Galateo ovvero de' costumi/XIV
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Cap. XIV. Delle cirimonie: perchè così si dicano, cosa sieno e come debban praticarsi.
60. E perciò le cirimonie, le quali noi nominiamo, come tu odi, con vocabolo forestiero, siccome quelli che il nostrale non abbiamo (perocchè i nostri antichi mostra che non le conoscessero, sicchè non poterono porre loro alcun nome), le cirimonie, dico, secondo il mio giudicio, poco si scostano dalle bugie e da’ sogni per la loro vanità; sicchè bene le possiamo accozzare insieme e accoppiar nel nostro Trattato, poichè ci è nata occasione di dirne alcuna cosa.
64. Secondo che un buon uomo mi ha più volte mostrato, quelle solennità che i cherici usano dintorno agli altari e negli uffici divini, e verso Dio e verso le cose sacre, si chiamano propriamente cirimonie: ma poichè gli uomini cominciarono da principio a riverire l’un l’altro con artificiosi modi fuori del convenevole, ed a chiamarsi padroni e signori tra loro, inchinandosi e storcendosi e piegandosi in segno di riverenza, e scoprendosi la testa, e nominandosi con titoli isquisiti, e baciandosi le mani, come se essi le avessero, a guisa di sacerdoti, sacrate; fu alcuno che non avendo questa nuova e stolta usanza ancora nome, la chiamò cirimonia, credo io per istrazio, siccome il bere ed il godere si nominano per beffa trionfare: la quale usanza senza alcun dubbio a noi non è originale, ma ſorestiera e barbara e da poco tempo in qua, onde che sia, trapassata in Italia: la quale, misera, con le opere e con gli effetti abbassata ed avvilita, è cresciuta solamente e onorata nelle parole vane e ne’ superflui titoli.
62. Sono adunque le cirimonie, se noi vogliamo aver risguardo alla intenzione di coloro che le usano, una vana significazion di onore e di riverenza verso colui a cui essi le fanno; posta ne’ sembianti e nelle parole, dintorno a’ titoli e alle profferte: dico vana, in quanto noi onoriamo in vista coloro, i quali in niuna riverenza abbiamo, e tal volta gli abbiamo in dispregio; e nondimeno per non iscostarci dal costume degli altri, diciamo loro lo illustrissimo signor tale e lo eccellentissimo signor cotale; e similmente ci profferiamo alle volte a tale per deditissimi servidori, che noi ameremmo di diservire piuttosto che servire.
63. Sarebbono adunque le cirimonie non solo bugie, siccome io dissi, ma eziandio scelleratezze e tradimenti; ma perciocchè queste sopraddette parole e questi titoli hanno perduto il loro vigore, e guasta, come il ferro, la tempra loro per lo continuo adoperarli che noi facciamo, non si dee aver di loro quella sottile considerazione che si ha delle altre parole, nè con quel rigore intenderle. E che ciò sia vero, lo dimostra manifestamente quello che tutto di interviene a ciascuno: perciocchè se noi riscontriamo alcuno mai più da noi non veduto, al quale per qualche accidente ci convenga favellare; senza altra considerazione aver de’ suoi meriti, il più delle volte, per non dir poco, diciamo troppo; e chiamiamolo gentiluomo e signore a tal ora che egli sarà calzolaio o barbiere: solo che egli sia alquanto in arnese. E siccome anticamente si solevano avere i titoli determinati e distinti per privilegio del papa o dello imperadore; i quali titoli tacer non si potevano senza oltraggio ed ingiuria del privilegiato, nè per lo contrario attribuire senza scherno a chi non avea quel cotal privilegio; così oggidì si deono più liberalmente usare i detti titoli e le altre significazioni di onore a’ titoli somiglianti; perciocchè la usanza, troppo possente signore, ne ha largamente gli uomini del nostro tempo privilegiati. Questa usanza adunque, così di fuori bella e appariscente, è di dentro del tutto vana, e consiste in sembianti senza effetto ed in parole senza significato: ma non pertanto a noi non è lecito di mutarla; anzi siamo astretti, poichè ella non è peccato nostro ma del secolo, di secondarla; ma vuolsi ciò fare discretamente.