5.° atto di Vaccai a quello di Bellini. L’uno
e l’altro racchiudono molte bellezze essendo
piene di affetto sì la poesia che la
musica. Ad onore del primo conviene
confessare che in molti tratti Bellini dovette
quasi copiarlo, e che il tratto con
cui dall’orchestra si prepara 1 arrivo di
Romeo sulla scena annunzia meglio (quanto
all’idea) il profondo inconsolabil dolore
che sta per esservi rappresentato. Ma più
che il preludio d’arpa ne piacerebbe un
sommesso mormorio d orchestra e quei
tratti che troviamo in quel di Bellini di
flauto e clarino isolati ed esprimenti quasi
una deplorata memoria. Qui v’è più che
mestizia,.e l’arpa se conviene ad un dolore
consolato almeno del pianto, è poi
inopportuna ove regna sì irrevocabile pensiero
di morte. In questi casi gli accompagnamenti
che appena fanno accorgere la
presenza dell’elemento armonia come nell’ultima
preghiera di Anna Bolena «Cielo,
a: miei, lunghi spasimi» ci sembra il migliore
perchè non distrae l’attenzione dal
soggetto principale. Il coro nel finale di
Bellini ne porge mezzo di far osservare
siccome alcuni modi del tutto antiquati
possono venir messi a profitto, quando non
siano barocchi, senza che il pubblico se ne
adonti. Infatti il primo periodo di quel
coro è talmente modellato, che così solo lo
direste appartenere almeno al secolo passato,
che in fatto di gusto melodico è
qualche cosa nell’opinione delle nostre
italiane platee (eppure questo fare di Bellini
non fu avvertito).
Pirata. - Aria Gualtiero «Nel furor delle
tempeste» e duetto «Tu sciagurato»
medesimo atto.
XXXVI. Nel primo di questi esempi abbiamo
la storia delia passione da cui è
agitato Gualtiero in mezzo a una vita tempestosa
come l’elemento su cui trascorre,
fattosi nemico de’ suoi simili; ma più infelice
che reo, la memoria di Imogene è una
luce che il consola; e quanto conforto appresti
all’agitata anima sua ve lo dice la
soavità della musica, la quale (senza parlare
della grazia di quella melodia di un
ideale aereo, indefinibile) col tono minore
del primo periodo dipinge l’abituale tristezza
in cui vive, col passaggio al tono
maggiore misto del secondo, la consolazione
cli’ei prova fermando la mente nel
pensiero di quell’essere virtuoso.
Tutta quest’aria ha un non so che di
patetico, di soave abbandono che vi fa
compatire a quell’infelice, e desiderargli
consolazione. 11 maestro seppe conservare
il carattere del personaggio in tutta l’Opera,
e farlo luminosamente apparire nel duetto
ch’egli ha poi con Imogene, e specialmente
nel modo onde concepì quel rimprovero
«Pietosa, al padre e meco - eri si
cruda intanto». Quella musica è più che
pianto, e somministra alla parola una potenza
che la fa risentire nel più profondo
dell’anima. Nè senza la più soave commozione
può udirsi la melodia piena di affetto
dell’allegro colle parole «Bagnato
dalle lagrime» melodia tanto semplice e
che pure fa intendere sì bene il valore
dell’azione generosa di Gualtiero, e vi
sforza sempre più ad amarlo.
XXXVII. Qui cade in acconcio di far
osservare come Bellini trovò nel suo cuore
© un genere di bellezze tutte proprie della
melodia che poi ben Intesero e Donizetti
e.Mercadante, delle quali citeremo alcun
esempio, onde dichiararle.
È di questo genere lo slancio che trovi
nell’adagio concertato finale primo Sonnambula
( D’un pensiero, d’un accento )
alle parole» Ah se fede in me non hai»
slancio in cui si può dire consista tutto il
hello di quella melodia, e in cui si contiene.
diremmo quasi, un intiero dramma.
E di questo genere la transizione che
troverai nel duetto, alto secondo, fra Belisario
e Irene alle pattile «Tal benedir (/nell’infelice» transizione che lutto ti ritrae
il calore, la tenerezza dell’affetto paterno.
E di consimile effetto potrai ravvisare nella
cappelletta del medesimo duetto la sospensione
che procede le parole» E degli occhi
ch’io perdei «e nell’aria del Robert
le Diable che incomincia Robert, toì (pie
j’aime, nell’attacco dell’intercalare «Giace
pour toi me me i>. Molti altri potremmo citarne.
ma ne sembra debbano bastar questi
pochi, e perchè facilmente si possono riconoscere
molti altri, e per dimostrare come
non siano ristretti ad un sol modo, ma s!
possano ottenere in più guise, e come
I elemento armonia possa concorrere a formarli
in un colia melodia, esclusa affatto
f influenza del ritmo se non è negativamente,
cioè una sospensione di ritmo.
(Sarà continuato)
li. Bouciiisnori.
STORIA DELLA MUSICA.
ORIGINE
lIEIiliA MUSICA IXCUIìSIASTICA
( P~. il N. 33 di questa Gazzetta ).
Durante il regno di Teodosio, la maniera
di canto adottata nella Chiesa orientale,
fu da santo Ambrogio introdotta in quella
di Milano, governata da lui dall’anno 574’
sino al 598 (ri. Questo prelato molto era
valente in musica, e veggendo egli che il
canto ecclesiastico era degenerato in gran
corruzione, deliberò di fermare un regolar
sistema, e compose quel canto che è stato
poscia contraddistinto col nome di Ambrosiano.
«A quest’epoca, dice santo Agostino,
fu ordinato che i salmi e gli inni
fossero cantati secondo la maniera de’ cantori
d’Oriente, acciocché il popolo potesse
pascere lo spirito durante il divino officio;
d’allora in poi questa maniera di cantare si
perpetuò a Milano ed è in seguito stata
imitata da tutte le Chiese della cristianità.» Questa salmodia produceva molto
effetto, poiché lo scrittore medesimo dice,
parlando delle sensazioni che egli provava
entrando in chiesa mentre che il coro cantava:
«Secondo che le voci si insinuavano
nelle mie orecchie, la verità penetrava nel
mio cuore e la pietà mi constringea a versar
lagrime di dolcissimo pianto».
Malagevole è dire che cosa fosse il canto
ambrosiano e in cbe differisse da quello di
san Gregorio, del quale siamo per tener
discorso. Il sig. Clioron all’erma cbe non
si può discoprire alcuna ragguardevole differenza
fra il canto della Chiesa di Milano
e quello delle altre Chiese cattoliche. Il
dottor Burney ha del pari osservato, sì
ascoltando i divini ullicii eseguiti a Milano,
sì nella lettura de’messali e delle opere
state pubblicate in questa città sul canto
fermo, che non può rilevarsi alcuna Importante
differenza fra il canto ambrosiano e
(-1) I.a musica delle Chiese (l’Oriente non era allora
quale è stata dappoi, in seguito della riforma operata
da’ Giovanni Damasceno che no cambiò il sistema e la
notazione. /•’.
quello che è in uso nelle altre Cattedrali
d’Italia e di Francia ove è adoperato il sistema
gregoriano. Quanto al canto, egli
soggiugne che quel poco che ne è stato
conservalo non basta per determinare accuratamente
qual fosse il suo carattere particolare.
Nondimeno, siccome egli era di
greca origine, era per avventura fondato sulla
divisione della scala per tetracordi, onde ogni
melodia de Greci era regolata. Generalmente
s ha per fermo cbe sant’Ambrogio
conservò i nomi dei quattro modi autentici
della musica delle Chiese greche, cioè:
il dono o tuono di re, il frigio o tuono
di mi, l’eolio o tuono di fu, e il missolidio
0 tuono di sol. Questi modi erano altresì
contrassegnati coi nomi de’numeri greci:
protos primo, deuteros secondo, tritos
terzo e tetratos quarto.
11 Te Deum hi, per quanto si dice,
opera di sant’Ambrogio. Altri affermano
che questo prelato lo compose in occasione
della conversione di sunto Agostino;
ma alcuni altri scrittori tengono cbe questa
fosse opera dell’uno e dell’altro di questi
due padri della Chiesa. In somma i diritti
ili sant Ambrogio alla composizione di
questo inno sono recati in dubbio. Uslior
1 attribuisce a Nieczio, vescovo di Treves,
cbe fioriva verso il 500; il benedettino editore
delle opere di santo Ambrogio non
dice che egli fosse l’autore ili questa composizione,
finalmente Cave e Stillinggfle
s’accordano dicendo cbe il Te Deum non è
nè di sant’Ambrogio nè di santo Agostino.
Del resto, chiunque sia l’autore di
questo bellissimo pezzo, egli non cessa però
di essere un monumento dei più ragguardevoli
del canto ecclesiastico cbe sia pervenuto
insino a noi. Pochi furono i cambiamenti
operati nel canto di Chiesa instituito
da sant Ambrogio sino al momento
in cui san Gregorio diede al canto la forma
clic ha conservata sino a nostri dì (1 )!
San G regorio nacque in Roma, intorno
all anno 550; ed era attenente a una famiglia
patrizia. Essendosi egli cattivata la
benevolènza dell’imperator Giustiniano, fu
nominato prefetto di Roma; ma parendogli
che la vita religiosa meglio fosse secondo
la sua vocazione, abbandonò quest’ufficio,
e dopo la morte di Pelagio primo, fu levato
alla sedia pontificale. Allora egli diè
mano ad operare una riforma nel canto di
Chiesa. A tal fine egli aumentò il numero
dei modi stabiliti da sant’Ambrogio, e
in luogo di soli quattro, li recò sino a otto;
diè bando ai canto figurato come troppo
frivolo e leggiero rispetto alla Chiesa, riunì
i frammenti musicali degli inni e dei salmi
stati approvati dai primi padri della Chiesa,
ne fece una scelta e li classificò in un ordine
che fu tosto adottato dalle principali
Chiese dell’Occidente, e che fu lungo
tempo seguito a Roma. Questo pontefice
instiluì una scuola di canto che fiori per
ben tre secoli dopo lui. Egli sostituì del
pari le lettere romane ai segni più complicati
de’Greci per la notazione, in guisa
che le lettere majuscole A, B, C, D, E, F,
e G rappresentavano le prime sette note
gravi incominciando dal la, le medesime
lettere, minuscole, le sette note seguenti,
e finalmente le medésime lettere raddoppiate,
le sette note acute.
I quattro nuovi modi introdotti nel canto
furono chiamati piagali o relativi o collali)
Qui sopprimiamo un tratto della storia del signor
Stafford nel quale l’autore commette il grave errore di
affermare che il calilo figurato fosse nella Chiesa introdotto
prima di san Gregorio.