Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1842.djvu/161


- 151 -

5.° atto di Vaccai a quello di Bellini. L’uno e l’altro racchiudono molte bellezze essendo piene di affetto sì la poesia che la musica. Ad onore del primo conviene confessare che in molti tratti Bellini dovette quasi copiarlo, e che il tratto con cui dall’orchestra si prepara 1 arrivo di Romeo sulla scena annunzia meglio (quanto all’idea) il profondo inconsolabil dolore che sta per esservi rappresentato. Ma più che il preludio d’arpa ne piacerebbe un sommesso mormorio d orchestra e quei tratti che troviamo in quel di Bellini di flauto e clarino isolati ed esprimenti quasi una deplorata memoria. Qui v’è più che mestizia,.e l’arpa se conviene ad un dolore consolato almeno del pianto, è poi inopportuna ove regna sì irrevocabile pensiero di morte. In questi casi gli accompagnamenti che appena fanno accorgere la presenza dell’elemento armonia come nell’ultima preghiera di Anna Bolena «Cielo, a: miei, lunghi spasimi» ci sembra il migliore perchè non distrae l’attenzione dal soggetto principale. Il coro nel finale di Bellini ne porge mezzo di far osservare siccome alcuni modi del tutto antiquati possono venir messi a profitto, quando non siano barocchi, senza che il pubblico se ne adonti. Infatti il primo periodo di quel coro è talmente modellato, che così solo lo direste appartenere almeno al secolo passato, che in fatto di gusto melodico è qualche cosa nell’opinione delle nostre italiane platee (eppure questo fare di Bellini non fu avvertito). Pirata. - Aria Gualtiero «Nel furor delle tempeste» e duetto «Tu sciagurato» medesimo atto. XXXVI. Nel primo di questi esempi abbiamo la storia delia passione da cui è agitato Gualtiero in mezzo a una vita tempestosa come l’elemento su cui trascorre, fattosi nemico de’ suoi simili; ma più infelice che reo, la memoria di Imogene è una luce che il consola; e quanto conforto appresti all’agitata anima sua ve lo dice la soavità della musica, la quale (senza parlare della grazia di quella melodia di un ideale aereo, indefinibile) col tono minore del primo periodo dipinge l’abituale tristezza in cui vive, col passaggio al tono maggiore misto del secondo, la consolazione cli’ei prova fermando la mente nel pensiero di quell’essere virtuoso. Tutta quest’aria ha un non so che di patetico, di soave abbandono che vi fa compatire a quell’infelice, e desiderargli consolazione. 11 maestro seppe conservare il carattere del personaggio in tutta l’Opera, e farlo luminosamente apparire nel duetto ch’egli ha poi con Imogene, e specialmente nel modo onde concepì quel rimprovero «Pietosa, al padre e meco - eri si cruda intanto». Quella musica è più che pianto, e somministra alla parola una potenza che la fa risentire nel più profondo dell’anima. Nè senza la più soave commozione può udirsi la melodia piena di affetto dell’allegro colle parole «Bagnato dalle lagrime» melodia tanto semplice e che pure fa intendere sì bene il valore dell’azione generosa di Gualtiero, e vi sforza sempre più ad amarlo. XXXVII. Qui cade in acconcio di far osservare come Bellini trovò nel suo cuore © un genere di bellezze tutte proprie della melodia che poi ben Intesero e Donizetti e.Mercadante, delle quali citeremo alcun esempio, onde dichiararle. È di questo genere lo slancio che trovi nell’adagio concertato finale primo Sonnambula ( D’un pensiero, d’un accento ) alle parole» Ah se fede in me non hai» slancio in cui si può dire consista tutto il hello di quella melodia, e in cui si contiene. diremmo quasi, un intiero dramma. E di questo genere la transizione che troverai nel duetto, alto secondo, fra Belisario e Irene alle pattile «Tal benedir (/nell’infelice» transizione che lutto ti ritrae il calore, la tenerezza dell’affetto paterno. E di consimile effetto potrai ravvisare nella cappelletta del medesimo duetto la sospensione che procede le parole» E degli occhi ch’io perdei «e nell’aria del Robert le Diable che incomincia Robert, toì (pie j’aime, nell’attacco dell’intercalare «Giace pour toi me me i>. Molti altri potremmo citarne. ma ne sembra debbano bastar questi pochi, e perchè facilmente si possono riconoscere molti altri, e per dimostrare come non siano ristretti ad un sol modo, ma s! possano ottenere in più guise, e come I elemento armonia possa concorrere a formarli in un colia melodia, esclusa affatto f influenza del ritmo se non è negativamente, cioè una sospensione di ritmo. (Sarà continuato) li. Bouciiisnori. STORIA DELLA MUSICA. ORIGINE lIEIiliA MUSICA IXCUIìSIASTICA ( P~. il N. 33 di questa Gazzetta ). Durante il regno di Teodosio, la maniera di canto adottata nella Chiesa orientale, fu da santo Ambrogio introdotta in quella di Milano, governata da lui dall’anno 574’ sino al 598 (ri. Questo prelato molto era valente in musica, e veggendo egli che il canto ecclesiastico era degenerato in gran corruzione, deliberò di fermare un regolar sistema, e compose quel canto che è stato poscia contraddistinto col nome di Ambrosiano. «A quest’epoca, dice santo Agostino, fu ordinato che i salmi e gli inni fossero cantati secondo la maniera de’ cantori d’Oriente, acciocché il popolo potesse pascere lo spirito durante il divino officio; d’allora in poi questa maniera di cantare si perpetuò a Milano ed è in seguito stata imitata da tutte le Chiese della cristianità.» Questa salmodia produceva molto effetto, poiché lo scrittore medesimo dice, parlando delle sensazioni che egli provava entrando in chiesa mentre che il coro cantava: «Secondo che le voci si insinuavano nelle mie orecchie, la verità penetrava nel mio cuore e la pietà mi constringea a versar lagrime di dolcissimo pianto». Malagevole è dire che cosa fosse il canto ambrosiano e in cbe differisse da quello di san Gregorio, del quale siamo per tener discorso. Il sig. Clioron all’erma cbe non si può discoprire alcuna ragguardevole differenza fra il canto della Chiesa di Milano e quello delle altre Chiese cattoliche. Il dottor Burney ha del pari osservato, sì ascoltando i divini ullicii eseguiti a Milano, sì nella lettura de’messali e delle opere state pubblicate in questa città sul canto fermo, che non può rilevarsi alcuna Importante differenza fra il canto ambrosiano e (-1) I.a musica delle Chiese (l’Oriente non era allora quale è stata dappoi, in seguito della riforma operata da’ Giovanni Damasceno che no cambiò il sistema e la notazione. /•’. quello che è in uso nelle altre Cattedrali d’Italia e di Francia ove è adoperato il sistema gregoriano. Quanto al canto, egli soggiugne che quel poco che ne è stato conservalo non basta per determinare accuratamente qual fosse il suo carattere particolare. Nondimeno, siccome egli era di greca origine, era per avventura fondato sulla divisione della scala per tetracordi, onde ogni melodia de Greci era regolata. Generalmente s ha per fermo cbe sant’Ambrogio conservò i nomi dei quattro modi autentici della musica delle Chiese greche, cioè: il dono o tuono di re, il frigio o tuono di mi, l’eolio o tuono di fu, e il missolidio 0 tuono di sol. Questi modi erano altresì contrassegnati coi nomi de’numeri greci: protos primo, deuteros secondo, tritos terzo e tetratos quarto. 11 Te Deum hi, per quanto si dice, opera di sant’Ambrogio. Altri affermano che questo prelato lo compose in occasione della conversione di sunto Agostino; ma alcuni altri scrittori tengono cbe questa fosse opera dell’uno e dell’altro di questi due padri della Chiesa. In somma i diritti ili sant Ambrogio alla composizione di questo inno sono recati in dubbio. Uslior 1 attribuisce a Nieczio, vescovo di Treves, cbe fioriva verso il 500; il benedettino editore delle opere di santo Ambrogio non dice che egli fosse l’autore ili questa composizione, finalmente Cave e Stillinggfle s’accordano dicendo cbe il Te Deum non è nè di sant’Ambrogio nè di santo Agostino. Del resto, chiunque sia l’autore di questo bellissimo pezzo, egli non cessa però di essere un monumento dei più ragguardevoli del canto ecclesiastico cbe sia pervenuto insino a noi. Pochi furono i cambiamenti operati nel canto di Chiesa instituito da sant Ambrogio sino al momento in cui san Gregorio diede al canto la forma clic ha conservata sino a nostri dì (1 )! San G regorio nacque in Roma, intorno all anno 550; ed era attenente a una famiglia patrizia. Essendosi egli cattivata la benevolènza dell’imperator Giustiniano, fu nominato prefetto di Roma; ma parendogli che la vita religiosa meglio fosse secondo la sua vocazione, abbandonò quest’ufficio, e dopo la morte di Pelagio primo, fu levato alla sedia pontificale. Allora egli diè mano ad operare una riforma nel canto di Chiesa. A tal fine egli aumentò il numero dei modi stabiliti da sant’Ambrogio, e in luogo di soli quattro, li recò sino a otto; diè bando ai canto figurato come troppo frivolo e leggiero rispetto alla Chiesa, riunì i frammenti musicali degli inni e dei salmi stati approvati dai primi padri della Chiesa, ne fece una scelta e li classificò in un ordine che fu tosto adottato dalle principali Chiese dell’Occidente, e che fu lungo tempo seguito a Roma. Questo pontefice instiluì una scuola di canto che fiori per ben tre secoli dopo lui. Egli sostituì del pari le lettere romane ai segni più complicati de’Greci per la notazione, in guisa che le lettere majuscole A, B, C, D, E, F, e G rappresentavano le prime sette note gravi incominciando dal la, le medesime lettere, minuscole, le sette note seguenti, e finalmente le medésime lettere raddoppiate, le sette note acute. I quattro nuovi modi introdotti nel canto furono chiamati piagali o relativi o collali) Qui sopprimiamo un tratto della storia del signor Stafford nel quale l’autore commette il grave errore di affermare che il calilo figurato fosse nella Chiesa introdotto prima di san Gregorio.