Capitolo V

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IV VI
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CAPITOLO V.

Del vizio della tristizia appropriata al corbo.

Tristizia si è contrario vizio d’allegrezza. Secondo che dice Macrobio, è di tre modi. La prima è, quando l’uomo s’addolora d’alcuna cosa più che non si convenga; e questa s’appella propriamente tristizia: la seconda si è, quando l’uomo non sa, nè dice, nè pensa fermamente niente, ma sta come ozioso, e come uno corpo morto; e questo si è molto grave vizio; la terza si è quando per alcuna immaginazione l’uomo fa troppo grande pensiero; e questa si è malinconia; che ne è di molte ragioni; e, siccome dice Ipocras, è ramo di mattezza. E dalla tristezza discende il vizio della disperazione, ch’è il maggiore peccato che sia, secondo il Profeta; e puossi assimigliare la tristizia al corbo, il quale, vedendo nascere dell’uova sue li corbacchini bianchi, egli tanto s’attrista, ch’egli si parte, [p. 27 modifica]e lasciali stare, non credendo che eglino sieno suoi figliuoli, perch’egli non sono negri come lui; e infino che non comincino a mettere le penne negre, non li pasce, ma vivono della rugiada che cade dal cielo. Ancora s’attrista quando gli sono tolti, più che niuno uccello che sia. Dice la Santa Scrittura, che meglio è la morte che l’amara vita. Non dare tristizia all’anima tua, ma discacciala da te; chè molti n’ha già morti. La tristizia non ha nessuna utilitade in lei; ma molti mali ne nascono di lei e massimamente oziositade. Ancora: Siccome l’oro e l’ariento si pruovano al fuoco, così si pruovano le persone nelle loro tribolazioni. Boezio dice: Nessuna può essere maggiore tribolazione al mondo, com’essere stato avventurato, e tornare a miseria. Plato dice: A uomo savio non si appartiene darsi molta tristizia per alcuna cagione. Socrate dice: Chi non s’attrista di quello ch’egli ha perduto, il suo cuore si riposa in pace, e ’l senno se ne allumina. Pittagora dice: Dolente chi non ha, e più dolente quelli che soleva avere, e non ha. Dalla soperchia malinconia viene povertà, afflizione, e tribolazione e disperazione. San Bernardo dice: Prima mi dea Iddio la morte che io mi lasci vincere alla malinconia. O tu che giaci in sepoltura della oziosità nata dalla tristizia, odi quello ch’ella fa. Ella guasta il corpo, e danna l’anima, e fa errare la mente e partorisce lussuria, e nutrica la gola, e per la moltitudine de’ rei pensieri ch’ella produce si adduce le quistioni e semina discordie. Salomone dice: Non amare lo dormire, acciocchè povertà non [p. 28 modifica]t’assaglia. Seneca dice: Malinconia si è morte e sepoltura della vita dell’uomo. La Legge dice: Nessuna cosa è più certa che la morte, e più incerta dell’ora della morte. Beato colui che non è usato d’avere prosperità; chè gli è tolto la cagione di assai dolore e di maninconia, chè ’l dolore nasce solo per essere stato beneavventurato. Tutte le cose per lo suo contrario si conoscono; chè ’l bene fa conoscere il male, e ’l dolce l’amaro. Chi del suo dolore s’attrista, raddoppia il suo male; perchè dopo alla tristizia dee venire l’allegrezza. Seneca dice: Non ti lasciare mai pigliare alla tristezza; e se tu non ti puoi difendere, non la mostrare ad ogni uomo. Chi è savio uomo non si attrista mai, nè non istà ozioso. Uguccione dice: L’oziosità si è confusione della mente, ed è porta di tristizia. Cassiodoro dice: Siccome l’umana natura per continova fatica s’ammaestra, così stando oziosa diventa matta. Santo Bernardo dice: Nessuno peccato è che misericordia non gli si faccia, chi Iddio conosce e chi spera in lui. Cassiodoro dice: Chi si commette alla ventura, niega Iddio, e cade in disperazione.