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storali, semplici, a tinte dilicate, qualora siano vestiti di musica rettamente appropriata, qual è questa del Donizetti, esercitano sugli spettatori assai di sovente un sentimento di calma dolce e voluttuoso. Questa calma era da noi tanto più desiderata nella presente circostanza, che stanchi, oppressi, e sfiniti dai sussulti convulsivi che provammo per più di due mesi agli spasimi di Maria, di Norma, dell’Ebrea, avevamo assoluto bisogno di respirare la tranquillità e di riposarci da tanti attacchi nervosi. Questa deliziosa Linda non poteva dunque venire meglio a proposito. È sempre caro il riso, tanto più se succede a lunghi pianti. Egli è per questo che anche quello stupido personaggio del marchese di Boisfleury si cattivò tanto la generale simpatia, della quale avvertiamo da bel principio che notevol parte fu merito dello spiritoso attore, il sig. Rovere. Que' cosi detti buffi comici sono pure la sciocca cosa molte e molte volte! Non è a dirsi quanto essi tolgano all’effetto di un quadro drammatico e delicato.

Osservate, di grazia, se v'ha nulla di più insulso di questo carattere del Marchese. Adesso non mi ricordo se nell'originale francese esista quest’uomo: ma e certo che. anche se introdotto, e sarà trattalo assai diversamente.

Dopo che il poeta pone ogni cura. e riesce anche in parte, a dare a tutti gli altri personaggi del suo melodramma il carattere il più possibilmente poetico, a trattare il più elegantemente possibile l'amor paterno nel personaggio di Antonio, l'amicizia in quello cosi simpatico di Pierotto, l'amore tradito e l’affetto figliale in quello di Linda, svestendo que' buoni contadini savojardi di lutto ciò che di rozzo possono avere, e che potrebbe presentarsi disgustoso agli occhi del pubblico, e non ritenendo, dirò cosi, che il bello ideale della vita pastorale, egli ha il coraggio, in mezzo a un quadro tanto affettuoso ed interessante, di gettarvi lì questo Marchese, che nulla ha a fare e nulla fa nel dramma: uomo or buono ed or malvagio, ora sensato ed ora imbecille, prima temuto, poi sbuffonato. Se ho da esternare quello che sento, bisogna che io confessi che con questi buffi-caricati introdotti in un argomento tutt’altro che ridicolo 1'ho sempre avuta un poco. E cosa per me inesplicabile che laddove e poeta e maestro cercano tutti i modi per trascinare il loro pubblico all interesse, alla commozione ed a ciò che infatto si chiama investirsi del dramma, si possa sopportare che sorgano ex abrupto a levare ogn'illusione di verità de’ personaggi impossibili, quali sono quasi sempre questi buffi, antipatici e disgustosi, perché mere caricature solitamente di sciocchezza e di mal cuore. Da ciò vedesi chiaro che io intendo qui parlare eccezionalmente dell intervento di questo genere di buffi nelle opere che diconsi semiserie. A prova delia mia asserzione voglio portare ad esempio il duetto del primo atto tra il protagonista ed il buffo nel Furioso dello stesso Donizetti. Voi vedrete che quel pezzo, esposto che sia ad un pubblico educato, rare volte ottiene effetto. E perché? non per colpa della musica al certo, la quale anzi è espressiva quanto si può desiderare nel canto di Cardenio e di bellissimo colore buffo nella parte di Kaidamà. Ma gli è perché la situazione drammatica è complessa: voi vi trovate allora in una situazione siffatta, da non sapere se dobbiate piangere alle disgrazie di quel povero pazzo, ovvero sorridere alle melensaggini di quel moro. Tolto anche il principio incontrastabile che nelle scene commoventi o terribili qualunque cosa che ecciti al ridicolo non ottiene il suo effetto, ed anzi prende un aspetto rivoltante o almeno distraente, vedesi chiaramente che due caratteri, l’uno appassionatissimo, l’altro ridicolissimo posti a contatto, devono forzatamente distruggersi l'un l’altro, e l’impressione non può in conseguenza che restar nulla. Altrettanto dicasi di quell’altro cbiacchieratore di don Gerardo nel Torquato del medesimo Donizetti. Intendiamoci bene, che questa mia è, lo ripeto, una semplice osservazione eccezionale. e che altra cosa è allorquando essi (i buffi) introduconsi nelle opere interamente buffe, scopo delle quali non è che di tener vivo il buon umore a chi ascolta. Là li approvo anch'io ed anzi li prediligo. - Ma per esempio qui, nel caso nostro della Linda, a nessuno deve essere sfuggito quel mal senso che producono le parole del Marchese in quella divina scena dell'atto terzo, allorché sentesi da lontano la ghironda di Pierotto che invita Linda a seguirlo, e dove il Marchese va interpolando le parole Sentite la canzone di Pierotto. Se il pubblico secondasse allora le intenzioni dell attore che sostiene quella parte, bisognerebbe che ridesse: poiché è d’uopo anche avvertire, tra parentesi, che i buffi sacrificano sempre qualunque convenienza drammatica allo scopo di far ridere: è questo un loro particolare diritto, al quale conviene chinare la testa: ora, nel caso accennato, trascinare in quel momento il pubblico al riso e levare di pianta ogni interesse di quella situazione così affettuosa e toccante è lutto un punto. Dunque conveniamo che anche in quest’opera la parte del sig. Marchese è condannabile (sempre parlando riguardo al libretto), perché senza interesse, senza carattere, disgustosa, e di più inutile, inutilissima, potendo essa togliersi del tutto dal dramma, senza che l’azione ne resti menomamente lesa.

Fatta però astrazione da questo (il che sarà forse, se volete, anco una mia sofisticheria), è d’uopo lodare il modo col quale fu tessuta l'azione e fu imitato l’originale francese. Solo ne sembra che dalla scena tra Linda ed il Visconte nel secondo atto potevasi ottenere migliore partilo. Mi ricordo che nel dramma originale era essa d’un effetto piccantissimo e ad un tempo gentile e casto. Quel Visconte che, vicino al momento di tradire la sua Linda, ha l’arditezza, tutto tacendole, di esigere da lei de' segni d’affetto più caldi che d'ordinario, adducendo a scusa che prova una fiamma insolita e. un fervido desir, è presentato, se dobbiamo dire il vero, sotto un aspetto poco delicato.

Tutta quella scena unita all'interessante momento in cui odesi sotto le finestre la ghironda di Pierotto, che come una segreta voce del cielo restituisce Linda a' sentimenti i più puri, poteva, parmi, essere trattata con più garbo e con assai più d’effetto. E cosi bella e delicata quella situazione! Al contrario la scena seguente della figlia col padre, e quella della follia sono svolte con rara perizia drammatica.

Ne piace tessere questi elogi al talento forse in parte disconosciuto del sig. Rossi, il quale, se come Don Isidoro non avesse ognora avuto inesorabilmente avverso il Biondo Apollo bellissimo Nume, avrebbe potuto sedere un po’ più alto tra i moderni librettisti.

La musica dì quest'Opera è, senza tema di dir troppo, né più né meno quella che deve essere: affettuosa, nuova senza pretensione, quieta, dolce, non mai convulsa né tragica, né mai scurrile, nel quale ultimo difetto sarebbe stato facilissimo incappare più ch’altro nell'ignobile parte del Marchese. Ma Donizetti per quanto potè la nobilitò, e la rese il meno possibile urtante. - Se è vero che ogni compositore di musica, per quanto proteiforme ei sia, abbia un genere, nel quale gli sia dato più che in qualunque altro segnalarsi, qualora si esamini minutamente questo suo spartito, si sarebbe indotti a conchiudere che il genere che Donizetti tratta in modo superiore sia quello dell'Opera pastorale. Egli può ben elevarsi, e ne abbiamo tante irrefragabili prove, alla maggior severità del coturno, come pure può essere perfetto nel buffo, ma, a mio parere almeno, nessuno spartito dell'illustre compositore è, come questo, vero, si nelle più minute particolarità come nell'intero concetto. Quella giusta via di mezzo tenuta in questo lavoro, senza che, come già prima notai, nulla risenta dell'esagerato, senza che la musica prenda mai un solo momento l'impronta o troppo grave o troppo gaja (difetto immensamente difficile a sfuggirsi, e nel quale incapparono grandissimi maestri), dà a questo spartito un cotale carattere di unità, al quale ben pochi possono, a parer mio, competere la palma. Insomma. ripeto, qui avvi verità, ed il nostro pubblico l'ha sentita, l'ha compresa, e le ha fatto festa come ad una delle più care amiche che da lungo lunghissimo tempo non si veda. Godo che i miei presentimenti nel ritorno dal sistema d'esagerazione a quello della verità(1) siensi diggià in si gran parte avverati, e ritengo che moltissimi degli applausi che hanno festeggiato questa Linda sieno dovuti a quella improvvisa e non isperata calma che abbiamo gustato all'udire musica e canto. Egli è da si gran tempo che non ne udivamo.

Dissi musica e canto. Sì: nella Linda abbiamo realmente sentilo a cantare: tanto è vero che avevamo a protagonista la Tadolini: e ognun sa come la Tadolini canti. Ritengo dunque inutile parlare di lei, perché, che cosa potrei dire di nuovo di questa voce vellutata, ugualissima, estesissima, agilissima, nobilissima? Che della sua bella invidiabile scuola? - Ma noi abbiamo fatta anche una nuova pregiabilissima conoscenza d'un altro artista che sa cantare; intendo dire del signor Collini, che qui sostiene la parte di Antonio padre di Linda. Egli possiede la doppia e si rara dote d’essere cantante finitissimo e al tempo stesso intelligentissimo attore. E non è che solamente v'abbia criterio ed intelligenza nella sua azione e nel suo canto, ma v'ha assolutamente passione sentita, passione che viene diritta dal cuore.

La bella scena della maledizione fu da questo artista interpretata con tutta la forza del sentimento. La collera paterna, giusta bensì, ma spaventevole e tremenda, e da lui espressa a meraviglia. Aveavi taluno che voleva appuntare in quella scena al sig. Collini una leggerissima pecca, ed è quella di trattarla con alquanto forse di fare

  1. Vedi l’artìcolo sull'Ebrea di Pacini, nel foglio antecedente N. 9 della Gazzetta Musicale.