Fosca/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

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XXIV.


Però, ripensandoci, era lieto di queste spiegazioni. Esse mi davano almeno il diritto di dimenticarla, e mi scioglievano da quel debito di pietà che mi pareva aver contratto verso di lei. Buona, mite, soffrente, l’avrei avuta cara e compianta; fredda, ironica, sprezzante, non avrei più sentito per essa che dell’indifferenza. Ciò che mi teneva in pensiei’o era l’impossibilità di darmi ragione della mutabilità del suo contegno, dell’incoerenza della sua condotta. Per quanto mi arrovellassi non poteva comprendere la natura di quel carattere, non riusciva a metterlo bene in luce. Fino a quel momento era stato incerto tra l’ammirazione e il disprezzo — gli estremi della sua condotta esigevano apprezzamenti estremi — dopo quel dialogo, freddo, caustico, artificioso, non sentiva nemmeno più il bisogno di giudicarla — essa mi era perfettamente indifferente.

Perciò alla sera, quando mi fu detto che ella era ammalata, ascoltai quella notizia con freddezza, e l’abitudine di non vederla più per molti giorni fu causa che me ne dimenticassi interamente.

Avrebbe ella serbato la sua promessa? Incominciava [p. 84 modifica]a crederlo. A tavola non si apparecchiava nemmeno più per lei, e nessuno ne riparlava. Il suo posto era stato occupato da un nuovo commensale. Ella era andata ad abitare un altro appartamento lontano dalla sala da pranzo; e siccome non vedevamo più, come prima, entrarne ed uscirne i medici e le cameriere, non v’era più nulla che potesse richiamarla al nostro pensiero, e ciascuno di noi se ne era facilmente dimenticato.

Confesso qui di aver nutrito per essa un sentimento che mi sono rimproverato assai spesso. Io odiava quasi quella donna. Allora ne attribuiva la cagione a ciò, che mi pareva che ella avesse voluto farsi giuoco della mia sensibilità; più tardi compresi che le cause ne erano differenti. Vi è nulla di più ridicolo di una emozione non divisa. Nulla è più atto a renderci inamabile una persona che non possiamo amare che il vederla usare a nostro riguardo i modi e il linguaggio di un amore appassionato. La nostra ripugnanza cresce in proporzione dello zelo che ella pone a superarla. Nessuna legge in natura è più inesorabile di quelle che reggono le simpatie e le antipatie. Non è vero che l’amore sia una questione di sentimenti, esso non è che una questione di nervi, di fluidi, di armonie animali: l’identità dei caratteri, la stima lo fortificano, non lo creano. Noi siamo spesso ingannati da queste cause apparenti, perchè l’identità del carattere non è che un effetto dell’identità della costituzione.

Chi non vorrebbe dare all’amore un’origine più spirituale e più nobile? Ma non è possibile! Bensì egli può essere un impulso ad azioni nobili. L’amicizia gli è superiore, perchè non è esclusiva. Io, come qualunque altro uomo, fui qualche volta preferito da donne giovani e avvenenti che non ho potuto riamare, nemmeno d’amor fisico; aveva ripugnanza per ciò che avrebbe formato [p. 85 modifica]l’altrui felicità, e ne soffriva. Avrei potuto strapparmi il cuore, ma non avrei potuto sentir nulla per esse.

Così era di Fosca — se non che la sua bruttezza la poneva anche fuori di questa legge.