Là li approvo anch'io ed anzi li prediligo. - Ma per esempio qui, nel caso nostro della Linda, a nessuno deve essere sfuggito quel mal senso che producono le parole del Marchese in quella divina scena dell'atto terzo, allorché sentesi da lontano la ghironda di Pierotto che invita Linda a seguirlo, e dove il Marchese va interpolando le parole Sentite la canzone di Pierotto. Se il pubblico secondasse allora le intenzioni dell attore che sostiene quella parte, bisognerebbe che ridesse: poiché è d’uopo anche avvertire, tra parentesi, che i buffi sacrificano sempre qualunque convenienza drammatica allo scopo di far ridere: è questo un loro particolare diritto, al quale conviene chinare la testa: ora, nel caso accennato, trascinare in quel momento il pubblico al riso e levare di pianta ogni interesse di quella situazione così affettuosa e toccante è lutto un punto. Dunque conveniamo che anche in quest’opera la parte del sig. Marchese è condannabile (sempre parlando riguardo al libretto), perché senza interesse, senza carattere, disgustosa, e di più inutile, inutilissima, potendo essa togliersi del tutto dal dramma, senza che l’azione ne resti menomamente lesa.

Fatta però astrazione da questo (il che sarà forse, se volete, anco una mia sofisticheria), è d’uopo lodare il modo col quale fu tessuta l'azione e fu imitato l’originale francese. Solo ne sembra che dalla scena tra Linda ed il Visconte nel secondo atto potevasi ottenere migliore partilo. Mi ricordo che nel dramma originale era essa d’un effetto piccantissimo e ad un tempo gentile e casto. Quel Visconte che, vicino al momento di tradire la sua Linda, ha l’arditezza, tutto tacendole, di esigere da lei de' segni d’affetto più caldi che d'ordinario, adducendo a scusa che prova una fiamma insolita e. un fervido desir, è presentato, se dobbiamo dire il vero, sotto un aspetto poco delicato.

Tutta quella scena unita all'interessante momento in cui odesi sotto le finestre la ghironda di Pierotto, che come una segreta voce del cielo restituisce Linda a' sentimenti i più puri, poteva, parmi, essere trattata con più garbo e con assai più d’effetto. E cosi bella e delicata quella situazione! Al contrario la scena seguente della figlia col padre, e quella della follia sono svolte con rara perizia drammatica.

Ne piace tessere questi elogi al talento forse in parte disconosciuto del sig. Rossi, il quale, se come Don Isidoro non avesse ognora avuto inesorabilmente avverso il Biondo Apollo bellissimo Nume, avrebbe potuto sedere un po’ più alto tra i moderni librettisti.

La musica dì quest'Opera è, senza tema di dir troppo, né più né meno quella che deve essere: affettuosa, nuova senza pretensione, quieta, dolce, non mai convulsa né tragica, né mai scurrile, nel quale ultimo difetto sarebbe stato facilissimo incappare più ch’altro nell'ignobile parte del Marchese. Ma Donizetti per quanto potè la nobilitò, e la rese il meno possibile urtante. - Se è vero che ogni compositore di musica, per quanto proteiforme ei sia, abbia un genere, nel quale gli sia dato più che in qualunque altro segnalarsi, qualora si esamini minutamente questo suo spartito, si sarebbe indotti a conchiudere che il genere che Donizetti tratta in modo superiore sia quello dell'Opera pastorale. Egli può ben elevarsi, e ne abbiamo tante irrefragabili prove, alla maggior severità del coturno, come pure può essere perfetto nel buffo, ma, a mio parere almeno, nessuno spartito dell'illustre compositore è, come questo, vero, si nelle più minute particolarità come nell'intero concetto. Quella giusta via di mezzo tenuta in questo lavoro, senza che, come già prima notai, nulla risenta dell'esagerato, senza che la musica prenda mai un solo momento l'impronta o troppo grave o troppo gaja (difetto immensamente difficile a sfuggirsi, e nel quale incapparono grandissimi maestri), dà a questo spartito un cotale carattere di unità, al quale ben pochi possono, a parer mio, competere la palma. Insomma. ripeto, qui avvi verità, ed il nostro pubblico l'ha sentita, l'ha compresa, e le ha fatto festa come ad una delle più care amiche che da lungo lunghissimo tempo non si veda. Godo che i miei presentimenti nel ritorno dal sistema d'esagerazione a quello della verità(1) siensi diggià in si gran parte avverati, e ritengo che moltissimi degli applausi che hanno festeggiato questa Linda sieno dovuti a quella improvvisa e non isperata calma che abbiamo gustato all'udire musica e canto. Egli è da si gran tempo che non ne udivamo.

Dissi musica e canto. Sì: nella Linda abbiamo realmente sentilo a cantare: tanto è vero che avevamo a protagonista la Tadolini: e ognun sa come la Tadolini canti. Ritengo dunque inutile parlare di lei, perché, che cosa potrei dire di nuovo di questa voce vellutata, ugualissima, estesissima, agilissima, nobilissima? Che della sua bella invidiabile scuola? - Ma noi abbiamo fatta anche una nuova pregiabilissima conoscenza d'un altro artista che sa cantare; intendo dire del signor Collini, che qui sostiene la parte di Antonio padre di Linda. Egli possiede la doppia e si rara dote d’essere cantante finitissimo e al tempo stesso intelligentissimo attore. E non è che solamente v'abbia criterio ed intelligenza nella sua azione e nel suo canto, ma v'ha assolutamente passione sentita, passione che viene diritta dal cuore.

La bella scena della maledizione fu da questo artista interpretata con tutta la forza del sentimento. La collera paterna, giusta bensì, ma spaventevole e tremenda, e da lui espressa a meraviglia. Aveavi taluno che voleva appuntare in quella scena al sig. Collini una leggerissima pecca, ed è quella di trattarla con alquanto forse di fare [p. 41 modifica]— 41 — troppo tragico, non congruente al carattere del contadino ch'egli sostiene. Noi non vogliamo darci cura di queste impercettibili particolarità: ma riteniamo che la passione nel suo più grande sfogo si sviluppi eguale dall’uomo infimo sino al grande, perché primo effetto della passione è quello per certo di mettere a nudo il cuore umano, svestendolo di tutto quanto l'educazione può averlo vestito. Se la passione è nobile, il suo sfogo eleverà a grandezza anche l’uomo incolto: se invece la passione è bassa, vedrete l'uomo più superbo e fiero strascinarsi nel fango. Mi sembra, parlando del caso in questione, che l'ira d'un padre possa annoverarsi nella categoria delle passioni maschie e tremende, e che perciò per ben renderla debba essere improntala di qualche cosa di imponente e gigantesco. - La voce del sig. Collini è di buono baritono, bastantemente forte e metallica dal re al re; le note più acute sono men belle ed alquanto gutturali: egli però sa attaccarle con molta facilita, e sa adoperarle con effetto in parecchi punti drammatici. Il suo porgere è sicuro, e disinvolto: lo studio, direbbesi, vi si confonde colla natura: quantunque ritengo che il primo prevalga di molto, e ciò sia detto anzi a tutto elogio di questo artista. I suoi modi e le sue fioriture sono mai sempre eleganti, abbenchè tendano talvolta alquanto al manierismo, e sembrino richiedere con bella grazia sì, ma forzatamente l'applauso. Per esempio, nella affettuosissima romanza del primo atto, la comune (da lui molto prediletta e ripetuta anche in altri pezzi), che ha luogo prima sul verso Soffro e temo in questo di, e la seconda volta sull'altro Che tremar così mi fa, è poco in carattere col sentimento delle parole. Il sig. Collini die ha tutte le qualità per poter innalzarsi al grado di artista-tipo, deve saper sacrificare la soddisfazione d’un applauso di cattivo gusto alla coscienza d'essere vero. Abbandoniamo intanto questa digressione, ed addentriamoci un po' ne’ particolari della composizione musicale, che è veramente la principale nostra partita. Ho già fatti gli elogi della elaboratissima sinfonia, ai quali, voi che non la avete sentita, vi prego di sottoscrivere sulla mia parola. Dopo la lodata romanza del Basso (di cui la prima frase melodica ricorda un'aria della Marescialla, di Nini, aria che Donizetti forse non saprà nemmeno esistere), avvi la sortita del Marchese, che si risolve in stretta dell'introduzione, improntata del fare svelto e gajo dell’autore dell'Elisir. La nuova cavatina di Linda, scritta per la Persiani a Parigi, quantunque in ritmo costantemente uniforme, respira tutta l'eleganza. La Savojarda di Pierotto: Per sua madre andò una figlia, è in quanto a valore musicale estetico il brano capitale dello spartito. La soave e tranquilla melanconia del canto, la novità degli accompagnamenti, quelle lente semitonate nelle note gravi del clarinetto, la melodia cosi nuova e caratteristica, indicano abbastanza quanto amore abbia posto Donizetti nel musicare questa canzone. E ne aveva ben d'onde, poiché è ben essa che imprime al dramma, per cosi dire, il marchio caratteristico. Ell'è questa soave e gemente cantilena che va intercalando l'Addio de' fanciulli, che guida Pierotto a Linda, e che ritorna alla combattuta fanciulla la memoria della madre:, ed è sempre quella medesima canzone, potente talismano, che trascina la povera Linda per un cammino di duecento leghe al casolare natio, e che finalmente unita a un altro canto, ancora più possente, perché quello dell’amore, restituisce la bella innamorata alla ragione. - Però la bella strofa che Pierotto canta di dentro (brano, come già notammo, aggiunto a Parigi e del quale fu anche obbliato di includere i versi nel libretto), e che precede la descritta canzone, essendo composta nello stesso tuono e movimento, toglie a quest ultima alquanto d'effetto, ed imprime fatalmente nell'animo di chi ascolta un senso di monotonia; il che, senza quel canto antecedente, sarebbe certamente evitato. Non so vedere lo scopo dell’aggiunta di quella strofa. La cabaletta del duetto tra i due amanti è tutta amore: lo stacco dal pianissimo al fortissimo nella ripresa dev’essere e fu, ne vien detto, di effetto sensibilissimo in teatro meno vasto. Alla Scala questa nuova idea rimase in parte paralizzata. Nel primo tempo del duetto dei bassi va notato per sentita espressione della parola il solo di Antonio Ah! lo dovrà conoscere. Quanta verità e passione in quel breve tratto! L’andante a tre quarti scade un poco; migliore è la cabaletta per una cotale solennità, che l'imponenza del Prefetto può motivare. Forse son troppo comuni e non di tutto buon gusto quelle note martellale, rese anche poco simultaneamente dai due attuali esecutori, signori Collini e Fedrighini. Essi trovansi troppo lungi l'uno dall’altro per potere accordarsi in un passo non legato da obbligo di misura. La preghiera finale del primo atto è attinta in gran parte ad un pezzo d'assieme del Buondelmonte, opera che poi si fuse in quella più nota di Maria Stuarda, ambe di Donizetti. Questa preghiera intonata dalla sola voce del Prefetto va mano mano arricchendosi, con larghissimo e varialo crescendo, di tutte le altre voci. L ultimo addio che viene intonato dai ragazzi sulle alture, e ai quali risponde tutta la rimanente massa delle voci, è in vero commovente. Questo finale, nuovo nel concetto e nuovo nella forma, rivela ampiamente la mano maestra del compositore, che tant’arte vi ha messo, senza ch'ella opprima e nemmeno apparisca. Nel second’atto, dopo il soavissimo duellino di Linda e Pierotto. avvi quello di Linda ed il Marchese, pezzo eccellente per sé stesso, ma che ha il difetto di staccarsi assai dal colorito rimanente dell’opera; è un duetto che principalmente nel primo tempo rammenta la vecchia scuola buffa: la colpa non è del maestro ma bensì del Marchese introdotto dal poeta. Qui viene un altro piccolo malanno del librettista ed è che Linda, dopo due ore che sta attendendo l'amante, si ritira ne’ suoi appartamenti. Come succede quasi sempre, l’amante giunge in quell’istante medesimo: né ella lo sente, né egli si dà cura di farsi vedere: intanto, in attenzione della bella. l'innamorato Visconte canta un lungo recitativo ed una lunga romanza. Ed eccoci sempre qui con queste convenientissime convenienze artistiche! - Ma Linda, a cui il cuore con un repente battito violento dicea che il Visconte era lì, arriva in iscena e qui ha luogo quel tale duetto del fervido desire tra i due amanti. Sia perché questo pezzo non fu, come già notai, abilmente trattato dal poeta, sia che la troppa abbondanza di duelli nello spartito (non sufficientemente l'uno dall’altro distinti a motivo di poca varietà di forme) generi qualche monotonia, è certo che in tale situazione del dramma si desidererebbe un’impressione più viva. Le scene susseguenti della Maledizione e della Follia sono invece un capolavoro di musica drammatica. Il coro d'introduzione del terzo atto, a cui si tolse un bel tempo di mezzo fugato, racchiude gentili ed accurate idee, massime nel brindisi finale a voci sole. Tiene dietro a questo un duetto tra il Visconte ed il Prefetto che venne omesso per brevità. Ma Linda che credeasi morta, ritorna, folle sì, ma ritorna, ed è sempre una gioja il ripossederla. Ho di già accennato ’ come, mercè la ballata di Pierotto e quella più efficace del Visconte. Linda ricuperi la ragione; come il Visconte se la sposi su due piedi, e come tutto finisca come finisce ogni azione teatrale dove non vi abbiano parte integrante pugnali, veleni e morti, (che il cielo ne scampi!). V’ho già detto tutto questo: ma quello che non posso né potrei mai arrivare a dirvi, si è come il grande maestro abbia trattato tutta questa ultima lunghissima scena. Cominciando da quel sublime ritornello, dove la canzone di Pierotto si riprende tratto tratto, poi si abbandona, si perde, poi si rammenta ancora, e che diventa sempre più languente e straziante, come il ricordarsi del tempo felice nella miseria: a partirsi, dico, da quel pezzo istrumentale fino all’ultima cabaletta, che la Tadolini eseguisce, e che non appartiene allo spartito, ogni frase, anzi ogni nota accusa la penna sovranamente maestra che la tracciò. - Oh! non vi fosse (lasciatemi esclamare anche una volta) non vi fosse là quel benedetto Marchese a rompermi tanta poesia!-Ed a proposito del Marchese, fa d'uopo avvertire che m’era dimenticato di accennare la sua graziosa aria del terz'atto, trattata con novità nell’ultimo tempo. Perciò che riguarda la Tadolini e Collini, ne pare di aver detto più sopra bastantemente. Quella che ne riuscì poi pressoché nuova sotto spoglie virili si fu l’Alboni. Ella superò, per dirla alla foggia giornalistica, sé stessa. Direste scritta per lei la parte di Pierotto. Quella sua voce voluttuosamente lamentosa si presta a perfezione alle cantilene quiete e tristi del giovane savojardo. Il signor Gardoni si presentò di nuovo a noi ricco di sensibili progressi nella scioltezza del porgere, ed in ispecial modo nella scuola del fiato Fedrighini colla sua bella voce non poteva essere meglio collocato: egli fece risaltare tutta l'importanza di questa poggiata parte del Prefetto. Nutro poi speranza che l'egregio signor Rovere non vorrà conservarmi rancore se m'ha trovato tanto in collera con quel signor Marchese. Lo prego a distinguere ch'io l'ho col Marchese del signor Rossi, e non con quello del Donizetti: meno ancora con quello del signor Rovere, di quel Rovere simpaticissimo, uno de’ primi sostegni dell arte comico-cantante del giorno. L esecuzione complessiva fu assai buona, quantunque la messa in iscena sia stata un pochino precipitosa ed immatura. Non ho mai sentito alla Scala a trattare gli accompagnamenti con tanto di leggerezza e di pianissimo come questa volta nella Linda. Per non accennarne altri, ricorderò quel solamente di quelle belle terzine sorvolanti nella frase dei primo duetto A consolarmi affrettisi, accompagnamento affidato prima ai violini poi al clarinetto. Quell’accento [p. 42 modifica]— ^=C NOTIZIE MUSICALI DIVERSE EDITOBE-TBOPBIETARIO* dingo e circospello nell’emanar sentenze, perchè lo che non è seconda alle altre nell’esigervi, a ben comprènderla, qualità naturali ed acquisite?

Pare che a cerio Giornale non sia andato a verso scherztoso-aereo reso si dall uno che dagli altri de*nostri abilissimi esecutori, ritengo che interpreti, quanto mai si può, la svelta idea del compositore. ■libarlo Mazza calo. VARIETÀ Ciò che H’iiilende per una buona composizione ni usi cale (1). Domandate ad un uomo che ami la musica senza esser conoscitore, ciò ch’ei pensa d’mi pezzo quaspenderà, per lo più, in termini generali, consuonanti la maggiore c minore convenienza o disconvenienza delle proprie sensazioni. Volendo poi - e qui intendiamo parlare della sola musica strumentale - penetrare più addentro, ei si troverà sotto l’influenza di emozioni vaghe, ineomprensibili, che sfuggono all’analisi c che risultano dal confronto ch’egli stabilisce, inavvertitamente, fra la situazione della propria anima e l’espressione melodica o armonica dei suoni che sente, il che ci spiega il gusto passionalo che manifestasi presso la maggior parte degli uomini pei piaceri musicali: l’emozioni vaghe e misteriose hanno, a (pianto sembra, pel cuore umano, un’attrattiva irresistibile, cui si congiunge, nella musica, il piacere di cui ne gioisce l’orecchio. Ma se il semplice amatore s’attiene nei suoi giudizj a quello ch’ei prova, senza potersene, render conto, fa d’uopo che, il vero conoscitore nello apprezzare ch’ei fa, mi lavoro d’arte, prenda pei- base la giusta integrale significaziom’di esso: epperò il biasimo e la lode saranno in lui la conseguenza necessaria ed imparziale dei principj dilla scienza. Ora (a questo ritallo e d’esperienza, ed appunto per guidarli nei giudizi che avranno essi a dare, io vó’ tenlarc la ricerca, in quest’articolo, degli elementi costitutivi d’uria buona produzione musicale, e delie qualità la cui riunione forma il compositore perfetto. Ardisco lusingarmi che, le mie osservazioni, le, quali sono il risultamenlo di coscienziosi studj, potranno pur esser di qualche utilità ai compositori che entrano in carriera. Ogni pezzo di musica deve esser riguardalo sotto un duplice punto di vista; sotto il rapporto dell’invenzione dapprima, quindi sotto quello dell’esigenze dell’armonia o del conlrappunlo. l.° Invenzione, piano e divisione. Ogni buona composizione esige un piano rettamente, concepito, le etri (1) Da «pianto in questo dottissimo articolo vien esposto si pui) facilmente dedurre, che, per ben giudicare. mi lavoro musicale qualunque, non basta aprire le orecchie, avere buon senso, e chiudere un cuore nel seno. No: non bastano ad alcuno nè la menlc e il cuore, nè gli occhi e le orecchie (nulla cale di quale specie siano) per credersi in drillo di parlar di belle, arti, qualora non vi aggiunga una coltura speciale a ciascuna di esse. Poiché altro è il compiacersi di una bell’arte, gustarla, rilevarne ben anco il bello ed il sublime, altro è Fesser in grado di convenientemente darne un giudizio, entrare nei particolari di essa e meltorli a disquisizione, spiegare a sè slesso e ad allei la derivazione di certi effetti, come di rendersi conto delle proprie, e delle impressioni altrui. Che un profano che abbia un cuore nel seno si agili alla vista di un quadro, di mia statua, ecc., bene sta: ma che si provi, un po’, quest’istesso a tenerne discorso come di lavoro d’arte?... Epperò, se, trattandosi di opere articolo del p. p. numero, poiché, volendo egli provare il contrario nei modi che gli son proprj, conchiude. niente meno col dire che ehi non vede come lui, nella materia in questione, non può essere che uno sciocco, un pazzo, un uomo a cui si fa notte avanti sera.... Cosa rispondere, a proposilo del farsi notte avanti sera, a questo cotale che non ha veduto nè 1 vede tanto meno, come uno spiritoso suo articolista con un titolo immaginario, e con un i sottoposta nota, che può esser temila più immaginaria ancora, gli fa passare per originale uno scritto, che non è altro che una libera traduzione, raffazzonala con garbo, di un aneddoto galante il (piale, coi velinomi di Hamilton, e non di Cile velami, di Contessa di Chesterfiebl, e non di Lady Anna Brounkller, riscontrasi (in un collo stalo dell’atmosfera) nelle. Mémoires du Comte de Grammont da ognuno che non sia quel desso a cui, invece di avanti sera, si fa notte a mezzo giorno?.... P. A. Minali. t divisioni corrispondano fra loro c si regolino sulla dimensione dell’insieme. Nella stessa guisa che un confuso ammasso di materiali di costruzione non forma una fabbrica, cosi non basta un miscuglio di note fluttuanti all azzardo e d’idee incoerenti ptr costituire un’opera musicale. E d’uopo disbrogliare questo caos: è d’uopo dare, un senso a queste noti1, è d’uopo sottomettere queste idee ad un ordine ben inteso c congiungerle ad un’idea generale, ad uno scopo comune; è d’uopo di più che il conoscitore possa afferrarne facilmente il collegamento ed abbracciarle senza sforzo nel loro insieme. Che ogni composizione, dunque (1) abbia due o tre parli principali, secondo che il pezzo è più o meno esteso. Quando vi sono due parti principali, la prima sia terminala d’ordinario colla dominante, e la seconda colla Ionica; e quando ve n’hanno tre, la prima finisca d’ordinario nella dominante, e la seconda india sesta, o nella terza in tuono minore, se il pezzo è in tuono maggiore, e la terza nella tonica. Ciascuna delle divisioni principali si suddividerà, a sua v olla, in tre parti distinte: la prima conterrà l’introduzione e l’esposizione dell’idea principale; la seconda sarà riempita dai periodi degl’intermezzi; nella terza filialmente si troverà la modulazione finale che deve, accordarsi con le due precedenti’. L’espressione dell’idea principale, deH’ideariiadre del lavino musicale, nella seconda e terza divisione principale, (2), dev’essere la stessa che nella prima, o almeno rassomigliente, in quanto alla forma della melodia e dell’armonia. Così avverrà de’ periodi intermediari e delle modulazioni finali; tuttavia egli è essenziale che in ognuna di queste div isioni la melodia e (’armonia camminino pei- v ia di tonalità differente, ’brattando convenientemente queste divisioni secondarie, si stabilisce una giusta proporzione fra le diverse parli; di più, ne risulta ad un tempo stesso varietà e unità, qualità indispensabili ad ogni opera d’arte che all onore aspira d’esser giudicala dalla critica. IL” Carattere. L’uà composizione musicale deve sempre portare l’impronta d’un sentimento, d una disposizione dell’anima qualunque; ch’essa esprima la gioja deH’amore, gl’impeti della collera, lo slancio dell’entusiasmo, o la calma della felicita, non importa-, purché essa esprima qualche cosa. L’autore è perfettamente libero di scegliere fra le passioni che sconvolgono a vicenda il cuore dell’uomo; ma, falla una volta la scella, è d’uopo ch’ei vi persista. Dal piano e. dalla disposizione delle diverse parli lino ai minimi particolari dell’esecuzione, tulio dev’essere subordinato al senlimento ch’ei si propose di pingere, che deve decidere del riimo, della misura, delle forme della melodia, ecc. In questa guisa la composizione imprimerà al musicale lavoro quello che chiamasi un carattere distintivo. 111.” Melodie, rifioriture, e tratti (li abbellì mento. La qualità essenziale della melodia, è quella di piacere; per le rifioriture e pei tratti di abbe.limenlo, menti. Essi dovranno essere, del pari che la melodia, spontanei, netti e chiari da esser còlli subito nel segno, senza mai divenir comuni e triviali; di più, essi dovranno riflettere il carattere generale del pezzo. Questo carattere debbe egualmente ritrovarsi nell" accompagnamento delle melodie, ecc., e senza escire da una data tonalità, colla scelta e varietà delle riempiture, si poi) ottenere una gran varietà negli effetti. IV.0 Qualità d unii buona composizione musicale sotto il rapporto dell’armonia. 1. Correzione grammaticale. 2. Semplicità e chiarezza nelle modulazioni. Queste qualità risultano da una certa disinvoltura di condurre i suoni fra progressioni armoniche, la quale ne rende agevole l’intelligenza, e che, di radosi trova nei compositori principianti; essi schivano il naturale per paura 5. Cognizione degli stromenti. Il compositore non deve dimandare agli stromenti che gli effetti analoghi alla loro natura, e senza che l’esecutore abbia a vincere grandi difficoltà. E manifesto che noi qui non parliamo dei pezzi di bravura, di concerti, ne’ (piali il virtuoso si produce dinanzi al pubblico. 4. (Giudiziosa e sana interpretazione degli effetti. Accade sovente che un tal passaggio sembri belìo sotto la penna e sia mancante poscia all’orecchio, mentre una modulazione, che debole vi sembra alla lettura, s animi improvvisamente sotto le dita dell’esecutore e produca immensa sensazione. Soltanto dopo lunga e paziente pratica si può giungere a calcolare l’effetto d’un passaggio con qualche certezza; è dunque di molla importanza che i principianti diansi di buon’ora e con tulle le loro forze a questo studio. Soprattutto la musica strumentale prendemmo di mira nei principj che abbiamo esposti; essi si applicano in gran parte egualmente alle composizioni vo(I) Non si (ralla qui che di sinfonie, concerti, quar- l felli, quintetti o sonate per pianoforte. In quanto ai pezzi vocali, ne. parleremo più tardi. (2) Questa conformità deve ricercarsi più severa- j mente nella terza che m ila seconda divisione, ove la- ’ sciasi più vasto campo al genio del compositore. I cali; tuttavia, per rentier completo il mio lavoro, credo necessario aggiungere alcune osservazioni relative a queste ultime. In un pezzo di canto, il compositore ha mollo minore larghezza che allorquando» trattasi di musica strumentale. Il piano e la divisione sono dati; essi dipendono dal testò che determina egualmente il carattere della composizione e per conseguenza le melodie. Il primo dovere del compositore è di studiare, il senso delle parole, e il suo merito più grande si è quello di renderne completamente l’espressione poetica. Fa d uopo s< andere i versi, in modo che. l’orecchio ne afferri facilmente il ritmo, e l’accento deve poggiare sulle parole che hanno maggiore importanza nell’ordine intellettuale. Non vogliale impiegare gli abbellimenti c le rifioriture che nei luoghi ove essi producono l’effetto dovuto, e nell’accompagnare, disponete i vostri quadri d’orchestra in guisa che la voce venga sostenuta senz’esser coperta. Dal francese. F1RI..VZE. — Se il decorso anno 1S43 fu ricco per Firenze di accademie musicali, in cui molti e molli distinti artisti dettero prova del loro valore, non così avvenne fin ora nell’anno che corre, che i nostri dilettanti non hanno avuto luogo di sentirne alili che I’ ottimo professore di violino sig. Grassi, ed il violinista ballerino, o jse più piace) il iballerino-violinista sig. Arturo Saint-Léon. La speranza clic per qualche tempo crasi nutrita di sentire le Milanollo e svanita per ora. Però, trovasi adesso Ira noi, e vi è lusinga die possa prodursi in qualche accademia, il sig. Honoré riputalo suonatore di Pianoforte. La cronaca musico teatrale del carnevale ormai finito nulla offre di grande importanza. Lasciando di parlare dei minori teatri di musica Leopoldo e Goldoni, per ristringersi a dire della Pergola soltanto, ii Aabucco vi lia incontralo il pubblico favore, quantunque l’esecuzione sia riescila alquanto incompleta, e per sopraggiunte indisposizioni degli artisti ì opera siasi dovuta sostenere per varie volle da supplementi. Al Aabucco tenne dicco la Dirce del maestro Per*, opera die altrove lia incontralo il pubblico favore. Così, però, non avvenne in Firenze. A lode del vero convicn dire che fu assai male eseguita, lo che obbliga la critica, priva della ispezione della partitura, a tacersi nel rapporto del merito della composizione. La stagione è stata chiusa dalla famigerata danzatrice Cenilo, chi.’, avendo a sé attraila principalmente l’attenzione del pubblico, contribuì onde in quelle ultime, sere la musica passasse inosservata. A proposito di questa ballerina ci si permetta di deviare un momento dal campo musicale per dire che se essa fu qui come altrove mirilo applaudita, che se nella serata di suo benefizio colse ricca messe di denari e di regali, non vi è luogo a rimproverare ai Fiorentini di esser discesi a quelle ovazioni alle quali si è trascorso da poco in (pia in altri luoghi ad onore di questa ed altre plaudite Silfidi. Se poi nella sera in cui giunse a Firenze alcuni cori furono cantati sotto le finestre dell’Albergo ove si fermò, ognuno liconobbc in ciò unicamente un’innocente galanteria dell’Impresario. Nella corrente quaresima la Pergola sièriaperta provvisoriamente col Xubucco. Si annunzia emminente la produzione della Fidanzata Corsa di Patini, c di una nuova opera del dilettante conte lòtta. Ultimamente nella Chiesa di s. Giovannino degli Scolopi fu [eseguito il David, oratorio dei maestro Inverati. Nell insieme la e.-ccuzionc non fu lodevole, ad onta del merito individuale di molti degli esecutori. La musica, che conta già un’esistenza di molli lustri, fu trovata dagli intelligenti scritta con molto magistero. Nella opinione pubblica però avi ebbe, guadagnato assai se fosse stata in parte scorciata e se in ispecie si fossero omessi molti dei lunghi ed oziosi recitativi die vi si notano. La deputazione incaricata della preordinazione e direzione dell’accademia da darsi animalmente a vantaggio degli asili infantili di questa citta in occasione delle feste municipali del s. Giovanni, adottando una proposta del cav. prof. Giorgetti, fia stabilito che il trattenimento die avrà luogo in quest’anno sia del genere storico; che, cioè, consista in una serie di pezzi cronologicamente ordinali, dai quali apparisca «piali sieno stati il progresso e le fasi subite dalla musica posteriormente al risorgimento e fino al dì d’oggi. Ma siccome la esecuzione di questo concetto nella sua vasta generalità sarebbe Slata (piasi impossibile di fronte alle circostanze di luogo, di esecuzione ed in ispecie di tempo, così lia pensato saviamente restringersi al progresso della musica teatrale seria italiana, salve poche eccezioni, cominciando dai giorni di Pergolesi, inclusive, c scendendo fino al tempo presente o prossimamente passato. Casamorata. — Pelimi. Il Corrado (VMllamura di Federico Ricci. andato in iscena la sera 2 corrente, sorti il miglior esito che se ne potesse aspettare. Ci riserviamo di darne più circostanziali ragguagli ad altra occasione. Intanto andiamo lieti di notare che vi furono applausi (piasi ad ogni pezzo con due chiamate al maestro alla (ine dell’opera, onore non tanto comune sulle scene del Teatro Italiano. (Da lettera). GIOVANNI RICORDI ltali’ I. II. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI Contrada degli Omenoni N. 4720, con deposito per la vendila in dettaglio nei diversi locali terreni situali svito il nutvo portico di fianco airi. fi. Teatro alla Scala.

  1. Vedi l’artìcolo sull'Ebrea di Pacini, nel foglio antecedente N. 9 della Gazzetta Musicale.