Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 1/Maria Padilla, melodramma in tre atti del sig. Rossi, con musica del maestro Donizetti

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N. 1 - Maria Padilla, melodramma in tre atti del sig. Rossi, con musica del maestro Donizetti
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CRITICA MELODRAMMATICA.


MARIA PADILLA, melodramma in tre atti del sig. Rossi, con musica del maestro Donizetti1

In questi ultimi tempi, grazie al genio sovrano di alcune menti privilegiate, l’orizzonte delle idee musicali si venne mirabilmente dilatando. Il periodo che potè vantare i nomi di Rossini, di Meyerbeer, di Paganini, della Pasta e della Malibran, vide la prima delle arti che parlano al cuore e allo spirito, farsi doviziosa dei più eletti tesori dell’immaginazione e del sentimento; e l’Opera in musica, la più splendida tra le sue forme, potè sorgere ardita a foggiarsi colle grandiose proporzioni proprie del poema teatrale per eccellenza.

E avvenne in fatto che dal giorno in cui il Guglielmo Tell e il Roberto il Diavolo empirono di ammirazione gli animi e le fantasie, pienamente s’accordarono gli spiriti meno volgari nel considerare come neppur degne dell’esame di una critica elevata certe dozzinali raccozzature di pezzi di musica più accademici che teatrali, delle quali per lunga pezza si nutrirono le scene e tutto giorno si nutrono non poche di esse, ignare [p. 4 modifica]che col produrle foggiale del titolo pomposo di melodrammi o tragedie liriche il più delle volte insultano impudentemente alla verità.

Il Donizetti, cui la natura compartiva eletto ingegno e squisito sentire, ed ebbe a istitutore e guida l’esimio autore della Medea, fu tra primi compositori italiani a comprendere l’importanza delle riforme felicemente compiute nell'Opera in musica, e dotato di fina sagacia avvisò essere giunto anche per lui il momento di abbandonare ormai del tutto il comodo sistema della vecchia composizione teatrale tanto abusato dai mestieranti, e di sciogliere la fantasia dai vincoli del manierismo e del falso, per potere librarsi più ardito nelle pure regioni del pensiero e dell’affetto. Senonchè all’atto di volgere in pratica le nuove più vaste e ardite sue idee, e offrire i primi saggi di questa seconda maniera ad un pubblico avvezzo, in fatto di composizioni sceniche musicali, a tener conto anzi tutto della ragione drammatica. comprese egli d’un tratto la necessità di non ubbidire tanto ligiamente a certi canoni rigorosi che avessero poi ad andarne sagrificate quelle attrattive caratteristiche che gli venisse ispirando il suo genio tutto italianamente melodico.

Accadde pertanto che nell’autore dei Martiri, della Favorita, e della Figlia del Reggimento, i parigini trovarono di dover applaudire al maestro straniero il quale aveva saputo piegarsi alle austere forme proprie della scuola dei loro più grandi compositori filosofi, senza punto dimenticare di avere altra volta commossi gli animi e agitati gli spiriti colle pure forme melodiche, colla leggiadria de’ pensieri e col brillante colorito stromentale tanto lodati nel'Anna Bolena e nell’Elisir d'Amore.

Chiamato ultimamente a scrivere una nuova Opera per Milano, ben si propose il valente maestro di rimettersi a quest’ardua prova, ma forse non abbastanza ardito per ritentarla senza riserve di sorta, trascelse a tema delle proprie ispirazioni un soggetto, non privo di elementi drammatici, ma in tale guisa accomodato che si offerisse acconcio a una certa quale transazione tra le due maniere, da lui per avventura creduta necessaria a non offendere di fronte le abitudini di una platea non pienamente favorevole alle audaci e repentine innovazioni.

Da quanto abbiamo fin qui premesso ne sia lecito dedurre anzi tutto che a nostro giudizio la Maria Padilla è Opera mancante di quella alta unità di carattere di che sono improntate le creazioni destinate a una vera e solida fama. Così nella forma di alcuni dei pezzi, che a torto il compositore considerò forse nella sua mente tra i principali dello spartito, come nello stile col quale sono svolti, traspare troppo evidentemente la peritanza di un ingegno dubbioso che pur avrebbe voluto conservarsi rigidamente fedele alle migliori discipline dell’arte, ma qui e qua non valse a resistere alla tentazione di sagrificare la bella semplicità, l’ordine nel disegno, la severità ne’ contorni e la non mai interrotta concatenazione degli sviluppi drammatici, alla riprovevole brama di ottenere il così detto effetto coi soliti mezzi di volgare convenzione. A meglio spiegare il nostro concetto scenderemo a qualche esempio.

Nella sola prima parte dell’Opera troviamo tre diversi pezzi a solo l’uno in coda all’altro appiccicati colla troppo evidente mira di porre in bella mostra i mezzi di canto degli attori primarii anziché nello scopo più giusto di servire alla severa economia musicale e drammatica dello spartito. Le due cavatine dell'Ines e della Maria paiono a noi di una fattura artifiziata anzi che no; e sebbene sì l’una che l’altra sieno sparse di felici slanci melodici, mentiscono apertamente all’indole che più innanzi il compositore volle e seppe conservare più rigorosamente alla sua nuova partizione.

Svolto con una melodia molto più semplice e opportunamente animato dagli accenti di una nascente passione amorosa è il canto di sortita di Don Pedro, che poi graziosamente si intreccia con quello delle due fanciulle; e qui veramente comincia il contrasto degli affetti, e l’azione drammatica, che o bene o male già si impegna, fa dolce violenza all’estro del compositore, il quale, traviato solo alcun poco nella stretta o seconda parte della scena tra Maria ed Ines nel 2° atto (che sebben tessuta di modulazioni leggiadre e ingegnose, mentisce al severo carattere del pezzo con una troppo precipitata transizione Scenica) lascia al fine da un lato le cabalette e i passi di bravura, e si innalza con ima dizione musicale più pura, più pensata e calda di espressione e di verità. Ma ove più liberamente pare a noi siasi abbandonato il maestro a questa felice imitazione dei sommi compositori, i quali non curarono mai altro nei loro capolavori se non se la bella evidenza nelle situazioni, la semplicità. l’affetto e la passione nel linguaggio musicale, la purezza e la coerenza delle frasi melodiche, l’eleganza elaborata ma apparentemente spontanea delle armonie, la sobrietà e l’approposito negli artifizii e nelle tinte stromentali, egli è nella terza parte di questa nuova sua Opera, nella quale veramente, e molto più che nelle altre due prime, il Donizetti fu pari all'altezza del nome, e soddisfò alle esigenze de’ più rigidi apprezzatori del vero bello.

Certamente coloro i quali amano i vezzosi motivi e gli scherzi di note, e i giuochi o i fragori della stromentazione, e i periodi melodici a ritmi marcati e gustosi, e negli artisti ai quali è dato interpretare l’azione scenica musicale vogliono ammirare anzi tutto i lenocinii del canto, la bravura delle gole, gli slanci di voce e gli sforzi de’ polmoni, troveranno forse a ridire alcunchè dell’ammirazione colla quale noi abbiamo parlato di questo terzo atto della Maria Padilla. Ma noi che ci professiamo non facili ad allettarci alle musiche teatrali in cui non siavi che abbondanza di futili leggiadrie e pensieri più o men brillanti, e manchino in vece le alte bellezze dello stile musicale drammatico per eccellenza, noi per conto nostro siamo oltremodo grati al maestro Donizetti dell’avere arricchito il repertorio italiano di una nuova partizione nella quale appaiono in parte non infelici, in parte anche splendidi, gli sforzi di un ingegno desideroso di addimostrarsi nudrito alla buona scuola e allo studio de’ più acclamati modelli. La piena innovazione nelle forme e nello stile dell’Opera in musica e la sua emancipazione dalle grette pedanterie della mediocrità e dal malgusto de’ volgari, che, come già accennammo. Rossini e Meyerbeer addussero per diversi modi a compimento ne' loro ultimi capolavori scritti per la Francia, debbe essere fra noi, meglio che da altri, giovata dalle vivaci e spontanee ispirazioni di Donizetti. Egli più di tutti, per la imponenza del suo nome, per la distinta cultura del suo spirito, per la molta eletta sua dottrina musicale, è l’uomo che l’arte italiana invoca nell’attuale suo periodo di transizione. Non manchi all'alto ufficio che gli aspetta, non si curi nè dei dubbii dei timidi. nè dei sofismi dei begli spiriti sedicenti bungustai, nè delle ciance de’ critici oziosi e ‘dotti. Un novello stadio, si è aperto alla sua già si bella carriera, si accinga a percorrerlo ardito e tengasi certo che lo accompagneranno de’ loro voti quanti amano la vera gloria del genio italiano2

B

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  1. Prodotto la sera dei 26 dicembre sulle scene della Scala, colle signore Sofia Lowe e Luigia Abbadia, e coi signori Donzelli e Giorgio Ronconi.
  2. In altro foglio faremo di tenere acconcio discorso anche degli attori cantanti cui vennero affidate le principali parti di questo nuovo melodramma; e al tempo stesso procaccieremo di discorrere partitamente alcuni de' pregi che in questo primo articolo accennammo solo in modo sommario.