Capitolo VI

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V VII

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Cap. VI. Per passare l’autore a parlare di ciò, che spiace all’appetito, spiega prima cosa appetiscano gli uomini nel comunicare insieme. Quali cose deggiano schivarsi, perchè dinotano poca stima della conversazione.

26. Tu dei sapere, che gli uomini naturalmente appetiscono più cose e varie; perciocchè alcuni vogliono soddisfare all’ira, alcuni alla gola, altri alla voluttà, ed altri alla avarizia, ed altri ad altri appetiti: ma in comunicando solamente infra di loro, non pare che chieggano, nè possano chiedere, nè appetire alcuna delle sopradette cose; conciossiachè elle non consistano nelle maniere, o ne’ modi e nel favellar delle persone, ma in altro. Appetiscono adunque quello che può conceder loro questo atto del comunicare insieme; e ciò pare che sia benevolenza, onore e sollazzo; o alcuna altra cosa a queste simigliante. Perchè non si dee dire, nè fare cosa, per la quale altri dia segno di poco amare o di poco apprezzar coloro co’ quali si dimora. Laonde poco gentil costume pare che sia quello che molti sogliono usare, cioè di volentieri dormirsi colà dove onesta brigata si segga e ragioni; perciocchè così facendo dimostrano, che poco gli apprezzino, e poco lor caglia di loro e de’ loro ragionamenti; senza che, chi dorme, massimamente stando a disagio, come a coloro convien fare, suole il più delle volte [p. 18 modifica]fare alcuno atto spiacevole ad udire o a vedere; e bene spesso questi cotali si risentono sudati e bavosi.

27. E per questa cagione medesima il drizzarsi, ove gli altri seggano e favellino, e passeggiare per la camera, pare noiosa usanza. Sono ancora di quelli che così si dimenano e scontorconsi e prostendonsi e sbadigliano, rivolgendosi ora in su l’un lato ed ora in su l’altro, che pare che gli pigli la febbre in quell’ora: segno evidente, che quella brigata, con cui sono, rincresce loro.

28. Male fanno similmente coloro che ad ora ad ora si traggono una lettera della scarsella e la leggono. Peggio ancora fa chi, tralle fuori le forbicine, si dà tutto a tagliarsi le unghie; quasi che egli abbia quella brigata per nulla, e però si procacci d’altro sollazzo per trapassare il tempo.

29. Non si deono anco tener quei modi che alcuni usano; cioè cantarsi fra’ denti, o sonare il tamburino con le dita, o dimenare le gambe; perciocchè questi così fatti modi mostrano, che la persona sia non curante d’altrui.

30. Oltre a ciò non si vuol l’uom recare in guisa, che egli mostri le spalle altrui; nè tenere alto l’una gamba sì, che quelle parti, che i vestimenti ricuoprono, si possano vedere; perciocchè cotali atti non si soglion [p. 19 modifica]fare, se non tra quelle persone che l’uom non riverisce. Vero è, che se un signor ciò facesse dinanzi ad alcuno de’ suoi famigliari, o ancora in presenza di un amico di minor condizione di lui, mostrerebbe non superbia, ma amore e dimestichezza.

31. Dee l’uomo recarsi sopra di sè; e non appoggiarsi, nè aggravarsi addosso altrui.—

32. E quando favella, non dee punzecchiare altrui col gomito, come molti soglion fare ad ogni parola, dicendo: — Non dissi io vero? eh voi? eh messer tale? e tuttavia vi frugano col gomito.