Gazzetta Musicale di Milano, 1844/N. 1

N. 1 - 7 gennaio 1844

../ ../N. 2 IncludiIntestazione 16 dicembre 2020 25% Da definire

Gazzetta Musicale di Milano, 1844 N. 2
[p. 1 modifica]

GAZZETTA MUSICALE

ANNO III.
N. 1

DOMENICA
7 gennaio 1844.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


SOMMARIO.

I. Notizie Storiche. Della musica de’ Greci. II. Documenti storici. Marco Da Gagliano. - III. I. R. Teatro alla Scala. Marino Faliero di Donizetti. IV. Polemica. - V. Album di T. Labarre. - VI. Varietà’. Pesci musicali. - VII. Notizie musicali diverse. - VIII. Associazione alla Biblioteca di musica moderna. - IX. Nuove pubblicazioni musicali.



NOTIZIE STORICHE

DELLA MUSICA DE’ GRECI

Articolo IV.

(Vedi Gazzetta Musicale Anno I, pag. 121, 162. Anno II, pag. 174)

I
n un manoscritto greco dell'anno 200 dell'era volgare,

si vede un disegno rappresentante uno stromento con un lungo manico che ha la medesima forma del dicordo degli Egiziani. In un marmo d’un antico sarcofago si vede una figura di femmina seduta che suona uno stromento che ha un Xoùta (corpo), un lungo manico e cinque corde. Ella sostiene colla manca il manico, e mostra toccare co' polpastrelli della dita le corde. La posizione di questo stromento è esattamente la medesima onde si tiene la moderna chitarra, ma le corde sembra che debbano essere tocche con: un plettro die la mano destra sostiene. Sopra un altro sarcofago si trova uno strumento in tutto rassomigliante alla chitarra spagnuola. Esso ha nove corde e dieci cavicchi (1). Il monocordo, con una corda divisa da mobili ponticelli, era d'uso continuo presso i Greci; esso indicava la natura degli intervalli e conferiva a dirozzare ed avvezzare l’orecchio alla precisa intonazione.

Pittagora fu inventore d’uno stromento assai nuovo chiamato la lira-tripode, la sua forma tiene di quella del tripode di Delfo i tre piedi sostenevano un vaso che serviva di corpo sonoro e le corde erano accomodate fra i piedi. Questo stromento presentava in tal modo tre lire che erano montate secondo i modi dorico, lidio e frigio. Si toccavano le corde colle dita della mano destra adoperando colla manca il plettro e facendo roteare intorno l’istromento col piè. Pittagora sapeva maneggiare tutti e tre insieme i modi, e per l’abitudine aveva acquistata una tale destrezza che quelli che ascoltavano senza vedere credevano che tre fossero i suonatori. Ateneo ha conservata una descrizione di questo stromento e fa fede che dopo la morte di Pittagora più non se ne costruirono di somiglianti. Pare che di tutte queste lire di vario genere usate da1 Greci ninna fosse suonata coll’arco.

Gli strumenti da fiato de’ Greci erano pochi; prima non avevano se non il flauto e la siringa, più lardi ebbero la tromba, la cornamusa (askaulos) e l’organo pneumatico. Acquistarono cognizione della tromba, secondochè essi medesimi dicono, dagli Etruschi nel tempo degli Eraclidi. Abbiamo già osservato che questo stromento non era in uso nella guerra di Troia; il primo segnale di battaglia si dava allora accendendo delle fiaccole e soffiando entro certe conche (buccina) dalle quali prese poi nome la tromba.

Gli stromenti di percussione de’ Greci erano il timpano, il timpano piccolo o timpanidum, spezie di tamburi; i cimballi (crotalo) (2); e le campane. Non pare che gli antichi conoscessero quel tamburo lungo e cilindrico, che è in uso nella nostra musica militare, nè i timballi, stromenti asiatici portati in Europa dai Turchi. Tutti i tamburi degli antichi erano piatti come il tamburo basco, e il tamburino moderno; i cimballi o triangoli non hanno bisogno di essere particolarmente descritti; essi rassomigliavano in tutto e per tutto a quelli de’ quali oggidì noi ci serviamo.

Provato è nella Bibbia che l’invenzione dei campanelli rimonta alla antichità più remota, ma le grandi campane, come sarebbero quelle che si sospendono nelle torri e che si fanno suonare dando loro la mossa per mezzo di funi, furono solamente conosciute verso il sesto secolo. I Greci avevano un altro stromento di percussione chiamato da Anacreonte ascarus nyagale. Ciò era un cubo di metallo, che percosso dava un suono simile a quello de’ triangoli. L’invenzione di questo stromento è attribuita ai Trogloditi o ai popoli della Libia e ai Traci. Gli autori classici ricordano ancora varii altri stromenti, ma senza designarne la forma né la natura, onde non ci è possibile il tenerne parola.

Fra gli antichi scrittori greci vi ebbero molti sapienti teorici. Laso era uno dei più antichi; egli era nativo d’Ermione, città del Peloponneso e vivea nella cinquantottesima olimpiade, 548 anni avanti G. G.

Pittagora è stato altresì reputato uno dei più sapienti teorici; egli considerava i numeri come il principio d’ogni cosa, e il primo fu che li applicasse alla teorica della musica; avendo poscia sperimentato che le vibrazioni di un suono potevano essere ridotte a misura, egli le sottopose al calcolo e ne dedusse una teorica che porta il suo nome (3). Egli fu inventore del monocordo di cui abbiam detto di sopra, per mezzo del quale egli si fece a misurare gl’intervalli con esatte proporzioni. Questo celebre filosofo, in sul suo letto di morte, raccomandava questo istromento chiamandolo il migliore investigator musicale e la guida migliore per la ricerca della verità. La scoperta delle proporzioni musicali e la maniera di determinare la gravità o l’acutezza de’ suoni in ragione della maggiore o minore rapidità delle vibrazioni delle corde è dessa pure attribuita a Pittagora, ed alcuni scrittori vogliono che a lui sia benanco dovuto l’onore dell’invenzione della nota, onore che parrebbe d’altronde appartenere a Terpandro(4).

Pittagora si ha in conto del primo che abbia fatto opera di porgere una teorica delia propagazione dei suoni. Egli suppose che l’aria ne fosse il veicolo, e che lo agitarla per mezzo d’un eguale agitamento del corpo sonoro ne fosse la causa. Le vibrazioni d'una corda, o di qualsivoglia altro corpo sonoro, scudo comunicate all’aria, portano ai nervi dell’udito le sensazioni de’ suoni, e questi suoni, secondo lui, sono acuti o gravi secondo che le vibrazioni più o meno sono rapide. Tale era la filosofia de suoni insegnata primieramente da Pittagora; ma non abbiamo acconcie nozioni che valgano a chiarirci esattamente sopra quali fondamenti egli erigesse il suo sistema. La tradizion popolare suppone che egli scoprisse le consonanti relazioni de' suoni, facendo considerazione alla risonanza de’ ferri d'un fabbro che stava battendo l'incudine; ma questa storiella deve essere tenuta a nulla da ciascun uomo di buon senno.

Pittagora fu il primo che concepì l’idea della musica delle sfere: egli insegnò che i sette pianeti e la sfera delle stelle fisse erano unite e governate da uno armonioso concerto, e assegnò differenti toni a’ pianeti secondo la loro distanza dalla terra. Il sig. Fenton, nelle sue note sopra Haller, suppone che il greco filosofo, che aveva [p. 2 modifica]studiato in Babilonia sotto Zoroastro, dovea essere famigliare cogli scrittori ebrei, e che egli dovea avere fondata la sua dottrina sopra questa espressione del libro di Giobbe: Quando le stelle mattutine cantano insieme. Questa fantastica idea sarebbe già stata posta in dimenticanza se i poeti non ne avessero tenuta viva la memoria. Nessuno l’ha cosi felicemente adoperata quanto il grande Milton nell'inno sul Natale.

Aristossene, nato a Taranto in Italia, 394 anni avanti G. C., era discepolo d'Aristotele, sotto i cui insegnamenti apprese di filosofia e di musica. A lui si devono molti tratti risguardanti le cose musicali. Egli era opposto di opinione a Pittagora in questo che egli considerava 1 orecchio come il solo arbitro degli intervalli di musica, mentre che il greco filosofo affermava non potere l'orecchio rilevare questi intervalli, come non potrebbe l'occhio servire a formare un circolo senza compassi. Nè l'una nè l'altra di queste opinioni è esatta, e Tolomeo, sforzandosi di stabilire una mezzana via fra loro, più chiaramente e semplicemente definisce le diverse funzioni dei sensi e della ragione. Vi erano nel tempo medesimo altri capi-scuola di sètte musicali, come Epigone, Damone, ecc.; il primo fu inventore d'uno stromento dal suo nome chiamato epigonium, il quale era fornito di quattro corde. Parimente Euclide il matematico ha scritto di cose di musica.

(Sarà continuato).




DOCUMENTI ISTORICI

Prefazione della Dafne di Ottavio Rinuccini, poosta in musica da Marco Da Gagliano per ordine di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, e rappresentata in quella città alla presenza della Corte nel carnevale del 1608. - (Firenze presso Marescolti 1608).

(Vedi gli articoli negli antecedenti fogli N. 46, 46 e 50)


"... Credo che non sarà disutile nè lontano dal nostro proposito il ridurre in memoria come e quando ebbero origine sì fatti spettacoli, i quali non ha dubbio alcuno, poiché con tanto applauso sono stati ricevuti nel loro primo nascimento, che non sieno quando che sia per arrivare a molla maggior perfezione, e forse tali che possano un giorno avvicinarsi alle tanto celebrale tragedie degli antichi greci e latini, e viemmaggiormente se da’ gran maestri di poesia e musica vi sarà messo le mani, e che i principi, senza il cui aiuto mal puossi condurre a perfezione qual si voglia arte, saranno loro favorevoli. Dopo l’avere più e più volte discorso intorno alla maniera usata dagli antichi in rappresentar le loro tragedie, come introducevano i cori, se usavano il canto, e di che sorta e cose simili, il sig. Ottavio Rinuccini si diede a compor la favola di Dafne; il sig. Jacopo Corsi d’onorata memoria, amatore d’ogni dottrina e della musica particolarmente, in maniera che da tutti i musici con gran ragione vien detto il padre, compose alcune arie sopra parte di essa, delle quali invaghitosi, risoluto di vedere che effetto facessero su la scena, conferì insieme col sig. Ottavio il suo pensiero al sig. Jacopo Peri, peritissimo nel contrappunto, e cantore di estrema squisitezza, il quale udito la loro intenzione ed approvalo parte delle arie già composte, si diede a compor le altre che piacquero oltremodo al signor Corsi, e con l’occasione di una veglia, il carnevale dell’anno 1597 la fece rappresentare alla presenza dell’eccellentissimo signor Don Giovanni De Medici, e di alcuni de’ principali gentiluomini della città nostra. Il piacere e lo stupore che partorì negli animi degli uditori questo spettacolo, non si può esprimere: basti solo che per molte volte che ella si è recitata ha generato l’istessa ammirazione, e l’istesso diletto. Per sì fatta prova venuto in cognizione il sig. Rinuccini quanto fosse atto il canto ad esprimere ogni sorta di affetti, e che non solo, come per avventura per molti si sarebbe creduto, non recava tedio ma diletto indicibile, compose l’Euridice allargandosi alquanto più nei ragionamenti; uditola poi il sig. Corsi, e piaciutole la Favola e lo stile, stabilì di farla comparire in scena nelle nozze della regina cristianissima. Allora ritrovò il sig. Jacopo Peri quella artifiziosa maniera di recitar cantando, che tutta Italia ammira; io non; m’affaticherò in lodarla, perciocché non ha persona che non le dia lodi infinite, e ninno amator di musica è che non abbia sempre davanti i canti d’Orfeo: dirò bene che non può intieramente comprendere la gentilezza e la forza delle sue arie chi non le ha udite cantare da lui medesimo, perocché egli dà loro una sì fatta grazia, e di maniera imprime in altrui l’affetto di quelle parole che è forza e piangere e rallegrarsi secondo che egli vuole. Quanto fosse gradita la rappresentanza di della Favola sarebbe superfluo a dire, essendone il testimonio di tanti principi e signori, e puossi dire il fiore della nobiltà d’Italia concorso a quelle pompose nozze; dirò solo che fra coloro che la commendarono, il serenissimo duca di Mantova ne rimase talmente soddisfatto, che tra molte ammirabili feste che da S. A. furono ordinate nelle superbe nozze del serenissimo principe suo figliuolo e della serenissima infante d Savoia, volle che si rappresentasse una i Favola in musica, e questa fu l' Arianna composta per tale occasione dal sig. Ottavio Rinuccini, che il signor Duca a questo fine fece venire in Mantova; il signor Claudio Monteverde, musico celebratissimo, capo della musica di S. A., compose le arie in modo sì esquisito che si può con verità affermare che si rinnovasse il pregio dell’antica musica, perciocché visibilmente mosse tutto il teatro a lagrime.

"Tale è l’origine delle rappresentazioni in musica spettacolo veramente da principi e oltre ad ogni altro piacevolissimo, come quello nel quale si unisce ogni più nobil diletto, come invenzione e disposizion di Favola, sentenza, stile, dolcezza di rima, arte di musica, concerti di voci e di stromenti, e squisitezza di canto, leggiadria di ballo e di gesti, e puossi anco dire che non poca parte v’abbia la pittura per la prospettiva e per gli abili, dimanieraché con l’intelletto vien lusingato in un istesso tempo ogni sentimento più nobile dalle più dilettevoli arti che abbia ritrovato l’ingegno umano.

Cenni Biografici di Marco da Gagliano e di alcuni altri valenti compositori di musica della scuola fiorentina che fiorirono tra il XVI e il XVII secolo, e brevi osservazioni sul particolar carattere di quella scuola.

Marco di Zanobi Da Gagliano, canonico dell’insigne Basilica Ambrosiana di S. Lorenzo di Firenze, e protonotario apostolico, che tanto nel suo tempo si distinse per le molte e varie composizioni musicali che ci produsse, come per onestà ed illibatezza di costumi vuolsi da alcuno discendente di nobil prosapia. Sappiamo essere egli nato in Firenze, ma ignoriamo in qual anno; soltanto è da credersi che nel 1602 e fosse giunto all’età virile ed avesse già dato prove d'una abilità non comune nell’arte musicale da poter convenevolmente esercitar l’impiego di maestro di cappella della suddetta Basilica di S. Lorenzo, che per atto capitolare in quell’anno veniagli conferito. Il quale incarico, che andava congiunto all’obbligo della istruzion musicale dei cherici di quella Collegiata, onorevolmente sostenne fino all’anno 1608 in cui per sua renunzia passava in Alfonso Benvenuti cappellano della Collegiata istessa, al quale venia dipoi nel 1615 surrogato un fratello del nostro canonico, cioè Giovanbattista Da Gagliano di cui si hanno varie musiche impresse in Venezia nel 1625 per Alessandro Vincenti. Nell’arte musicale fu Marco Da Gagliano pienamente istruito da Luca Bati canonico anch’esso della Basilica Laurenziana, professore insigne e maestro di cappella della Corte medicea, già discepolo di Francesco Corteccia che parimente fu canonico della chiesa medesima. Dimodoché, da quanto appare, sembra per lungo tratto di tempo avere esistito presso quel Clero un’ottima e fioritissima scuola musicale, in cui si formarono varii uomini che riuscirono eccellenti in quell’arte.

-Sul cominciare del secolo XVI, nasceva in Arezzo Francesco di Bernardo Corteccia, ma fino dalla sua j prima fanciullezza venuto con la famiglia a starsi in Firenze, per fiorentino volle sempre esser tenuto. Nel giugno 1551 a confronto di quattro competitori espcrimentava la di lui superiore abilità nel suonar l’organo, perlochè a maggiori suffragi venia dello organista della chiesa di cui fu canonico. E vie più nel seguilo resi noti i particolari suoi talenti musicali, il gran duca Cosimo I preselo in tanta stima, che circa il 1542 il creava maestro di cappella di sua Corte, incarico che con somma lode sostenne fino al 7 giugno 1571 in cui si morì.

Ebbe il Corteccia come compositor di musica splendida fama non solo in Toscana, ma per tutt’Italia e fuori, e ad una profonda cognizione nelle scienze e nelle lettere univa tratti mollo gentili c garbati nel conversare. Di lui fecer menzione varii scrittori, cioè il P. Remigio fiorentino nelle sue lettere familiari, Girolamo Parabosco nella sua commedia intitolata la Nolte, il Poccianti nella sua opera: De script. Fioreni: e vari altri più moderni, cioè il Mazzucchelli, e il Negrinelli. I lavori musicali lasciatici dal Corteccia, per la massima parte in manoscritto, per lungo tempo conservaronsi negli archivi medicei: oggi sono andati smarriti, od affatto perduti. Di alcuni di essi del genere madrigalesco, secondo che ne dice una biografia dei musici modernamente stampata in Londra, se ne conserva copia nell’Univcrsità di Oxford, ed un Innario contenente trentadue inni dell’Uffizio Divino posti in nuova maniera sulle note di canto fermo esiste in Firenze nella libreria Mediceo-Laurenziana (Codice VII). Insieme con Alessandro Striggio gentiluomo -.mantovano, nel 1565, il Corteccia ponea in musica gli intermezzi che Giambattista Cini fece per una commedia in versi sciolti di Francesco Ambra nobile fiorentino intitolata La Cofanaria, pubblicata dal Torrentino nel 1561, e rappresentata nelle nozze di Don Francesco De Medici, e della regina Giovanna d’Austria; ci dice il Mazzucchelli che quella musica fu giudicata insigne. Un libro di mottetti dedicali dal Corteccia a Cosimo I fu un anno dopo la di lui morte stampato in Venezia da Antonio Gardano, per mezzo del quale il Corteccia medesimo fin dal 1570 avea pubblicato i suoi Responsi dell’uffizio della settimana santa dedicali allo stesso granduca di Toscana.

Nessuna notizia abbiam potuto rintracciare finora delle composizioni di Luca Bati, ma in quanto a quelle del suo discepolo Marco da Gagliano diremo che, oltre alle musiche sulla Dafne, dalla cui prefazione fu estratto il quadro isterico della invenzione del dramma musicale di sopra riportalo, egli fece stampare in Venezia nel 1615 per Riccardo Amadino una collezione di ventisette cantale sotto il titolo di musiche a una, due e tre voci, ecc., ecc. Molte altre composizioni manoscritte andaron perdute, e soltanto di alcuna di esse se ne fa onoratissima menzione da Lorenzo Parigi nei suo Dialogo terzo, ove incidentemente parlandogli musica e di varii celebri artisti di quel tempo, cita due famose canzonette, una delle quali incomincia - Bel pastor dal cui bel guardo l’altra -Ecco solinga delle selve amica - composte, siccome ci dice, dal signor Marco da Gagliano maestro di cappella di S. A. musico anch'egli così gentil come dotto. Ma ove a maggiore altezza innalzatasi il nostro canonico Marco era nella musica dell’uffizio della settimana santa che sessantanni dopo la pubblicazione di quella del Corteccia, il Da Gagliano, per servizio di quella stessa Basilica, con perfezione maggiore componea. Questi responsi furono nel 1650 stampali in Venezia da Bartolommeo Magni, e portano il titolo - Responsoria majoris hebdomadae qualuor paribus vocibus decantando Marci a Gagliano musices magni Elruriae ducis praefecti ecc. Alla pubblicazion di quest’opera sopravvisse l’autore; dodici anni circa, giacché dai libri emortuali del Capitolo di S. Lorenzo apparisce essere stati celebrati i di lui funerali il 26 febbraio 1642 ab incarnatione.

Non ha molti anni che ancora i Responsi di Marco Da Gagliano venivano con somma venerazione cantati nella settimana santa nella chiesa di S. Lorenzo nel di cui archivio musicale tuttora, come quelli del Cor[p. 3 modifica]-teccia vi si conservano. Ambedue queste composizioni son lavorale in contrappunto rigoroso per le sole voci senza veruno accompagnamento di stromenti, ed in quello stile detto di prima pratica: ed abbenchè Marco Da Gagliano superi il suo antecessore nella purità e nella eleganza di un’armonia profondamente sentita a seconda della richiesta espressione del concetto c della parola, pure non si può ammeno di ammirare la grazia e la dolcezza della nuda melodia che alla foggia di canto corale il Corteccia applicò al Cantico di Zaccaria, ed al Miserere, composti a versi spezzati. Non pertanto la scuola musicale fiorentina di quel tempo può vantare, come la romana, un Palestrina, nè come la lombarda, un Monteverde: ma se questa scuola può aver diritto ad una celebrità, egli è soltanto per il merito di aver preso l’iniziativa di un nuovo concetto musicale, arditamente abbandonando le antiche forme, ed i rimasugli delle fiamminghe astrusità per poter più liberamente ridur l’arte regolatrice dei suoni ad un grado di maggior forza e verità d’espressione da mover determinati effetti a risvegliar nell’animo forti ed elevati sentimenti, da portar la specie umana sempre a maggiore incivilimento e perfezione, precipuo fine a cui quest’arte quasi divina dagli antichi veniva diretta, e come sempre esser lo dovrebbe. Egli è per questo che le musicali composizioni di tutti gli artisti della scuola fiorentina, che fiorirono tra il XVI e il XVII secolo, anco quelle di stile rigoroso, pochissimo artifizio di contrappunto presentano in confronto di quello che si rinviene nelle composizioni uscite contemporaneamente dalle altre scuole italiane, ma non perciò saran quelle tenute in minor pregio da chi consideri il nobile scopo a cui esse tendeano. Luigi Picchiatili.

I. R. TEATRO ALLA SCALA La sera del 2 corrente andò in iscena il Marino Faliero, antica poesia di Bidera, musica del Cav. Donizetti. Era già conosciuta quest’opera, ma non aveasi allora potuto apprezzare l’intrinseco bello di essa per poco felice esecuzione. E la sventura volle che, neppure nella sera del 2 gennajo, il pubblico riescisse soddisfatto integralmente del lavoro donizettiano, c... i tale infausto inconveniente derivò dall’indisposizione del protagonista Ignazio Marini. Il libro del Marino Faliero fu tratto dal Bidera dalla tragedia di questo nome di Casimiro Delavigne. Questa gli forni le principali situazioni ch’egli poi credette necessario di spostare non senza increscimento di Messer Buon-senso. Imperciocché non saprei qual demone potrebbe ispirare ad una donna il I desiderio di confessarsi colpevole innanzi ad un mai ilo nel punto istesso in che questi va a porre il capo sotto la mannaja. Bel conforto davvero ne' momenti estremi! Non potrebbe ella lasciarlo morire in pace c chieder poscia perdono a Dio del suo reato? No, signori: il Bidera ha voluto far sorbire al povero Faliero tutto I’ amaro calice delle miserie di questa vita per far viemeglio trionfare l’eroica virtù del perdono; e, se vogliamo, da questo lato l’autore può avere avuto anche la sua parte di merito. Egli è vero che Delavigne lascia pur egli confessare dalla moglie la colpa al marito, ma in quale momento? Allora quando ella scopre che il marito congiura contro Venezia, contro la patria: allora quando ascolta che per essa soltanto ei congiura, per vendicare l’onore di lei vilmente oltraggiato: allora che Faliero le esprime nel suo trasporto che non ad altro ei l’ha scelta in isposa che per lasciarle un nome grande ed illibato, che al letto di morte ha giuralo al padre di lei di difendere, di tutelare l’onore della figliuola; ch’ella con esemplare condotta ha risposto alle cure del padre e dello sposo; ove il contrario, non mai Faliero sarebbesi indotto a congiurare contro la sua patria. A tali parole s’accende la fantasia d’Elena, non vede che il pericolo cui va ad incontrare lo sposo, vede il sacrificio dell'uomo d’onore ingiustamente immolalo, l’onta che sul venerando suo capo si rovescia, e sol per sua cagione, per l’onore ch'essa ha macchiato; allora Elena arresta i passi dell’infelice vecchio, e gli dice: Voi andate a divenire traditore dello Stato, voi andate ad affrontare i più gravi perigli, e perchè? per me, pel mio onore? Ah! quest’onore, io l’ho perduto! — Il dado è tratto, Faliero deve compiere la sua missione, viene tratto a morte, e in quell’ora tremenda gli scende soave nel cuore la santa voce del perdono. E forse lieve la differenza che passa in questo punto dal libretto alla tragedia? E poteva il Bidera trovare due situazioni più belle con minor fatica? Ma forse troppo dicemmo del libro. Donizetti scrisse quest’opera pel Teatro Italiano di Parigi, c qui torna in acconcio ripetere che le opere scritte per piccoli teatri, non del lutto si addicono ai grandi. Infatti di sovente traspare un po’ di vuoto nella strumentazione, in oggi tanto più facile a colpirci, in quanto che assuefatti all'orribile strepito de’ tromboni e delle gran casse, dove alcuni maestri fanno consistere tutti i loro principi d’armonia, e la novità e la varietà c la leggiadria delle lor frasi musicali. Peraltro non a caso il Marino Faliero ottenne i più lusinghieri successi su lutti i teatri ove fu rappresentato. Incomincia con una stupenda introduzione, che alla Scala pur anche venne festeggiala, e festeggialo c applaudito venne il basso Ferri che sosteneva la parte d’Israele. Segue un’aria per tenore, che, scritta in origine per Rubini, mette quasi direi nell’impossibilità ogni altro tenore d’eseguirla. A questa la signora De-Giuli (Elena) sostituì una cavatina per soprano, ed eccoci al solito con queste intromissioni di pezzi estranei alle opere che finiscono col ridurle abili all’Arlecchino. Il pubblico must cavasi volonteroso di perdonare una tale mancanza, ed applaudì fi adagio dalla De-Giuli cantalo maestrevolmente; ma allora che si avvide che la cabaletta, oltre essere estranea allo sparlilo della sera, era estranea pur anco all’adagio succennato, non potè frenarsi, e volle mostrare la sua disapprovazione, superala peraltro dagli applausi che all’attrice prodigarono quelli che, non badando punto alle cause secondarie, trovarono un’esecuzione felice c la compensarono di lodi. Il duetto che segue riusciva nella tessitura troppo allo alla voce del Ferretti, ed anche a questo si pensò rimediare con una cabaletta d’altro spartito. Tutti sanno che il pubblico non si mostrò indulgente. — Marini, al suo primo presentarsi, venne salutato con vivissimi applausi; era il ben visto che tornava a noi dopo lunga assenza, era Marini da cui aspettavasi ancora Fallilonanlc voce e la bella pronunzia, che questa dolo nessuno gli può contrastare, ed è merito principalissimo, oggi che gl’italiani istessi pronunciano sì sgraziatamente la loro lingua. Ma che volete? Marini era indisposto, e in tutta la sera si vide quanto avrebbe potuto fare, quanto la parte di Faliero sarebbe stata al suo dosso, se egli avesse potuto trovarsi meglio in voce. E già sapevasi che sin da varii giorni indietro Marini era stato costretto a guardare il letto. Speriamo che presto abbia a rimettersi in salute una delle più care simpatie del nostro teatro. Premesso ciò, si comprenderà facilmente che il duello Ira Marino c Israele non potè andare come si sarebbe aspettalo; che il finale non potè riuscire neppur esso applaudito. E qui giova avvertire che non la sola mancanza di Marini pregiudicò a questo pezzo: a noi sembra forse il meno felice dell’opera: riguardo all’esecuzione generale, l’adagio fu cantalo con troppo languore, la stretta con troppo fuoco. Nell'atto secondo riscosse meritati applausi il tenore Ferretti, che si volle più volte rivedere al proscenio: la cabaletta soprattutto, di un genere di forza, si adatta mollissimo ai mezzi del bravo Ferretti, che il pubblico era ansioso di sentire in qualche cosa ove avesse potuto trionfare. L’aria di Faliero è uno dei più bei pezzi di tutta fi opera, e in una sera in che Marini meglio si trovi in salute, noi speriamo di poterla meglio gustare. Nell’alto terzo la De-Giuli eseguì la sua grand’aria in modo perfetto: così nell’adagio come nella cabaletta fu trovata degna di altissimi encomj: noi osiamo asserire che fu il pezzo unico che veramente sorprese, fi unico che venne più sinceramente acclamalo. Il duello finale, dove certamente Donizetti ha fallo pompa maggiore del suo ingegno drammatico musicale, riportiamo aneli’ esso ad altra sera. L’aria di Ferri venne applauditissima; questo giovine vieppiù cattivarsi potrebbe fi attenzione del pubblico, se facesse uno studio particolare sulla sillabazione: il suo canto riesce un poco languido, perché languida è fi accentuazione delle frasi, mentre i buoni maestri dell’arte ne insegnano che ben vibrata debba essere fi espressione di ogni sillaba. Gli facciamo per ultimo osservare che Israele Bertucci deve rappresentarsi qual uomo che ha già corso la sua giovinezza; che ricorda a’ suoi compagni, certamente più giovani di lui, poiché figli li appella, d’aver combattuto a fianco del gran Faliero, or in Rodi, ora in Zara; e nell’ultima scena, prima di andare al patibolo, chiede di poter abbracciare ancora una volta i suoi figli, c questi sono nient'altro che quegli uomini che hanno seco lui congiuralo. Dopo ciò converrà egli stesso che si è mostrato troppo giovine sulla scena. Questa è l’istoria della sera del due corrente: tale fu l’esito del Marino Faliero; ora prepariamoci al capo lavoro Belliniano, la Norma, con novelli artisti incaricati a sostenerlo. J. NB. La seconda sera le cose parve andassero un poco meglio, e Marini trovò de' momenti onde farsi applaudire.

POLEMICA Leggiamo nella Gazette Musicale di Parigi un rimprovero diretto alla nostra Gazzetta Musicale di Milano per aver questa prodigalo delle lodi all’opera Don Sebastiano di Donizettli. In quelle cose che non ci è dato vedere co’ nostri propri occhi, nè udire colle nostre proprie orecchie, è necessario allenerei alle altrui relazioni. Se queste ci si presentano in gran numero e la maggior parte concordano in esaltare il merito di un’opera, perché dovremmo crederle tutte menzognere c invece attribuire il pregio di verità ad una sola che dice interamente il contrario? Tutti i fogli di Parigi s’accordano in lodare il Don Sebastiano; la sola Gazette Musicale s’ostina in predicarla opera di mediocre valore: c qual diritto ha dessa per pretendere fede a confronto degli altri? La nostra coscienza, amica al genio de’ grandi compositori, c’invita a credere più facilmente il bene che il male, perchè ne' grandi compositori non è strano rinvenire piuttosto il primo che l’altro; d’altronde Donizetti è nostro italiano, e tutti che sentano un po’ d’amor patrio, debbono affrettarsi a celebrare le glorie dei loro concittadini. Sarebbe d’uopo che la Gazette Musicale di Parigi avesse dato prove irrefragabili d’imparzialità per ispirarci maggior fiducia. Sarebbe d’uopo che l’accusa a noi diretta non potesse giammai ritorcersi contro di lei. Ella ci addita come soverchiamente ligj al Donizetti, perchè possessori dello spartito in questione: ma chi non sa ch’essa è apertamente avversa all’illustre compositore? Chi non sa che, totalmente ligia ad altri maestri, adopera con tutte le sue forze onde abbattere lutto quello che dal genio di essi non viene crealo? Quando si vuol correggere un errore in altrui, bisogna che il censore ne vada esente egli stesso. Noi ci appoggia/no ai falli, allenendoci alle relazioni degli altri giornali; quali prove ne può offrire della veracità delle sue la Gazette musicale di Parigi? Non solleviamo quel velo che ricopre le azioni di taluno, perchè troppo chiari apparirebbero i diversi affetti che lo muovono, l’invidia, il livore, l’amicizia, la deferenza. ALBUM DI TH. LABARRE V’hanno, dice la Franco Musicale, romanze e poi romanze, come favole e poi favole. Sedici battute d’una melodia più o meno ripetute, aggiustate sopra tre accordi, con un riposo sulla dominante all’ottava battuta, ecco ciò che costituisce la maggior parie delle romanze. Se i musici avessero, siccome i farmacisti, un Codice destinato a dirigere il loro lavoro, tale è senza dubbio la formola generale che vi si troverebbe, con alcune varianti, per questa specie di preparazione. Quanti romanzisti, il cui nome ha decorato, per quindici anni e più, gli scaffali di tutti i negozianti di musica e il [p. 4 modifica]leggio di tutti i cembali, altri mai non ne impiegarono e avrebbero il drillo di confiscare a loro prò’ il mollo sì grazioso e ripetuto di Chatclain: u Ecco, corrono diciassette anni che io scrivo ogni sera il medesimo articolo, e sempre col medesimo successo!» 11 sig. Labarre non appartiene a questa classe di compositori. Nel prodigioso numero di romanze che egli ha pubblicate, una forse non se ne rinverrebbe nella quale non si sveli, con indizj irrecusabili, il melodista originale, l’ingegnoso c ardilo armonista. Da quindici anni egli versò a piene mani, in queste esfimcre produzioni, maggior numero di brillanti idee, che d’uopo non sarebbe stalo per assicurare il successo di tre spartili... Perchè non fec’egli più opere che romanze? Non è sua colpa certamente; non si deve a lui far rimprovero di questo tempo perduto per le arti e per la sua propria fama. Giammai rifiutossi di lavorare pel teatro; c il teatro non deve accusare che sè stesso di tutto ciò che il signor Labarre non fece a suo vantaggio. L’Album che il signor Labarre ha pubblicato per l’anno 1844 giustifica pienamente le riflessioni che precedono c i rainmarici che abbiamo dimostrato. Esso racchiude dieci pezzi, ove brillano al più alto grado le eminenti qualità dell’autore. Il suo stile è largo, semplice, nobile; ed anche allora che il soggetto esige una certa gaiezza, la sua gioia non è mai triviale, i suoi scherzi non escludono mai la grazia d’eleganza. Senza passare in rivista i pregi grandi di quest’Album, diremo ch’esso è degno, per tulli i riguardi, del chiaro autore, e dev’esser posto nel rango delle sue più felici ispirazioni. Gli editori nulla trascurarono per assicurarne il successo. /. M. VARIETÀ PESCI MUSICACI Narra un americano: u Più volte eravamo obbligati di ancorare alla costa, ed ogni sera godemmo del crepuscolo a mezza notte di una piacevolissima musica d’arpa d’Eolo. Esaminai donde provenivano questi mirabili celesti suoni; sembravano venire da lontano, e come dolci suoni sotto le dita delle ninfe marittime nella profondità. Una notte immerso in tale esame, m’occupava contemporaneamente col pescare, e dopo un’ora pres una gran quantità di bellissimi pesci bianchi alla costa, che presi con me sul cassero in un secchione riempilo d’acqua, e non m’era ancora addormentato, quando essi fecero sentire i più dolci suoni in mia vicinanza, m’alzai, e attonito mi convinsi che questi suoni enigmatici ’provenivano dai pesci; fatta un’attenta e accurata perquisizione nella costruzione della loro bocca, sciolsi Femmina dall’aver osservato nel labbro inferiore una escrescenza divisa in molli fibre cordiforme sulle quali, ncll’espirare, la pres- l sione del labbro superiore produce una singolare vibrazione. fGazz. di Moda di Lipsia) NOTÌZIE MUSICALI DIVERSE — Milano. Nella solennità della Circoncisione alla chiesa Metropolitana con pregevole accordo e con speciale impegno si eseguirono: un ingresso ed un offertorio di Boucheron, un gloria di Sarti, un credo ed un sanctus di Cherubini. Riuscì assai interessante osservare come ciascun autore, adoperando differenti maniere proprie delle disparate loro epoche e de’ rispettivi loro ingegni, mantenesse la maestosa e mistica impronta che conviensi alla musica religiosa. - Il magnifico credo, forse il più bello di Cherubini, è un capo lavoro, in cui | i ben coloriti e graduali effetti nelle modulazioni, nell’intreccio degli accordi, nell’entrata e disposizione delle parti sono sì perfettamente collegati colla sublimità dei melodici concetti da formare un lutto celestiale. - Sarti, nel 1779 assunto all’onorifico posto di maestro di cappella in questa stessa Metropolitana, qui lasciò molti । preziosi componimenti che di quando in quando ven- ’ ’i gono degnamente interpretali giusta la tradizione tuttora viva fra i cantanti della nostra cappella; nel suo gloria in excelsis a otto voci reali l’arte del contrappunto è portata ad una tale elevatezza da sembrare in. spirazione ciò che è un miracolo di studio. Per quanti rivolgimenti la musica possa andar soggetta, le opero sacre di queste due sommità verranno [ognora animi[I rate. - Ben poche composizioni moderne avrebbero potuto sostenere l’immediata vicinanza di quelle di un | Sarti e del famoso suo allievo come i due squarci sì profondamente musicati dal maestro Boucheron, lustro della letteratura musicale italiana c sotto ogni rapporto distintissimo compositore da chiesa. Colle frequenti esecuzioni di siffatti lavori la cappella: del Duomo non potrà che riuscire d’incremento a sè od | all’arte. Lode pertanto si abbia il benemerito fabbricie1 re, specialmente delegato alla partita musicale, che nulla risparmia onde ottenere un sì prezioso risultato, a cui molto concorrerà la scelta del maestro successore al ’ chiarissimo Neri. C. — Marsiglia. Dòbler, il pianista italiano di fama europea, in meno di sette settimane ha dato otto o nove concerti: Il 1 ed il 13 novembre a Firenze che riuscirono brillantissimi prendendovi parte il Poggi e la Frezzolini, i quali fra altri pezzi con distinto plauso cantarono alcune graziose ariette dell’istesso Dòhler, che si produsse pure in una mattinata musicale del sig. Agua■ do. In due esperimenti fu applaudito a Nizza, in un alil tro entusiasmò a Tolone, poi ad Aix ebbe straordinario incontro. Infine il 26, rese meravigliati i Marsigliesi. | Dappertutto le composizioni di lui ottennero la preferenza. Per la fine di gennajo egli sarà a Parigi dopo essersi prodotto a Tolosa, Monpellièr, Lione, ecc. (Da lettera) — Il direttore dell’Opéra, il signor Leone Pillet, è I partito per l’Italia nell’intenzione di sentire alcuni virtuosi, e così giudicare di per sè stesso se il loro merito ■ equivale alla loro riputazione. G. DI. — I giornali tedeschi risuonano delle testimonianze d’ammirazione, di sorpresa, d’entusiasmo ch’eccita ilcele। bre pianista Dreyschock; quei di Francfort e di Darmstadt gli consacrano particolarmente de’ lunghi articoli, ne’ quali l’analisi del suo prodigioso meccanismo mesccsi ai schiarimenti biografici sulla persona di lui. Vi si trovano pur anco de’ versi, indirizzatigli al momento della sua partenza da Offenbach, e il cui scopo finale è quello di innalzare la sua mano sinistra alla medesima altezza della sua diritta. Idem. — All’Opéra contigue si sta provando Les Syrenes, opera in tre atti di Auber, con parole di Scribe, promessa per la fine del mese di Gennajo. Idem. àwm ALIA BIBLIOTECA DI MUSICA MODERNA ANNO XXV. Questa interessante raccolta, la cui origine rimonta fino al 1820 e che pel corso di tanti anni e fra sì varie vicissitudini della musica, venne sempre in ispecial modo sussidiata dall’universale favore, nel 1844 proseguirà pure a pubblicarsi divisa in cinque classi, ad alcune delle quali in questo manifesto si aggiunse il nome degli autori posti nell’annata 1843, onde riesca evidente che la scelta è stata fatta con particolare discernimento ed a seconda delle esigenze de’ singoli esecutori delle diverse classi. I. Per pianoforte - <11 prima forza. Musica del gran genere brillante composta espressamente dai più rinomati scrittori tanto stranieri che italiani: Liszl, Thalberg, Henselt, Dòhler, Ilerz, Czerny, Golinelli, Benedici, Wolff, Gambini, Hall, Rosellcn, Paulasek, Goria, Hermann, F. A. Weber, Merendante, Mazzucato, Croff. Di questa classe si pubblicheranno due fascicoli al mese. II. Per pianoforte -di seconda forza. • Pezzi accuratamente trascritti dalle opere c da’ balli che avranno miglior successo tanto in Italia che fuori, e raccolta di fantasie, capricci, variazioni, rondò, valzer, quadriglie ed altri componimenti distinti per agevole portamento e per piacevole risultato: Donizetli, Patini, Verdi, Lanner, Strauss, Labitzky, Chotek, Wolff, Louis, Truzzi, Vetzlar. Due fascicoli al mese. HI. Per pianoforte - faelle. - Composizioncelle nuove di chiari autori c riduzioni nello stile il più adatto agli studiosi che non sono innoltrati nell’arte. Un fascicolo al mese. IV. l ocale - con aeconipagnamento di pianoforte. - Scelta di pezzi più acclamati delle nuove opere teatrali tanto italiane che estere, non che di quelle appositamente immaginale per camera o per chiesa: Donizetli, Mcyerbecr, Pacini, Verdi, Ricci, Mandanici, Boucheron, Celli, Dòhler, Ballista, Cammarano. Due fascicoli al mese. V. Per filanto. - Collezione di concerti, fantasie, variazioni, pot-pourri, ecc., tanto a solo quanto con accompagnamento di orchestra, o di quartetto, o di pianoforte, come pure di pezzi concertali con altri slromenti: Tulou, Fahrbach, Rolla, Pacini, Verdi, Smancini e Fontana. Due fascicoli al mese. Il prezzo di ogni fascicolo sarà di auslr. lire 2 50 e comprenderà venti pagine di stampa. Le associazioni si ricevono presso l’editore Ricordi e sono obbligatorie per un anno. Chi vorrà cessare dall’esser associato è uopo prevenga prima che cominci il nuovo anno dell’associazione, altrimenti si riterrà associato anche per l’anno incominciato. NUOVE PUBBLICAZIONI MUSICALI DELL’l. R. STABILIMENTO NAZIONALE PR1V1LEG.” Di GIOVANNI RICORDI LA GIOJA DELLE MADRI RACCOLTA DI SOJVATIJXE SOPRA MOTIVI DELLE OPERE MODERNE RAPPRESENTATE CON BRILLANTE SUCCESSO IN MILANO COMPOSTE DA usuali iter Pianoforte goto Op. 67. i 1 ò161 Fase. I. Nabucco c Lombardi di Verdi •.. Fr. 4 73 15462 n II. Idem» 4 75 per Pianoforte n 4 ninni Op. 66. 15409 Fase. I. I Lombardi di Verdi i> 1 75 15410 n II. Nabucco, idem.. n 1 75 15411» HI. I Lombardi, idem» 1 75 15412 ii IV. Idem, idem n 1 75 per Pianoforte e Flauto Op. 68. 15647 Fase. I. I Lombardi di Verdi n 2 25 SECONDA RACCOLTA DI WW CON ACCOMPAGNAMENTO DI PIANOFORTE DI F. SCHUBERT 15001 15002 N. 1 II Pesciolino.... 2 Desiderio di viaggiare Fr. H 1 50 1 75 15005 5 Un gruppo del Tartaro. 11 2 — 15004 4 II Fanciullo cieco... 11 1 25 15005 5 11 Normanno

11 2 50 15006 11 6 La Culla

11 — 75 15007 7 II Lamento del Pastore. 11 4 25 15008 8 Barcarola

1! 2 25 15009 9 Sul Prato

Il 2 50 15010 10 Ave Maria

11 2 25 15011 11 11 Alla Silvia di Shakspeare 11 — 75 15012 n 12 II Pescatore

n 4 50 15015 15 La Stella della Sera. il — 75 15014 14 Saluto fraterno... 1! 1 75 15015 1! 15 II Viaggiatore.... 1! 4 25 15016 16 II Cacciatore delle Alpi, 1! 1 25 15017 17 La Campana degli Agonizza nli i) 2 50 15018 H 18 Vicino a te

1! 4 50 15019 19 Elogio del pianto. n 4 25 15020 n 20 II Pianto della Giovinetta w 2 25 Le venti Melodie riunite. ii 22 — GIOVANNI RICORDI EDITORE-PROPRIETARIO. Si unisce a questo foglio il Prospetto Generale delle Materie contenute nella seconda annata della Gazzetta Musicale Anno 11^ la coperta e frontispizio Antologia Classica, Voi. II; non che la prima parte del Catalogo di Musica, dal quale potranno i detti signori Associati far scelta dei pezzi promessi in dono. ’ • "

Dall’I. R. Stabilimento Razionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVARCI RICORDI Contrada degli Omenoni N. 1720.

  1. Vedi the New Edinburg Review, vol. II, pag. 510.
  2. Volgarmente triangoli o staffe.
  3. (1) Busby’s, History of music, voi. I, pag. 147.,
  4. (2) Secondo i migliori cronologisti, Pittagora morì circa 497 anni prima di G. C., in età d’anni 71