cadenza del passo di carattere della sua
aria del second’atto, ove il clarinetto,
senza che l’uditore comune se ne accorga,
conduce a fine una rapida scala discendente
che la voce della cantante abbandonò
poco men che a mezza via. In oltre
vorremmo che la signora De Giulii, nei pochi
passi di affetto ne’ quali manifesta il suo
segreto amore per Ismaele, si abbandonasse
meno a un certo quale manierismo sdolcinato,
che non è del miglior genere:, e in generale
poi le raccomandiamo di non allargar
di troppo il tempo così nei recitativi come
nei cantabili, e massimamente nell Adagio
dell’aria del secondo atto, da lei eseguito
con felice portamento di voce e con sobrietà
di ornati, ma non con abbastanza
colorito caratteristico, nè con relativa verità
di espressione. Ci spieghiamo meglio.
È un errore il credere che vi sia una
regola generale la quale determini essere
uno solo e invariabile il modo di modular
bene gli Adagio cantabili. Ciò potrà dirsi
benissimo per quel che riguarda gli artilizii
materiali ed elementari del canto, non
già per quanto si riferisce al carattere e
all’espressione. Quanti largo cantabili,
quanti adagio affettuoso, sebbene per il
contesto melodico dal più al meno si assomiglino
(che noi crediamo ben difficile
una gran varietà in questa specie di canti)
ponno e devono essere molto diversamente
caratterizzati dall’ingegno dell’artista se
costei bada alla tempra e alla natura del
personaggio ch’ella finge! La Pasta, la
Malibran ed altre pochissime attrici ben le
intendevano queste differenze, e l’esimia
lombarda era poi fra le altre maestra in
codeste fine distinzioni, sicché udivi in qual
diverso modo con frasi cantabili di non
molto dissimile tessuto di note ella esprimeva
ora l’ingenuo amore di Amina, ora i casti
affetti di Polena, ora le incomposte fiamme
di Norma!
Abigaille, donna divorata dall’ambizione,
vendicativa, dispettosamente gelosa d?un
bene perduto, anche ne’momenti di tenera
espansione, come è il caso della sua aria del
secondo atto, debbe lasciare intravedere la
sua irosa natura, e nella mestizia de’suoi
lamenti ha da spiccare una tal quale tinta
di rancore e di orgoglio offeso che vorrebbe
sfogarsi nel pianto ma finisce per
prorompere con un’invettiva. Questo felice
passaggio, ben trovato dal poeta, fu sufficientemente
conservato dal compositore e
marcato nel contrapposto delle lente modulazioni
del primo tempo dell’aria suddetta,
non al tutto peregrine.colle variate
e incalzanti frasi della stretta CO.
O ci inganniamo a gran partito o ne
pare che la signora De Giulii non abbia
voluto farsi abbastanza ragione di codeste
che a lei forse parranno sofisticherie, e
a noi sembrano sottili ma giuste esigenze
della critica. Ormai l’educazione artistica
de’ nostri signori cantanti è di tanto progredita
che il non esigere da essi la scrupolosa
osservanza di tutte le menome intenzioni
drammatiche del poeta e del compositore,
è più che altro, far torto al loro
ingegno e al loro spirito.
(I) La nostra imparzialità ci ingiunge di qui accennare
per digressione che la signora Strcpponi aveva
molto bene compreso il carattere fiero e amaramente
passionato di Abigaille. Ella per altro, indisposta di voce,
non poteva dare il necessario risalto alle modulazioni
più spiccate, nè aggiugnere vigore alle accentazioni energiche
della musica, massime rie’ passi in cui questa richiede
slancio e sicurezza di voci acute. Però eseguiva
con sufficiènte energia il passo di carattere dell’aria del
secondo atto c non trascurava di dare l’opportuna tinta
di ironico orgoglio ai due versi di molto significato:» Regie
figlie qui verranno - L’umil schiava a supplicar.
In proposito della signora De Giulii ci
facciamo lecita un’altra osservazione. Forse
ci inganneremo, ma ne sembra che nei suoi
modi di azione ella si attenga un’po’troppo
alla vecchia scuola di mimica, sì riprovevole,
perchè basata sul falso e sul convenzionale.
Non possiamo a meno di lodarla del molto
studio ch’ella pone a conservar sempre la
dignità teatrale del contegno: però desidereremmo
ch’ella non si addimostrasse
troppo, ligia all’antico precetto che raccomandava
di accompagnare ogni concetto
della poesia con un geslo diverso anche a
rischio di ricorrere, dopo un certo giro, al
gesto medesimo già poco prima usato, e
così di seguito. In oltre vorremmo che ella
non ripetesse troppo spesso certe pose che
sanno troppo di accademico, e danno quindi
un fare un pochino antiquato alla sua azione
scenica.
La signora De Giulii è artista destinata
a progredire molto innanzi, così nel canto
come nella scena, ed è per questo che con
lei ci facemmo lecite delle minute osservazioni
che forse avremmo credute superflue
con altre. Se mai le nostre parole
avranno saputo persuaderla di qualche piccola
verità, crederemo di aver raccolto il
miglior frutto che possa sperarsi da un articolo
da giornale.
Nel foglio venturo osserveremo altre cose
diverse intorno al modo col quale, presentemente, è posta in iscena questa Opera
destinata a glorioso avvenire, ed aggiugneremo
alcun chè intorno alle parti secondarie
ed ai cori.
G. B.
ESTETICA MUSICALE.
uniTAzioxE siiinn j in i.
(Tedi i fogli 19, 22, 23, 24,
XXXIV. Molto più vasto è il campo
dell imitazione subbiettiva la quale, come
già dicemmo, ha per tipo gli affetti dell’uman
cuore. Qui non trattasi di imitare
altri suoni che quelli dell’accento umano
nel canto declamato, nè questi pure nel
canto ideale, ma sì di formare un tutto
che corrisponda ad una data maniera di
essere; un tutto che desti l’idea di una
data commozione d’animo qualunque ella
sia, al che vedemmo coll’analisi sommamente
acconcia l’arte nostra.
Egli è in questo genere d’imitazione, il
più nobile e degno dell’artista, che l’orchestra.
o quei mezzi che ne fanno le veci,
debbe assumere di rappresentare tutto che
è necessario all’espressione dell’affetto, e
che la parola e l’accento della melodia non
possono dichiarare.
Egli è qui che l’artista ha duopo di ben
conoscere il cuore umano, e di quella facilità
di trasportare sè stesso in tutte quelle
situazioni che debbe colf arte sua dipingere,
facoltà che chiamasi sensibilità, e senza
la quale nessuno può essere vero artista.
E qui finalmente che richiedesi una perfetta
cognizione dei rapporti fra l’arte e
la natura congiunta a gusto squisito per
iseegliere i mezzi più proprj, fra quanti
ve n’ha, ad esprimere con verità il proprio
soggetto.
Dopo quanto abbiamo discorso intorno
agli affetti non meno che sulla relazione
e corrispondenza fra questi e gli elementi
dell’arte crediamo inutile aggiungere precetti
che non farebbero che assoggettare
l’immaginazione a forme, direm quasi, meccaniche
sempre nocive. Ci limiteremo dunque
a scegliere alcuni esempi sui quali
discorrendo, e applicando i principii già
esposti ne risulterà una norma generale di
raziocinio per l’artista, più utile di qualsivoglia
precetto.
Già abbiamo citato il Rondò finale della
Straniera di Bellini: ad un esempio sì hello
di espressione musicale ne piace aggiungere
il Rondò pure finale della Caterina
dì Guisa, in cui la situazione drammatica
è quasi la stessa perciò che riguarda l’affetto,
e comprova quanto abbiamo detto
parlando del carattere dei toni. In questo
esempio ci limiteremo ad osservare come
la melodia senza trilli e senza passi di bravura
riesca in tali espressioni più smaniosa
epperciò più vera.
Caputeti e Montecchi. - Duetto Romeo
e Tebaldo atto if," Bellini.
XXXV. Due guerrieri rivali, uno de’quali
sorprende 1 altro mentre furtivo s’aggira
nelle vietale soglie, debbono necessariamente
accendersi di sdegno. Tebaldo per
l’ardire di Romeo, questi per l’importuno
arrivo e per l’alterezza di quello. Ma prima
di por mano ai ferri raro è che non si tenti
opprimere il nemico colla potenza della parola.
In tali casi però esseri come questi,
educati ad alti sensi, raffrenar sanno l’interna
ira, e ambiscono mostrarsi l’un del1
altro più grande e magnanimo, e tale è
il principio di questa scena. La melodia
larga, grandiosa, e slanciata a grandi’ intervalli
consuona pienamente colla parola;
ma questa non poteva dire di più, ed ecco
che 1 orchestra con quel fremito interrotto
ed ineguale vi dipinge il represso furore
di entrambi e presagisce inevitabile un rabbioso
duello. (1).
Già i brandi sono snudati; già balenano
diretti al seno l’uno dell’altro... Un suono
s’ode di funebre canto... I combattenti ristanno.
Il nome dell’adorata Giulietta risuona
in mezzo a quei lamenti... Cadono
l’armi di mano ai guerrieri rivali. Orbati
di lei anzi che darla, vorrebbero ricevere
la morte. Quanta disperazione, quanto impeto
smanioso in quella cappelletta (2)i
Come a proposito l’autore della musica
scelse una alternazione di parti anziché
una di quelle melodie che annunciate dall’uno
vengono al solito dall’altro attore per
intiero ripetute alla lettera! Come bene
l’orchestra con quell’arpeggio dei bassi e
coi contrattempi superiori esprime l’interna
agitazione, il palpito sommamente accelerato
del cuore!
Potrebbe forse sembrare debole l’espressione
della sorpresa che l’annunzio della
morte di Giulietta produr debbe sui due
amanti. Ma si osservi che se il maestro avesse
in qualche modo interrotto il periodo del
canto funereo per darvi maggior colorito,
non avrebbe fatto meglio; poiché ove l’affetto
è come qui sì irrevocabilmente necessario
che non si può dubitarne, un moto,
un gesto bastano a dimostrarlo, e ogni più
è dannosamente soverchio.
In quest’Opera quasi tutte le cantanti cui
spetta la parte di Romeo preferiscono il
(1) E qui c altrove noi facciamo l’analisi delle passioni
tali quali le intese il poeta, senza entrare nel inerito del
dramma la cui lode o censura a noi non s’aspetta.
(2) Ci facciamo lecito di dire cappelletta invece di cabballetta,
benché questo vocabolo sia più del primo usato.
A ciò ne induce l’opinione che il secondo derivi per
corruzione dal dialetto napoletano, essendo noto che in
Napoli come in Roma il volgo dice gabella per cappella
e gabbala per cabala e gabballetta per cabaletta o cappellctta.
D’altronde a tutti è noto che noi diciamo ancora
cappelletta a quel tempo binario per lo più allegro, con cui da più di un secolo si usò terminare i
pezzi musicali di qualche estensione.
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