Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 34

N. 34 - 21 agosto 1842

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GAZZETTA MUSICALE

N. 34

DOMENICA
21 Agosto 1842.

DI MILANO
Si pubblica ogni domenica. — Nel corso dell’anno si danno ai signori Associati dodici pezzi di scelta musica classica antica e moderna, destinati a comporre un volume in 4.° di centocinquanta pagine circa, il quale in apposito elegante frontespizio figurato si intitolerà Antologia classica musicale.
La musique, par des inflexions vives, accentuées. et. pour ainsi dire. parlantes, exprimè toutes les passions, peint tous les tableaux, rend tous les objets, soumet la nature entière à ses savantes imitations, et porte ainsi jusqu’au coeur de l’homme des sentiments propres à l’émouvoir.

J. J. Rousseau.

Il prezzo dell’associazione annua alla Gazzetta e all’Antologia classica musicale è di Aust. lire. 24 anticipate. Pel semestre e pel trimestre in proporzione. L’affrancazione postale della sola Gazzetta per l’interno della Monarchia e per l’estero fino a confini è stabilita ad annue lire 4. — La spedizione dei pezzi di musica viene fatta mensilmente e franca di porto ai diversi corrispondenti dello Studio Ricordi, nel modo indicato nel Manifesto — Le associazioni si ricevono in Milano presso l’Ufficio della Gazzetta in casa Ricordi, contrada degli Omenoni N.° 1720; all’estero presso i principali negozianti di musica e presso gli Uffici postali. Le lettere, i gruppi, ec. vorranno essere mandati franchi di porto.


essere il sig. Ferri dotato di un organo i vocale a suìiicienza energico ed espansivo, e per non averlo quindi coltivalo in questo senso, non saprà mai raggiugnere la perfezione da noi desiderata nella parte di Nabucco, e che è quindi indiscrezione esigere da lui l’impossibile. A questo noi rispondiamo che, poiché si tratta del teatro della Scala, ogni pretesa in fatto di cantanti non è sovverchia • poi crediamo che quanto al sig. Ferri il male derivi, non; tanto da scarso volume di voce, o da cattivo metodo nell’emetterla, quanto da non bastevole intensità di sentimento e da mancanza di quell’estro artistico che deve signoreggiar l’animo del cantante, sicché in lui 1 ispirazione e la passione facciano scomparire ogni idea di studio, di fatica e di artifizio, (i) I pregi di vibrazione e di espansività di che sembra a noi mancante la voce del sig. Ferri sono invece principali in quella della signora De Giulii, la quale sa giovarsi dell ottava soprana dal ilo al (lo con molto felice ardimento. Ella non teme di pigliare di salto queste sue note acute, il che non é poca difficoltà, e le azzecca di solito molto bene intonate e le slancia nel pieno dei forti d’orchestra con tal decisione che non ponno a meno di riuscire di sicurissimo elletto. Questa sua abilità particolare è di molto giovamento alla signora De Giulii nella parte di Abigaille, cui per avere il poeta dato il carattere di donna fiera ed avventata, ha bisogno di essere vestita da una cantante alla quale: non facciano difetto né la gola, nè i polmoni a poter imprimere alle frasi energiche e salienti a lei affidate un fare al più possibile risentito e quasi diremmo iracondo. In questo proposito osserviamo però che la signora De Giulii, non essendo fornita di buone e ben risolute voci basse, non può dar sempre la maggior finitezza e decisione di contorno ai periodi, la cui cadenza si risolve di solito sulle note ch’ella appunto possiede più deboli ed incerte. L’esercizio e lo studio le otterranno di superare o almeno di velare con artifizio questo suo: difetto, che, grazie ad una malizia stromeni tale, è, per esempio, non avvertito nella (1) Per amore del vero c per giustizia è duopo accennare che in alcuni passi della sortita e nell’aria dell’atto quarto il sig. Ferri è applaudito con soddisfacente clamore. Sanno però i nostri lettori che noi non siamo usi tener gran conto delle speciali manifestazioni del pubblico, ina siamo dominati dal piccolo amor proprio di voler giudicare da noi del inerito delle cose teatrali, libero però ad ognuno accettare o rifiutare le nostre opinioni. Si unisce a questo foglio una Melodia di Sem huit, trascritta iter Pianoforte da T. Liszt, che si dà in dotto ai signori Associati. CRITICA MELODRAMMATICA. Rlprod Mattone «lei «TAIHJCODOISOSOR del maestro Verdi sulle scene dell’I. B. Teatro all» Scala. suo tempo abbiamo già parlato a lungo di cjUesto spartito. Aggiugneremo alcuni altri cenni necessarii a manifestare l’opinion nostra intorno ai cantnero ora affidate le due parti principali. L’azione di questo componimento melodrammatico del Solerà non è mossa ed agitata che per l’impeto della volonlà di Nabucco; in forza del suo cieco smisurato orgoglio si viene ordendo la tela del fatto; daìl’incomposta foga delle sue brame è avviluppala, e l’ardenza delle sue passioni ne precipita la catastrofe. La musica si associa mollo bene colla poesia a svolgere la pittura di questo carattere che con tanta potenza di volontà determina le varie fasi dell’azione. Adunque a ben interpretare la parte di Nabucco si vuole un artista cantante, che e per possesso di scena e per sicuri e risoluti modi di canto, e per pronto e vivo sentire, fin dal primo comparire sul palco, si faccia sovrano della scena, e a sé, come a principal figura a’cui atti e a’cui voleri f interà azione è subordinata, attragga tutta l’attenzione del pubblico, nò lasci che un sol momento si dubiti che l’importanza drammatica delie altre parti possa alla sua contendere il primato. Il Ronconi, pel quale venne scritta dal Verdi la parte di Nabucco, adempiva mirabilmente a queste essenziali condizioni. Sarebbesi detto che per fino da’ suoi difetti ei traeva alcuni degli elementi necessarii a dare calore e vita a tutte le scene nelle quali aveva luogo. Quel non so che di duro e di risentito nelle sue mosse, l’irrequieta mobilità del suo volto, un tal quale sinistro lampeggiar dello sguardo, e per fino la naturale asprezza della voce, tutto ciò ei faceva servire a ritrarre più spiccata e maschia l’immagine morale di un personaggio dotalo di si strano e fiero umore qual è il terribile monarca del libretto italiano. Il sig. Ferri, che nella recente riproduzione del Nabucco venne sostituito al Ronconi, non manca di belle e buone doti, ma e i suoi modi di canto e l’indole del suo organo vocale difettano in parte di quella risolutezza e di quella decisa e sicura arte di colorire che sono Indispensabili alla buona interpretazione di una parte sì piena di tinte spiccate e salienti. Quanto ali azione, sebbene non osiam dire che il sig. Ferri l’abbia nè trascurata nè al tutto | fraintesa, ci pare però insudiciente in ciò appunto in che è manchevole e il suo genere di canto e la natura della sua voce, vogliam dire: sicurezza, energia, calore. Sarebbe nostro desiderio che così nei recitativi come nei caniabili, e molto più poi nelle frasi di passione, ei mettesse un accento d assai più vibrato, e desse adito alla sua voce, qualunque ella sia, ad uscire più ardita, e ad espandersi con più animata efficacia. Veniamo a qualche esempio. Al primo irrompere di Nabucco nel tempio degli Ebrei, ch’egli con tanta audacia viola e profana, è duopo d un contegno alteramente minaccioso. Alle parole ch’ei dice fra sé «Tremiti gli insani - Del mio Jitrror» sono apposte frasi musicali piene di energica accentazione. Ma il sig. Ferri le eseguisce in modo sì esitante, e diremmo quasi pauroso, che per poco non ne lascia in dubbio, se sia Nabucco che agli Ebrei o questi che a lui incutano terrore. Questo difetto di risolutezza nel porgere e nell’accentare è vieppiù sentito nella stretta di questo pezzo u Mio furor non più costretto, ecc.» ove l’impeto di un animo che più non sa frenarsi è in gran parte mancato, e l’intenzione del poeta e del maestro tradita, e quindi perduto l’effetto principale che è da attendersene. Dicasi poco men che lo stesso del bellissimo punto drammatico del secondo atto in cui Nabucco, postasi in capo la corona, esclama imperioso alla turba «Ascoltate i detti miei - D’è un sol Jume - il vostro re! n In questo passaggio è d’uopo d una voce che con ripetuta e ravvigorita insistenza esprima la foga di un animo altero che per insana superbia si crede più che mortale e sfida l’ira del cielo. Guai se il cantante lascia uscire molli e indecisi que’tuoni ascendenti per gradi fino a proromp re colla possa impetuosa di un’imprecazione!... Il povero maestro avra spesa indarno la sua fantasia e all’uditore non sarà data che una parodia della situazione drammatica. Taluno forse ne obbietterà che per non tanti cui ve [p. 150 modifica]cadenza del passo di carattere della sua aria del second’atto, ove il clarinetto, senza che l’uditore comune se ne accorga, conduce a fine una rapida scala discendente che la voce della cantante abbandonò poco men che a mezza via. In oltre vorremmo che la signora De Giulii, nei pochi passi di affetto ne’ quali manifesta il suo segreto amore per Ismaele, si abbandonasse meno a un certo quale manierismo sdolcinato, che non è del miglior genere:, e in generale poi le raccomandiamo di non allargar di troppo il tempo così nei recitativi come nei cantabili, e massimamente nell Adagio dell’aria del secondo atto, da lei eseguito con felice portamento di voce e con sobrietà di ornati, ma non con abbastanza colorito caratteristico, nè con relativa verità di espressione. Ci spieghiamo meglio. È un errore il credere che vi sia una regola generale la quale determini essere uno solo e invariabile il modo di modular bene gli Adagio cantabili. Ciò potrà dirsi benissimo per quel che riguarda gli artilizii materiali ed elementari del canto, non già per quanto si riferisce al carattere e all’espressione. Quanti largo cantabili, quanti adagio affettuoso, sebbene per il contesto melodico dal più al meno si assomiglino (che noi crediamo ben difficile una gran varietà in questa specie di canti) ponno e devono essere molto diversamente caratterizzati dall’ingegno dell’artista se costei bada alla tempra e alla natura del personaggio ch’ella finge! La Pasta, la Malibran ed altre pochissime attrici ben le intendevano queste differenze, e l’esimia lombarda era poi fra le altre maestra in codeste fine distinzioni, sicché udivi in qual diverso modo con frasi cantabili di non molto dissimile tessuto di note ella esprimeva ora l’ingenuo amore di Amina, ora i casti affetti di Polena, ora le incomposte fiamme di Norma! Abigaille, donna divorata dall’ambizione, vendicativa, dispettosamente gelosa d?un bene perduto, anche ne’momenti di tenera espansione, come è il caso della sua aria del secondo atto, debbe lasciare intravedere la sua irosa natura, e nella mestizia de’suoi lamenti ha da spiccare una tal quale tinta di rancore e di orgoglio offeso che vorrebbe sfogarsi nel pianto ma finisce per prorompere con un’invettiva. Questo felice passaggio, ben trovato dal poeta, fu sufficientemente conservato dal compositore e marcato nel contrapposto delle lente modulazioni del primo tempo dell’aria suddetta, non al tutto peregrine.colle variate e incalzanti frasi della stretta CO. O ci inganniamo a gran partito o ne pare che la signora De Giulii non abbia voluto farsi abbastanza ragione di codeste che a lei forse parranno sofisticherie, e a noi sembrano sottili ma giuste esigenze della critica. Ormai l’educazione artistica de’ nostri signori cantanti è di tanto progredita che il non esigere da essi la scrupolosa osservanza di tutte le menome intenzioni drammatiche del poeta e del compositore, è più che altro, far torto al loro ingegno e al loro spirito. (I) La nostra imparzialità ci ingiunge di qui accennare per digressione che la signora Strcpponi aveva molto bene compreso il carattere fiero e amaramente passionato di Abigaille. Ella per altro, indisposta di voce, non poteva dare il necessario risalto alle modulazioni più spiccate, nè aggiugnere vigore alle accentazioni energiche della musica, massime rie’ passi in cui questa richiede slancio e sicurezza di voci acute. Però eseguiva con sufficiènte energia il passo di carattere dell’aria del secondo atto c non trascurava di dare l’opportuna tinta di ironico orgoglio ai due versi di molto significato:» Regie figlie qui verranno - L’umil schiava a supplicar. In proposito della signora De Giulii ci facciamo lecita un’altra osservazione. Forse ci inganneremo, ma ne sembra che nei suoi modi di azione ella si attenga un’po’troppo alla vecchia scuola di mimica, sì riprovevole, perchè basata sul falso e sul convenzionale. Non possiamo a meno di lodarla del molto studio ch’ella pone a conservar sempre la dignità teatrale del contegno: però desidereremmo ch’ella non si addimostrasse troppo, ligia all’antico precetto che raccomandava di accompagnare ogni concetto della poesia con un geslo diverso anche a rischio di ricorrere, dopo un certo giro, al gesto medesimo già poco prima usato, e così di seguito. In oltre vorremmo che ella non ripetesse troppo spesso certe pose che sanno troppo di accademico, e danno quindi un fare un pochino antiquato alla sua azione scenica. La signora De Giulii è artista destinata a progredire molto innanzi, così nel canto come nella scena, ed è per questo che con lei ci facemmo lecite delle minute osservazioni che forse avremmo credute superflue con altre. Se mai le nostre parole avranno saputo persuaderla di qualche piccola verità, crederemo di aver raccolto il miglior frutto che possa sperarsi da un articolo da giornale. Nel foglio venturo osserveremo altre cose diverse intorno al modo col quale, presentemente, è posta in iscena questa Opera destinata a glorioso avvenire, ed aggiugneremo alcun chè intorno alle parti secondarie ed ai cori. G. B. ESTETICA MUSICALE. uniTAzioxE siiinn j in i. (Tedi i fogli 19, 22, 23, 24, XXXIV. Molto più vasto è il campo dell imitazione subbiettiva la quale, come già dicemmo, ha per tipo gli affetti dell’uman cuore. Qui non trattasi di imitare altri suoni che quelli dell’accento umano nel canto declamato, nè questi pure nel canto ideale, ma sì di formare un tutto che corrisponda ad una data maniera di essere; un tutto che desti l’idea di una data commozione d’animo qualunque ella sia, al che vedemmo coll’analisi sommamente acconcia l’arte nostra. Egli è in questo genere d’imitazione, il più nobile e degno dell’artista, che l’orchestra. o quei mezzi che ne fanno le veci, debbe assumere di rappresentare tutto che è necessario all’espressione dell’affetto, e che la parola e l’accento della melodia non possono dichiarare. Egli è qui che l’artista ha duopo di ben conoscere il cuore umano, e di quella facilità di trasportare sè stesso in tutte quelle situazioni che debbe colf arte sua dipingere, facoltà che chiamasi sensibilità, e senza la quale nessuno può essere vero artista. E qui finalmente che richiedesi una perfetta cognizione dei rapporti fra l’arte e la natura congiunta a gusto squisito per iseegliere i mezzi più proprj, fra quanti ve n’ha, ad esprimere con verità il proprio soggetto. Dopo quanto abbiamo discorso intorno agli affetti non meno che sulla relazione e corrispondenza fra questi e gli elementi dell’arte crediamo inutile aggiungere precetti che non farebbero che assoggettare l’immaginazione a forme, direm quasi, meccaniche sempre nocive. Ci limiteremo dunque a scegliere alcuni esempi sui quali discorrendo, e applicando i principii già esposti ne risulterà una norma generale di raziocinio per l’artista, più utile di qualsivoglia precetto. Già abbiamo citato il Rondò finale della Straniera di Bellini: ad un esempio sì hello di espressione musicale ne piace aggiungere il Rondò pure finale della Caterina dì Guisa, in cui la situazione drammatica è quasi la stessa perciò che riguarda l’affetto, e comprova quanto abbiamo detto parlando del carattere dei toni. In questo esempio ci limiteremo ad osservare come la melodia senza trilli e senza passi di bravura riesca in tali espressioni più smaniosa epperciò più vera. Caputeti e Montecchi. - Duetto Romeo e Tebaldo atto if," Bellini. XXXV. Due guerrieri rivali, uno de’quali sorprende 1 altro mentre furtivo s’aggira nelle vietale soglie, debbono necessariamente accendersi di sdegno. Tebaldo per l’ardire di Romeo, questi per l’importuno arrivo e per l’alterezza di quello. Ma prima di por mano ai ferri raro è che non si tenti opprimere il nemico colla potenza della parola. In tali casi però esseri come questi, educati ad alti sensi, raffrenar sanno l’interna ira, e ambiscono mostrarsi l’un del1 altro più grande e magnanimo, e tale è il principio di questa scena. La melodia larga, grandiosa, e slanciata a grandi’ intervalli consuona pienamente colla parola; ma questa non poteva dire di più, ed ecco che 1 orchestra con quel fremito interrotto ed ineguale vi dipinge il represso furore di entrambi e presagisce inevitabile un rabbioso duello. (1). Già i brandi sono snudati; già balenano diretti al seno l’uno dell’altro... Un suono s’ode di funebre canto... I combattenti ristanno. Il nome dell’adorata Giulietta risuona in mezzo a quei lamenti... Cadono l’armi di mano ai guerrieri rivali. Orbati di lei anzi che darla, vorrebbero ricevere la morte. Quanta disperazione, quanto impeto smanioso in quella cappelletta (2)i Come a proposito l’autore della musica scelse una alternazione di parti anziché una di quelle melodie che annunciate dall’uno vengono al solito dall’altro attore per intiero ripetute alla lettera! Come bene l’orchestra con quell’arpeggio dei bassi e coi contrattempi superiori esprime l’interna agitazione, il palpito sommamente accelerato del cuore! Potrebbe forse sembrare debole l’espressione della sorpresa che l’annunzio della morte di Giulietta produr debbe sui due amanti. Ma si osservi che se il maestro avesse in qualche modo interrotto il periodo del canto funereo per darvi maggior colorito, non avrebbe fatto meglio; poiché ove l’affetto è come qui sì irrevocabilmente necessario che non si può dubitarne, un moto, un gesto bastano a dimostrarlo, e ogni più è dannosamente soverchio. In quest’Opera quasi tutte le cantanti cui spetta la parte di Romeo preferiscono il (1) E qui c altrove noi facciamo l’analisi delle passioni tali quali le intese il poeta, senza entrare nel inerito del dramma la cui lode o censura a noi non s’aspetta. (2) Ci facciamo lecito di dire cappelletta invece di cabballetta, benché questo vocabolo sia più del primo usato. A ciò ne induce l’opinione che il secondo derivi per corruzione dal dialetto napoletano, essendo noto che in Napoli come in Roma il volgo dice gabella per cappella e gabbala per cabala e gabballetta per cabaletta o cappellctta. D’altronde a tutti è noto che noi diciamo ancora cappelletta a quel tempo binario per lo più allegro, con cui da più di un secolo si usò terminare i pezzi musicali di qualche estensione. esemj [p. 151 modifica]5.° atto di Vaccai a quello di Bellini. L’uno e l’altro racchiudono molte bellezze essendo piene di affetto sì la poesia che la musica. Ad onore del primo conviene confessare che in molti tratti Bellini dovette quasi copiarlo, e che il tratto con cui dall’orchestra si prepara 1 arrivo di Romeo sulla scena annunzia meglio (quanto all’idea) il profondo inconsolabil dolore che sta per esservi rappresentato. Ma più che il preludio d’arpa ne piacerebbe un sommesso mormorio d orchestra e quei tratti che troviamo in quel di Bellini di flauto e clarino isolati ed esprimenti quasi una deplorata memoria. Qui v’è più che mestizia,.e l’arpa se conviene ad un dolore consolato almeno del pianto, è poi inopportuna ove regna sì irrevocabile pensiero di morte. In questi casi gli accompagnamenti che appena fanno accorgere la presenza dell’elemento armonia come nell’ultima preghiera di Anna Bolena «Cielo, a: miei, lunghi spasimi» ci sembra il migliore perchè non distrae l’attenzione dal soggetto principale. Il coro nel finale di Bellini ne porge mezzo di far osservare siccome alcuni modi del tutto antiquati possono venir messi a profitto, quando non siano barocchi, senza che il pubblico se ne adonti. Infatti il primo periodo di quel coro è talmente modellato, che così solo lo direste appartenere almeno al secolo passato, che in fatto di gusto melodico è qualche cosa nell’opinione delle nostre italiane platee (eppure questo fare di Bellini non fu avvertito). Pirata. - Aria Gualtiero «Nel furor delle tempeste» e duetto «Tu sciagurato» medesimo atto. XXXVI. Nel primo di questi esempi abbiamo la storia delia passione da cui è agitato Gualtiero in mezzo a una vita tempestosa come l’elemento su cui trascorre, fattosi nemico de’ suoi simili; ma più infelice che reo, la memoria di Imogene è una luce che il consola; e quanto conforto appresti all’agitata anima sua ve lo dice la soavità della musica, la quale (senza parlare della grazia di quella melodia di un ideale aereo, indefinibile) col tono minore del primo periodo dipinge l’abituale tristezza in cui vive, col passaggio al tono maggiore misto del secondo, la consolazione cli’ei prova fermando la mente nel pensiero di quell’essere virtuoso. Tutta quest’aria ha un non so che di patetico, di soave abbandono che vi fa compatire a quell’infelice, e desiderargli consolazione. 11 maestro seppe conservare il carattere del personaggio in tutta l’Opera, e farlo luminosamente apparire nel duetto ch’egli ha poi con Imogene, e specialmente nel modo onde concepì quel rimprovero «Pietosa, al padre e meco - eri si cruda intanto». Quella musica è più che pianto, e somministra alla parola una potenza che la fa risentire nel più profondo dell’anima. Nè senza la più soave commozione può udirsi la melodia piena di affetto dell’allegro colle parole «Bagnato dalle lagrime» melodia tanto semplice e che pure fa intendere sì bene il valore dell’azione generosa di Gualtiero, e vi sforza sempre più ad amarlo. XXXVII. Qui cade in acconcio di far osservare come Bellini trovò nel suo cuore © un genere di bellezze tutte proprie della melodia che poi ben Intesero e Donizetti e.Mercadante, delle quali citeremo alcun esempio, onde dichiararle. È di questo genere lo slancio che trovi nell’adagio concertato finale primo Sonnambula ( D’un pensiero, d’un accento ) alle parole» Ah se fede in me non hai» slancio in cui si può dire consista tutto il hello di quella melodia, e in cui si contiene. diremmo quasi, un intiero dramma. E di questo genere la transizione che troverai nel duetto, alto secondo, fra Belisario e Irene alle pattile «Tal benedir (/nell’infelice» transizione che lutto ti ritrae il calore, la tenerezza dell’affetto paterno. E di consimile effetto potrai ravvisare nella cappelletta del medesimo duetto la sospensione che procede le parole» E degli occhi ch’io perdei «e nell’aria del Robert le Diable che incomincia Robert, toì (pie j’aime, nell’attacco dell’intercalare «Giace pour toi me me i>. Molti altri potremmo citarne. ma ne sembra debbano bastar questi pochi, e perchè facilmente si possono riconoscere molti altri, e per dimostrare come non siano ristretti ad un sol modo, ma s! possano ottenere in più guise, e come I elemento armonia possa concorrere a formarli in un colia melodia, esclusa affatto f influenza del ritmo se non è negativamente, cioè una sospensione di ritmo. (Sarà continuato) li. Bouciiisnori. STORIA DELLA MUSICA. ORIGINE lIEIiliA MUSICA IXCUIìSIASTICA ( P~. il N. 33 di questa Gazzetta ). Durante il regno di Teodosio, la maniera di canto adottata nella Chiesa orientale, fu da santo Ambrogio introdotta in quella di Milano, governata da lui dall’anno 574’ sino al 598 (ri. Questo prelato molto era valente in musica, e veggendo egli che il canto ecclesiastico era degenerato in gran corruzione, deliberò di fermare un regolar sistema, e compose quel canto che è stato poscia contraddistinto col nome di Ambrosiano. «A quest’epoca, dice santo Agostino, fu ordinato che i salmi e gli inni fossero cantati secondo la maniera de’ cantori d’Oriente, acciocché il popolo potesse pascere lo spirito durante il divino officio; d’allora in poi questa maniera di cantare si perpetuò a Milano ed è in seguito stata imitata da tutte le Chiese della cristianità.» Questa salmodia produceva molto effetto, poiché lo scrittore medesimo dice, parlando delle sensazioni che egli provava entrando in chiesa mentre che il coro cantava: «Secondo che le voci si insinuavano nelle mie orecchie, la verità penetrava nel mio cuore e la pietà mi constringea a versar lagrime di dolcissimo pianto». Malagevole è dire che cosa fosse il canto ambrosiano e in cbe differisse da quello di san Gregorio, del quale siamo per tener discorso. Il sig. Clioron all’erma cbe non si può discoprire alcuna ragguardevole differenza fra il canto della Chiesa di Milano e quello delle altre Chiese cattoliche. Il dottor Burney ha del pari osservato, sì ascoltando i divini ullicii eseguiti a Milano, sì nella lettura de’messali e delle opere state pubblicate in questa città sul canto fermo, che non può rilevarsi alcuna Importante differenza fra il canto ambrosiano e (-1) I.a musica delle Chiese (l’Oriente non era allora quale è stata dappoi, in seguito della riforma operata da’ Giovanni Damasceno che no cambiò il sistema e la notazione. /•’. quello che è in uso nelle altre Cattedrali d’Italia e di Francia ove è adoperato il sistema gregoriano. Quanto al canto, egli soggiugne che quel poco che ne è stato conservalo non basta per determinare accuratamente qual fosse il suo carattere particolare. Nondimeno, siccome egli era di greca origine, era per avventura fondato sulla divisione della scala per tetracordi, onde ogni melodia de Greci era regolata. Generalmente s ha per fermo cbe sant’Ambrogio conservò i nomi dei quattro modi autentici della musica delle Chiese greche, cioè: il dono o tuono di re, il frigio o tuono di mi, l’eolio o tuono di fu, e il missolidio 0 tuono di sol. Questi modi erano altresì contrassegnati coi nomi de’numeri greci: protos primo, deuteros secondo, tritos terzo e tetratos quarto. 11 Te Deum hi, per quanto si dice, opera di sant’Ambrogio. Altri affermano che questo prelato lo compose in occasione della conversione di sunto Agostino; ma alcuni altri scrittori tengono cbe questa fosse opera dell’uno e dell’altro di questi due padri della Chiesa. In somma i diritti ili sant Ambrogio alla composizione di questo inno sono recati in dubbio. Uslior 1 attribuisce a Nieczio, vescovo di Treves, cbe fioriva verso il 500; il benedettino editore delle opere di santo Ambrogio non dice che egli fosse l’autore ili questa composizione, finalmente Cave e Stillinggfle s’accordano dicendo cbe il Te Deum non è nè di sant’Ambrogio nè di santo Agostino. Del resto, chiunque sia l’autore di questo bellissimo pezzo, egli non cessa però di essere un monumento dei più ragguardevoli del canto ecclesiastico cbe sia pervenuto insino a noi. Pochi furono i cambiamenti operati nel canto di Chiesa instituito da sant Ambrogio sino al momento in cui san Gregorio diede al canto la forma clic ha conservata sino a nostri dì (1 )! San G regorio nacque in Roma, intorno all anno 550; ed era attenente a una famiglia patrizia. Essendosi egli cattivata la benevolènza dell’imperator Giustiniano, fu nominato prefetto di Roma; ma parendogli che la vita religiosa meglio fosse secondo la sua vocazione, abbandonò quest’ufficio, e dopo la morte di Pelagio primo, fu levato alla sedia pontificale. Allora egli diè mano ad operare una riforma nel canto di Chiesa. A tal fine egli aumentò il numero dei modi stabiliti da sant’Ambrogio, e in luogo di soli quattro, li recò sino a otto; diè bando ai canto figurato come troppo frivolo e leggiero rispetto alla Chiesa, riunì i frammenti musicali degli inni e dei salmi stati approvati dai primi padri della Chiesa, ne fece una scelta e li classificò in un ordine che fu tosto adottato dalle principali Chiese dell’Occidente, e che fu lungo tempo seguito a Roma. Questo pontefice instiluì una scuola di canto che fiori per ben tre secoli dopo lui. Egli sostituì del pari le lettere romane ai segni più complicati de’Greci per la notazione, in guisa che le lettere majuscole A, B, C, D, E, F, e G rappresentavano le prime sette note gravi incominciando dal la, le medesime lettere, minuscole, le sette note seguenti, e finalmente le medésime lettere raddoppiate, le sette note acute. I quattro nuovi modi introdotti nel canto furono chiamati piagali o relativi o collali) Qui sopprimiamo un tratto della storia del signor Stafford nel quale l’autore commette il grave errore di affermare che il calilo figurato fosse nella Chiesa introdotto prima di san Gregorio. [p. 152 modifica]ter ali. La differenza che v’ha fra questi e i quattro mòdi autentici è che in quest ultimi la melodia è circoscritta alf estensione di otto note delle quali la nota del tuono è la più grave come di re a re. di mi a mi. ecc., mentre che ne piagali la nota del tuono è contenuta nelle otto note di ciascun tuono, incominciando dalla quarta inferiore come di la a la nel tuono di /e, di si a si nel tuono di mi. ecc. Per cagione dell’innestamento de*modi piagali, l’ordine numerico degli autentici fu cangiato di sorte che questi divennero il primo, il terzo, il quinto e il settimo, e piagali furono il secondo, il quarto, il sesto a l’ottavo. (Sarà continuato). SOLENNITÀ MUSICALE* nel «li luglio 1342 «Bruxelles. II sig. Fètis concepì, non ha molto, l’idea di solennizzare il giorno commemorativo dell’inaugurazione di Leopoldo Re dei Belgi, con una gran festa musicale. Egli si prese cura di procacciarsi un copioso numero di esecutori cantanti c suonatori e di solisti di gran fama, fra i quali si annoverano i signori Liszt, Artót, de Bériot, Mossart, Geraldy e madama Damorcau. Il coro era composto del copioso insieme di trecento e venti voci, come ben si conveniva al vasto locale dato a questa solennità; il quale è una Chiesa soppressa, che noi abbiamo descritta già al N. 28 di questa Gazzetta. Le navi inferiori e le gallerie espressamente costrutte erano stipate di una folla di oltre a tre mila uditori e il coro conteneva gli esecutori che erano più di cinquecento persone. Sopra tutto si è ammirata una straordinaria esattezza di esecuzione, del che si dee la lode all’abilità di un tanto direttore. Si è incomincialo colla sinfonia in la di Beethoven, capolavoro in questo genere di musica; e tale è stata l’aggiustatezza ed unione dei cento ottanta suonatori che l’hanno eseguita, che Liszt ebbe a dichiarare non averla mai meglio sentita nè anche al Conservatorio di Parigi. In somma ogni minima sfumatura nel piano ed ogni piccolo accento nel vigoroso e formidabil forte si sono rilevati con maraviglia e soddisfazione d’ognuno. Artòt ha suonato un suo nuovo concerto stato assai ammirato specialmente in un rondò che vi è di uno stile tutto elegante, ed ha fatto prova di progresso nell’esecuzione. Madama Damoreau ha quindi egregiamente cantato l’aria con variazioni della Cenerentola. Il duetto del Maestro di cappella che essa ha cantalo con Geraldy ha fanatizzato l’uditorio. È da notarsi che Liszt ne era accompagnatore al pianoforte, e che il sig. Fótis voltava le carte della partitura. L’unione di questi quattro artisti ad ollìcii cosi differenti non ha potuto sfuggire alla considerazione cagli applausi del pubblico. La bella scena di Assur nella Semiramide è stata ottimamente cantata dal sig. Geraldy. La seconda parte si è incominciata con una fantasia del sig. Haussens, sopra alcuni motivi di arie fiamminghe messe ad orchestra con grande abilità di istromentazjonc. Poscia alcuni frammenti del Giudizio universale di Sehncidcr e della Conversione di san Paolo di Mendelssohn sono stati cantati a pieno coro, con esecuzione veramente perfetta. Terminando con Liszt, riporteremo le parole della Gazzetta Musicale di Parigi, la quale dice, che non avrebbe la lingua epiteti di lode per gli altri, se da lui si fosse cominciata la relazione del gran concerto di Brusselles. Egli è sempre nuovo, trasformato, superiore a sè stesso. Egli ha suonalo la sua fantasia sul Don Giovanni, ed è stato coperto d’acclamazioni e di fiori. Brusselles, mercè le cure del sig. Fótis, diverrà presto una delle città più musicali dell’Europa. L’incasso di questo concerto, netto da spese, è stato versato nella cassa de’poveri. NOTIZIE VARIE. — In questo mese (così la France Musicale) vi lia molta attività fra gli editori di musica parigini. Si fecero molte pubblicazioni t ma poche cose buone fra queste. Però è da menzionare specialmente un Traité des principes élémentaires de la |nusic/ue del sig. Blondeau. Il sig. Sehlessinger pubblica nel formato cf8.° il Fidelio di Beethoven, le Deux Journées, Richard Coeur de Dion, L’Eclair, le Nozze di Figaro, il FrejschïUZy ecc. Non saranno mai abbastanza incoraggiate questa specie di pubblicazioni a buon prezzo tendenti a popolarizzare il gusto della musica ispirata e meditata ad un tempo. Vorremmo che l’esempio del sig. Sehlessinger venisse pure imitato - do2 da qualche nostro editore, che sarebbe questo uno dei buoni mezzi da usarsi per vincere il pregiudizio di molti nostri dilettanti e professori, i quali si sforzano a persuadere sè stessi e gli altri non essere al mondo altra buona musica fuorché 1 italiana. Noi abbiamo già le cento volte detto altamente clic i capolavori dei nostri grandi maestri sono da proporsi, a preferenza di quelli de’maestri stranieri, quali modelli a’ nostri compositori per quel che è della spontanea ispirazione melodica, purezza d’espressione, chiarezza di frase, ecc. Ma ad un tempo ci siamo chiariti fermamente persuasi che l’educazione musicale de’ maestri italiani del tempo nostro non potrà compirsi senza che abbiano bene e seriamente studiato quanto avvi di imaginoso, di sentito e di pensato nelle Opere principali del teatro tedesco e francese. Colla agevolata propagazione di questo studio per mezzo della stampa delle partiture in formato economico dei capolavori melodrammatici oltremontani si otterrebbe di distruggere a poco a poco quel grossolano errore, troppo comune tra noi, il quale fa credere essere, nella musica tedesca in ispecie, una medesima cosa fastrusa e pedantesca elaborazione scientifica e la pensata e vivamente sentita sapienza armonica stroinentale. La prima non è che il distintivo della pedanteria e il rifugio degli ingegni freddi e mediocri; la seconda è il retaggio del genio coscienzioso che, non pago dei doni effimeri di una naturale ispirazione quasi diremmo sbadata, adopera ad avvigorirli col prestigio di quell’altra specie di invenzione, che è il frutto della cultura dell’intelletto, della meditazione e dello studio sui grandi esempi!. Ma su questo argomento torneremo a miglior tempo e con più agio. Queste poche parole valgano intanto quale indiretta risposta a quel critico che nel parlare del Nabucodonosor di Verdi, uscì in tuono patetico a lamentare un tal quale eclettismo musicale da lui ultimamente riprovato, e che in verità noi non sapremmo dire in che consista e come sia a definirsi o se mai sia stato definito! — Lunedi scorso 8 agosto doveansi riprodurre al gran teatro dell’Opera a Parigi, gli Ugonotti di Meverbeer. Quest’Opera del gran genere drammatico, fu ormai offerta all- ammirazione delle principali città della Francia e della Germania. L’Italia, se ne eccettui Firenze, ove fu udita con non poche inconcepibili modificazioni e alterazioni, non potè ancora gustarla. Speriamo che l’accorta Impresa della Scala saprà quanto prima produrla a Milano con quella scrupolosa diligenza c zelo che si richiedono per simili tentativi. — Mercoledì 3 agosto ebbe luogo a Parigi, nella chiesa di Aòtrc-Dame, la cerimonia funebre in onore del Ducad’Orleans. Invece del Requiem di Mozart si cantò solamente la messa a canto fermo. «11 canto fermo (così scrisse un giornale parigino semi-officiale ) era infinitamente meglio appropriato alla gravità di questa trista cerimonia. Gli amici intelligenti delia vera musica sacra e dell’arte cristiana in generale, vedranno in questa misura un tentativo di ristaurazionc dell’antico canto ecclesiastico. Lo stile pagano è generalmente abbandonalo nella costruzione delle nuove Chiese. Lo stile cristiano deve essere del. pari rimesso in uso negli ullìcii e nei canti religiosi. È giusto che il canto fermo risalga in onore al tempo stesso che nell’architettura è rimessa di moda V ogiva, od arco a sesto acuto.» À queste parole così risponde la Franco Musicale «Questo breve articolo è troppo importante per la sua tendenza retrograda perchè un giornale di musica Io lasci correre senza risposta. Per adesso però noi non ci limiteremo che a poche parole proponendoci di tornare sull’argomento medesimo allorachè saranno estinti i ceri intorno al reale defunto. Volere che l’arte faccia un passo retrogrado è negare il progresso, e per l’uomo fermarsi è morire. L’autore semiufficiale del suddetto articolo ignora d’altra parte che il canto fermo è contemporaneo dell’Archittetura romana e non dell’ogiva. Alloracchè I’ ogiva si introdusse nell’Architettura la musica religiosa aveva cangiato di carattere; essa era ciò clic fu fino a Palestrina, e quasi diremmo fino a Rossini, se non temessimo di svegliare delle antiche dispute sopite.» — Un giornale parigino ebbe ad affermare che se non si eseguì veruna musica ai funerali del Duca d’Orleans, ciò fu per risparmio di spese, dacché i cantanti del Grand-Opéra avevano fatta domanda (l’un pagamento esorbitante. La Gazzetta Musicale di Parigi smentisce questa voce ed assicura che se la musica non fu ammessa nel servigio funebre ciò ebbe cagioni che non hanno nulla di comune coll’economia, nè con altro. — Nel Conservatorio di musica di Brusselles hanno avuto principio i grandi concorsi il 27 luglio. Madama Damorcau, la celebre cantante, era nel novero de’ giudici de’ concorsi. — La Gazzella Musicale di Parigi comparte elogi al sig. Giuliano Martini per la seconda sua messa solenne ultimamente composta ed cseguitanella chiesa di SaintGermain V Auxerrois: «E questa una composizione notevole sotto tutti i rapporti: pura e scelta ne è la melodia; severamente religioso Io stile, ricca e piena di maestà l’armonia. Quest’opera colloca il giovine maestro di cappella al fianco de’ buoni compositori di musica sacra». Questa nostra Gazzetta si fa un dovere di non passar mai sotto silenzio il menomo fatto chea lei sin noto pel quale appaia essere tenuta in conto sia in Italia sia fuori la musica sacra sì bisognevole de’ buoni ullìcii dell’arte e della critica. — 1124 luglio si riaprì il gran, teatro di Bordeaux colla Favorite del nostro Donizetti. — Il signor Adolfo Adam, autore della graziosa Opera comica francese Le Poslillon de Lonjoumeaux, lavora seriamente a una nuova Opera in tre atti che si eseguirà quest’inverno al teatro dell’Opéra Comtque. II signor VogcI, autore del Jugement dernier, del Ange dechu, del Satan c di altre bellissime Melodie, pubblicate dagli editori parigini, si propone di tentare le sorti del teatro c vuoisi che quanto prima scriverà per l’Opéra comique. Dicesi quindi che un celebre librettista sta terminando per Ini un poema in un atto che non sarà privo d’importanza. M OIE PEBBLICmOM MUSICALI DELl’i. n. STABILIMENTO NAZIONALE PRIVILEG.0 DI UIUVIWI RICORDI. LINDA DI CHÀMOUNIX MEL ©imAMMA IN TRE ATTI Parole «li G. 15ossi MUSICA DEL M.° Sono pubblicati i seguenti pezzi ridotti per Canto con accompagnamento di Pianoforte Scena c Romanza, Ambo nati in questa valle, per B Fr. 2 — Coro e Ballata, Per sua madre, per C...» 2 50 Scena e Duetto, Da quel dì, per S. e T.. * 3 50 Scena e Duetto, Quella pietà sì provvida, per 2 B.» 3 25 Scena e Duetto. Al bel destin, per S. e C..» 2 50 Scena e Duetto, Io vi dico che partiate, pcrS. eB.» 5 50 Gran Scena‘del delirio, A consolarmi, per S. e C.» il 50 Verranno in seguito pubblicati gli altri pezzi. EOHDI3JO titan- te Pinno SL’Il DES THÈMES TAVOBIS DE l’oPÉIU iti! DOjVIZETTI QtiraM m PAR iiài sui Op. 7. - Fr. 2. 75 l>eiu’ te Pittino seni SUB DES MOTIFS PAVOKIS DE l’oPÉBA DE e. nil.VIXlìTTI I11M 31 ®3LAI[tì®MX PAR FR. ’ILI. CKOTES Op. 55. - Fr. 2 75. LE 31 ibi E 3IORCE AUX ìione te Pinna ti tgwtti-e tnnins Fr. 4 75. (flOVAXII RICORRI EDITORE-PROPRIETARIO. Rail’I. R. gtaliiliiuento Nazionale Privilegiato ili Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale ili CIO VANNI RICORRI. Contrada degli Omenoni iY 1720.