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studiato in Babilonia sotto Zoroastro, dovea essere famigliare cogli scrittori ebrei, e che egli dovea avere fondata la sua dottrina sopra questa espressione del libro di Giobbe: Quando le stelle mattutine cantano insieme. Questa fantastica idea sarebbe già stata posta in dimenticanza se i poeti non ne avessero tenuta viva la memoria. Nessuno l’ha cosi felicemente adoperata quanto il grande Milton nell'inno sul Natale.

Aristossene, nato a Taranto in Italia, 394 anni avanti G. C., era discepolo d'Aristotele, sotto i cui insegnamenti apprese di filosofia e di musica. A lui si devono molti tratti risguardanti le cose musicali. Egli era opposto di opinione a Pittagora in questo che egli considerava 1 orecchio come il solo arbitro degli intervalli di musica, mentre che il greco filosofo affermava non potere l'orecchio rilevare questi intervalli, come non potrebbe l'occhio servire a formare un circolo senza compassi. Nè l'una nè l'altra di queste opinioni è esatta, e Tolomeo, sforzandosi di stabilire una mezzana via fra loro, più chiaramente e semplicemente definisce le diverse funzioni dei sensi e della ragione. Vi erano nel tempo medesimo altri capi-scuola di sètte musicali, come Epigone, Damone, ecc.; il primo fu inventore d'uno stromento dal suo nome chiamato epigonium, il quale era fornito di quattro corde. Parimente Euclide il matematico ha scritto di cose di musica.

(Sarà continuato).




DOCUMENTI ISTORICI

Prefazione della Dafne di Ottavio Rinuccini, poosta in musica da Marco Da Gagliano per ordine di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, e rappresentata in quella città alla presenza della Corte nel carnevale del 1608. - (Firenze presso Marescolti 1608).

(Vedi gli articoli negli antecedenti fogli N. 46, 46 e 50)


"... Credo che non sarà disutile nè lontano dal nostro proposito il ridurre in memoria come e quando ebbero origine sì fatti spettacoli, i quali non ha dubbio alcuno, poiché con tanto applauso sono stati ricevuti nel loro primo nascimento, che non sieno quando che sia per arrivare a molla maggior perfezione, e forse tali che possano un giorno avvicinarsi alle tanto celebrale tragedie degli antichi greci e latini, e viemmaggiormente se da’ gran maestri di poesia e musica vi sarà messo le mani, e che i principi, senza il cui aiuto mal puossi condurre a perfezione qual si voglia arte, saranno loro favorevoli. Dopo l’avere più e più volte discorso intorno alla maniera usata dagli antichi in rappresentar le loro tragedie, come introducevano i cori, se usavano il canto, e di che sorta e cose simili, il sig. Ottavio Rinuccini si diede a compor la favola di Dafne; il sig. Jacopo Corsi d’onorata memoria, amatore d’ogni dottrina e della musica particolarmente, in maniera che da tutti i musici con gran ragione vien detto il padre, compose alcune arie sopra parte di essa, delle quali invaghitosi, risoluto di vedere che effetto facessero su la scena, conferì insieme col sig. Ottavio il suo pensiero al sig. Jacopo Peri, peritissimo nel contrappunto, e cantore di estrema squisitezza, il quale udito la loro intenzione ed approvalo parte delle arie già composte, si diede a compor le altre che piacquero oltremodo al signor Corsi, e con l’occasione di una veglia, il carnevale dell’anno 1597 la fece rappresentare alla presenza dell’eccellentissimo signor Don Giovanni De Medici, e di alcuni de’ principali gentiluomini della città nostra. Il piacere e lo stupore che partorì negli animi degli uditori questo spettacolo, non si può esprimere: basti solo che per molte volte che ella si è recitata ha generato l’istessa ammirazione, e l’istesso diletto. Per sì fatta prova venuto in cognizione il sig. Rinuccini quanto fosse atto il canto ad esprimere ogni sorta di affetti, e che non solo, come per avventura per molti si sarebbe creduto, non recava tedio ma diletto indicibile, compose l’Euridice allargandosi alquanto più nei ragionamenti; uditola poi il sig. Corsi, e piaciutole la Favola e lo stile, stabilì di farla comparire in scena nelle nozze della regina cristianissima. Allora ritrovò il sig. Jacopo Peri quella artifiziosa maniera di recitar cantando, che tutta Italia ammira; io non; m’affaticherò in lodarla, perciocché non ha persona che non le dia lodi infinite, e ninno amator di musica è che non abbia sempre davanti i canti d’Orfeo: dirò bene che non può intieramente comprendere la gentilezza e la forza delle sue arie chi non le ha udite cantare da lui medesimo, perocché egli dà loro una sì fatta grazia, e di maniera imprime in altrui l’affetto di quelle parole che è forza e piangere e rallegrarsi secondo che egli vuole. Quanto fosse gradita la rappresentanza di della Favola sarebbe superfluo a dire, essendone il testimonio di tanti principi e signori, e puossi dire il fiore della nobiltà d’Italia concorso a quelle pompose nozze; dirò solo che fra coloro che la commendarono, il serenissimo duca di Mantova ne rimase talmente soddisfatto, che tra molte ammirabili feste che da S. A. furono ordinate nelle superbe nozze del serenissimo principe suo figliuolo e della serenissima infante d Savoia, volle che si rappresentasse una i Favola in musica, e questa fu l' Arianna composta per tale occasione dal sig. Ottavio Rinuccini, che il signor Duca a questo fine fece venire in Mantova; il signor Claudio Monteverde, musico celebratissimo, capo della musica di S. A., compose le arie in modo sì esquisito che si può con verità affermare che si rinnovasse il pregio dell’antica musica, perciocché visibilmente mosse tutto il teatro a lagrime.

"Tale è l’origine delle rappresentazioni in musica spettacolo veramente da principi e oltre ad ogni altro piacevolissimo, come quello nel quale si unisce ogni più nobil diletto, come invenzione e disposizion di Favola, sentenza, stile, dolcezza di rima, arte di musica, concerti di voci e di stromenti, e squisitezza di canto, leggiadria di ballo e di gesti, e puossi anco dire che non poca parte v’abbia la pittura per la prospettiva e per gli abili, dimanieraché con l’intelletto vien lusingato in un istesso tempo ogni sentimento più nobile dalle più dilettevoli arti che abbia ritrovato l’ingegno umano.

Cenni Biografici di Marco da Gagliano e di alcuni altri valenti compositori di musica della scuola fiorentina che fiorirono tra il XVI e il XVII secolo, e brevi osservazioni sul particolar carattere di quella scuola.

Marco di Zanobi Da Gagliano, canonico dell’insigne Basilica Ambrosiana di S. Lorenzo di Firenze, e protonotario apostolico, che tanto nel suo tempo si distinse per le molte e varie composizioni musicali che ci produsse, come per onestà ed illibatezza di costumi vuolsi da alcuno discendente di nobil prosapia. Sappiamo essere egli nato in Firenze, ma ignoriamo in qual anno; soltanto è da credersi che nel 1602 e fosse giunto all’età virile ed avesse già dato prove d'una abilità non comune nell’arte musicale da poter convenevolmente esercitar l’impiego di maestro di cappella della suddetta Basilica di S. Lorenzo, che per atto capitolare in quell’anno veniagli conferito. Il quale incarico, che andava congiunto all’obbligo della istruzion musicale dei cherici di quella Collegiata, onorevolmente sostenne fino all’anno 1608 in cui per sua renunzia passava in Alfonso Benvenuti cappellano della Collegiata istessa, al quale venia dipoi nel 1615 surrogato un fratello del nostro canonico, cioè Giovanbattista Da Gagliano di cui si hanno varie musiche impresse in Venezia nel 1625 per Alessandro Vincenti. Nell’arte musicale fu Marco Da Gagliano pienamente istruito da Luca Bati canonico anch’esso della Basilica Laurenziana, professore insigne e maestro di cappella della Corte medicea, già discepolo di Francesco Corteccia che parimente fu canonico della chiesa medesima. Dimodoché, da quanto appare, sembra per lungo tratto di tempo avere esistito presso quel Clero un’ottima e fioritissima scuola musicale, in cui si formarono varii uomini che riuscirono eccellenti in quell’arte.

-Sul cominciare del secolo XVI, nasceva in Arezzo Francesco di Bernardo Corteccia, ma fino dalla sua j prima fanciullezza venuto con la famiglia a starsi in Firenze, per fiorentino volle sempre esser tenuto. Nel giugno 1551 a confronto di quattro competitori espcrimentava la di lui superiore abilità nel suonar l’organo, perlochè a maggiori suffragi venia dello organista della chiesa di cui fu canonico. E vie più nel seguilo resi noti i particolari suoi talenti musicali, il gran duca Cosimo I preselo in tanta stima, che circa il 1542 il creava maestro di cappella di sua Corte, incarico che con somma lode sostenne fino al 7 giugno 1571 in cui si morì.

Ebbe il Corteccia come compositor di musica splendida fama non solo in Toscana, ma per tutt’Italia e fuori, e ad una profonda cognizione nelle scienze e nelle lettere univa tratti mollo gentili c garbati nel conversare. Di lui fecer menzione varii scrittori, cioè il P. Remigio fiorentino nelle sue lettere familiari, Girolamo Parabosco nella sua commedia intitolata la Nolte, il Poccianti nella sua opera: De script. Fioreni: e vari altri più moderni, cioè il Mazzucchelli, e il Negrinelli. I lavori musicali lasciatici dal Corteccia, per la massima parte in manoscritto, per lungo tempo conservaronsi negli archivi medicei: oggi sono andati smarriti, od affatto perduti. Di alcuni di essi del genere madrigalesco, secondo che ne dice una biografia dei musici modernamente stampata in Londra, se ne conserva copia nell’Univcrsità di Oxford, ed un Innario contenente trentadue inni dell’Uffizio Divino posti in nuova maniera sulle note di canto fermo esiste in Firenze nella libreria Mediceo-Laurenziana (Codice VII). Insieme con Alessandro Striggio gentiluomo -.mantovano, nel 1565, il Corteccia ponea in musica gli intermezzi che Giambattista Cini fece per una commedia in versi sciolti di Francesco Ambra nobile fiorentino intitolata La Cofanaria, pubblicata dal Torrentino nel 1561, e rappresentata nelle nozze di Don Francesco De Medici, e della regina Giovanna d’Austria; ci dice il Mazzucchelli che quella musica fu giudicata insigne. Un libro di mottetti dedicali dal Corteccia a Cosimo I fu un anno dopo la di lui morte stampato in Venezia da Antonio Gardano, per mezzo del quale il Corteccia medesimo fin dal 1570 avea pubblicato i suoi Responsi dell’uffizio della settimana santa dedicali allo stesso granduca di Toscana.

Nessuna notizia abbiam potuto rintracciare finora delle composizioni di Luca Bati, ma in quanto a quelle del suo discepolo Marco da Gagliano diremo che, oltre alle musiche sulla Dafne, dalla cui prefazione fu estratto il quadro isterico della invenzione del dramma musicale di sopra riportalo, egli fece stampare in Venezia nel 1615 per Riccardo Amadino una collezione di ventisette cantale sotto il titolo di musiche a una, due e tre voci, ecc., ecc. Molte altre composizioni manoscritte andaron perdute, e soltanto di alcuna di esse se ne fa onoratissima menzione da Lorenzo Parigi nei suo Dialogo terzo, ove incidentemente parlandogli musica e di varii celebri artisti di quel tempo, cita due famose canzonette, una delle quali incomincia - Bel pastor dal cui bel guardo l’altra -Ecco solinga delle selve amica - composte, siccome ci dice, dal signor Marco da Gagliano maestro di cappella di S. A. musico anch'egli così gentil come dotto. Ma ove a maggiore altezza innalzatasi il nostro canonico Marco era nella musica dell’uffizio della settimana santa che sessantanni dopo la pubblicazione di quella del Corteccia, il Da Gagliano, per servizio di quella stessa Basilica, con perfezione maggiore componea. Questi responsi furono nel 1650 stampali in Venezia da Bartolommeo Magni, e portano il titolo - Responsoria majoris hebdomadae qualuor paribus vocibus decantando Marci a Gagliano musices magni Elruriae ducis praefecti ecc. Alla pubblicazion di quest’opera sopravvisse l’autore; dodici anni circa, giacché dai libri emortuali del Capitolo di S. Lorenzo apparisce essere stati celebrati i di lui funerali il 26 febbraio 1642 ab incarnatione.

Non ha molti anni che ancora i Responsi di Marco Da Gagliano venivano con somma venerazione cantati nella settimana santa nella chiesa di S. Lorenzo nel di cui archivio musicale tuttora, come quelli del Cor-