Fosca/Capitolo I
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I.
Mi sono accinto più volte a scrivere queste mie Memorie, e uno strano sentimento misto di terrore e di angoscia mi ha distolto sempre dal farlo. Una profonda sfiducia si è impadronita di me. Temo immiserire il valore e l’aspetto delle mie passioni, tentando di manifestarle; temo obbliarle tacendole. Perchè ella è cosa quasi agevole il dire ciò che hanno sentito gli altri — l’eco delle altrui sensazioni si ripercuote nel nostro cuore senza turbarlo — ma dire ciò che abbiamo sentito noi, i nostri affetti, le nostre febbri, i nostri dolori, è cómpito troppo superiore alla potenza della parola. Noi sentiamo di non poter essere nel vero.
Ho pensato spesso con gioja alla rovina che il tempo va facendo nelle mie Memorie; più spesso vi ho pensato con dolore. Dimenticare! È uccidersi, è rinunciare a quell’unico bene che possediamo realmente e impreteribilmente, al passato. Chè se si potessero dimenticare soltanto le gioie, forse l’oblio potrebbe essere giustamente desiderato; ma dei nostri dolori noi siamo superbi e gelosi, noi li amiamo, noi li vogliamo ricordare. Sono essi che compongono la corona della vita.
Il passato è la misura del tempo che abbiamo percorso, la misura di quello che ci rimane a percorrere. Perciò noi lo teniamo caro, perchè ci fa fede dell’accorciarsi progressivo dell’esistenza. Un’avidità febbrile di morire affatica inconsciamente gli uomini. Chi vorrebbe tornare indietro un’ora, un minuto, un istante nella sua vita? Nessuno; e pure si ama, e si rimpiange questo passato che si ha orrore di rinnovare.
Scrivere ciò che abbiamo sofferto e goduto, è dare alle nostre memorie la durata della nostra esistenza. Scrivere per noi per rileggere, per ricordare in segreto, per piangere in segreto. Ecco perchè scrivo.
Vi fu un tempo in cui avrei voluto fare un libro delle cose che sto per raccontare: un’inclinazione che i casi della mia vita avevano combattuto per tanti anni, ma nè dominata nè vinta, mi aveva trabalzato già tardi, già vecchio d’ingegno e di cuore, nel mondo della pubblicità e delle lettere. Io non vi aveva potuto portare che le memorie di una gioventù ricca di molte passioni, di una vita lungamente e orribilmente angosciata. Ove l’arte avesse trovato in me valore pari alla grandezza del soggetto, il racconto che mi accingeva a scrivere mi avrebbe forse procurato un successo clamoroso. Nondimeno me ne astenni. Gettare nel fango della pubblicità il segreto de’ miei dolori, sacrificarlo alle vuote soddisfazioni della fama sarebbe stata debolezza indegna del mio passato. Io scrivo ora per me medesimo. Non avrei mai osato violare la sola religione che è sopravvissuta alla rovina della mia fede, la religione delle mie memorie.
Su questo vecchio quaderno su cui ho tentato già tante volte d’incominciare il mio racconto, vi sono molte cancellature che non posso più decifrare. Temo che il tempo abbia pure cancellate dalla mia anima non poche delle sue rimembranze.
Questi fogli su cui la mia anima si è arrestata tante volte, trattenuta da un terrore che non poteva vincere, mi accompagnano già da cinque anni nelle mie faticose peregrinazioni. Sulla maggior parte di essi vi è scritto nulla; pure sembra che il mio pensiero vi abbia tracciato delle cifre misteriose e solenni, tanto vi ho meditato sopra, guardandoli. E li svolgo nell’ansietà di leggerli, e osservo con melanconia i piccoli acari della carta che fuggono lungo le loro pieghe ingiallite.
Sì, sono oramai cinque anni! Le cause del mio terrore non hanno cessato di esistere, perchè il mio cuore non è di quelli che dimenticano, ma, comunque sia, questo terrore è dissipato. Mi sento ora il coraggio di ricordare e di scrivere. Ora che tutto deve essere finito!
Mi guardo spesso d’intorno come fossi rimasto solo nel mondo, come se le illusioni che mi avevano accompagnato sin qui fossero state cose vive e sensibili, come dovessi rivederle al mio fianco. Era venuto innanzi solo nella vita, e non mi era accorto mai di esser solo. Ma ora! Ho provato la solitudine della società, e l’ho spesso cercata con ardore, l’ho cercata anzi sempre; quella è nulla. È la solitudine delle passioni che è orribile!
Non so se gli altri uomini abbiano seguito un passaggio così rapido e così violento come il mio, dal periodo della fede a quello della disperanza; se sieno passati ad un tratto dalla vita operosa della gioventù, alla vita inerte e sconsolata della vecchiezza. Credo nondimeno che molti vi sieno entrati con calma, quelli che amarono serenamente e con calma.
Io era nato con passioni eccezionali. Io non avrei mai saputo nè amare nè odiare a metà; non avrei potuto abbassare i miei affetti fino al livello di quelli degli altri uomini. La natura mi aveva reso ribelle alle misure comuni e alle leggi comuni. Era dunque giusto che anche le mie passioni avessero cause, modi, svolgimenti, fini eccezionali.
Ho avuto due grandi amori, due amori diversamente sentiti, ma ugualmente fatali e formidabili. È con essi che si è estinta la mia gioventù; è per essi.
Scrivendo queste pagine, io non ho altro scopo che di interrogare le mie memorie ancora una volta per non doverle interrogare mai più. Io innalzo questo monumento sulle ceneri del mio passato, come si compone una lapide sul sepolcro di un essere adorato e perduto.
Ho presa una grande risoluzione.
Prima di ritirarmi dal mondo, prima di isolarmi in mezzo alla folla — isolamento assai più penoso che nelle vaste solitudini della natura — ho voluto ricordare ancora una volta, ricordare con pienezza e con fede. Io sono ora in pace con me stesso. Le agitazioni profonde della mia anima, le irrequietezze febbrili della mia mente sono cessate. Io ne comprendo ora le cause. Molti uomini non si trovano bene colla vita perchè non hanno ancora scoperto il loro punto d’equilibrio.
Il difficile è trovare il centro della propria anima!
Non scriverò che di un solo di questi amori. Non parlerò dell’altro che pel contrasto spaventoso che ha formato col primo. Quello non è stato che un amore felice. Raccontarlo, sarebbe lo stesso che ripetere la storia di tutti gli affetti, e non v’è creatura che abbia amato sì poco da non conoscerla. O si abbandona, o si è abbandonati — spesso desiderosi, spesso contenti dell’abbandono. Tal cosa è il cuore umano.
Più che l’analisi di un affetto, più che il racconto di una passione d’amore, io faccio forse qui la diagnosi di una malattia. — Quell’amore io non l’ho sentito, l’ho subito. Non so se vi siano al mondo altri uomini che abbiano superato una prova come quella, e nelle circostanze in cui io l’ho superata; non so se vi sarebbero sopravvissuti.
Esprimo questo dubbio, perchè mi avvenne spesso di chiedere a me medesimo: «Come, in che guisa vi sono io sopravvissuto?»
Sento nondimeno che qualche cosa si è guastato nella mia testa: io non ho più cognizione di tempo, non ho più ordine nelle mie idee, non ho più lucidità nelle mie memorie. Questi cinque anni sono passati come un istante e come un’eternità, inosservati, oscuri, senza suddivisioni di giorni e di epoche. Quelle feste, quegli anniversari che formavano le gioie più pure della mia vita quand’era fanciullo, sono essi ritornati ogni anno? E come non li ho avvertiti? Cosa ho fatto in questo lungo spazio di tempo? Perchè non ho più amato?...
Non so più pensare, non so più fermarmi lungamente sopra un’idea, non vedo più le linee che separano il vero dal paradossale. Tutto mi sembra ora logico, naturale, possibile. Tutti i miei pensieri si urtano, si confondono, si perdono in un vortice che turbina incessantemente nella mia testa. È là che tutto va a finire. Sento che la coscienza di me si è confusa. Quando avrò scritto la storia di questo amore, dovrei scrivere ancora quella dei cinque anni che vi sono succeduti; sarebbe una storia terribile. Dovrei scriverne un’altra più terribile ancora; sarebbe la storia delle mie visioni, il racconto dei sogni che hanno popolato le mie notti durante quel tempo.
Radunerò qui i documenti, le lettere, le note che ho conservato. Ricostruirò questo edificio colle sue stesse rovine.
Ora sono ben calmo e tranquillo; ora che ho incominciato a non diffidare più di me medesimo. La mia indifferenza mi assicura che le sorgenti del mio entusiasmo sono esaurite. Una cosa mi conforta e mi inorgoglisce, il sentimento della mia freddezza — perchè il mio cuore è freddo, terribilmente freddo.
Spero e pur temo dimenticare. Una notte triste ed oscura ha incominciato a distendersi sul mio passato.
Le onde che la virtù del sole aveva sollevate e convertite in belle nubi d’oro, ricadono in pioggia attraversando le fredde latitudini dell’aria, ricadono come lagrime della natura.
Quando il fuoco della gioventù si è spento, svanisce a poco a poco anche il tepore delle ceneri; esse rimangono là ad attestare dove la fiamma ha un giorno avvampato, fino a che il soffio gelato del tempo non viene anch’esso a disperderle.