Fior di Sardegna/Capitolo XXIV
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XXIV.
Lara non si mosse, un sorriso incerto tremolò sul suo volto; ma lasciò che Massimo le sedesse vicino e le pigliasse una mano fra le sue; probabilmente credeva ancora di sognare. — Grazie, grazie!... — ripeteva Massimo ansante, rosso in viso e gli occhi risplendenti; per un buon pezzo non seppe dir altro. In quanto a Lara, non sarebbe certo stata lei a cominciare il discorso; però il giovine si accorse che tremava, e fu solo allora che si decise a parlare, ma che parlare, Signore Iddio! — Sa! mi scuserà se ho così tardato... io sarei arrivato il primo, ma smarrii il sentiero... ah, che cattivo sentiero... per poco non balzavo di cavallo... Ma Lei mi perdonerà, non è vero? Lei che è buona quanto bella... — Questo complimento fece arrossire Lara, che si scosse, il giovine la guardava fisso, ardentemente. Anch’ella lo guardò... Da allora in poi i loro occhi non cessarono di fissarsi, parlando più eloquentemente che le labbra. Massimo proseguì:
— Sì, lei è molto buona, lei che è venuta qui con tanta fiducia, sapendo solo che sono un giovine onesto. Grazie! Noi non siamo nemici, non siamo nemici, no, non siamo nemici...
— No! — ripetè Lara con un sorriso.
— No, non siamo nemici! Sa perchè le ho chiesto questo appuntamento, sa?... — La fanciulla fece cenno di sì, poi si morsicò le labbra, solito suo vezzo, provando un ultimo lampo di diffidenza, ma il giovine la rassicurò subito, dicendo: — Sì? Ha indovinato? E come non indovinarlo? Io l’amo tanto!
— Davvero?... — gridò Lara con gioia. — Quella voce del cuore convinse Massimo di essere anch’egli amato; e benchè qualche momento prima nutrisse poca speranza, ora gli parve una cosa naturalissima.
— Davvero! — rispose. E lei?
— Anch’io! — disse Lara. — Non altro. La parola «L’amo!» non volle uscirle di bocca, ma i suoi occhi l’espressero assai bene, tanto che Massimo le prese l’altra mano ed esclamò: — Dunque diamoci del tu. Lo vuoi, Lara?
— Sì, Massimo! — Allora Massimo cominciò a parlare.
Cosa disse, cosa rispose Lara? — Sono discorsi che non si possono ripetere. A quando a quando il ginocchio di Massimo toccava quello di Lara, e un brivido scorreva per l’ossa ad entrambi. La giovinetta balbettava a intervalli qualche parola; le tremolava l’anima sulle labbra, come una gocciola di rugiada sopra un fiore...
«Quelle due creature pure come gli spiriti si narrarono ogni cosa; i loro sogni, le ebbrezze, le estasi, le chimere, le debolezze, come si erano adorati da lungi, quanto s’erano vicendevolmente desiderati, e la loro disperazione allorchè dovettero cessare di rivedersi. Con un’intimità ideale, che già non era più suscettiva di aumento, si confidarono ciò che avevano di più segreto e di più misterioso e si raccontarono, con una candida fede nelle proprie illusioni, tutto ciò che l’amore, la gioventù, e quel rimasuglio di fanciullezza che avevano, metteva loro in mente. Quei due cuori si riversarono l’uno nell’altro, per modo che, un’ora dopo, il giovine possedeva l’anima della fanciulla ed essa quella di lui; si compenetrarono, s’ammirarono, s’entusiasmarono...
«Come accadde che le loro labbra s’incontrarono? Come avviene che l’uccello canti, che la neve si dilegui, che la rosa si schiuda, che maggio fiorisca, che spunti l’alba dietro gli alberi neri che coronano le fredde sommità della collina? — Un bacio, e fu tutto!»1.
Erano a questo punto, a questo sublime punto del loro idillio, allorchè avvenne un incidente di cattivo presagio. Due pastori che attraversavano il bosco, spingendosi sino all’elce del castello videro i due giovani nemici a baciarsi come due sposini, il che, se era una scena commovente per gli spettatori, diventava orribilmente pericolosa per gli attori, — Lara impallidì e si nascose il volto fra le mani, forse per non essere conosciuta.
Massimo balzò in piedi e corse incontro ai due importuni, due esseri bizzarri dai «soprabiti» di pelli nere di pecora con la lana lunga dieci centimetri, le vesti nere di sudiciume, i volti poco simpatici, contornati da lunghi capelli neri arruffati. Tornarono indietro e Massimo li accompagnò per un tratto: ciò che dissero, Lara non l’intese: però vide bene che si allontanarono premurosamente. Quando ritornò presso la fanciulla, Massimo la trovò piangente disperatamente.
— Ebbene? Perchè piangi? — le chiese sollevandole la testa con la mano.
— Sono perduta! — rispose Lara. — Stasera stessa mio padre saprà tutto! Sono perduta! Sono perduta!
Singhiozzava e le lagrime le inondavano il volto pallido. Ciò che provò Massimo nel veder piangere così la sua diletta non era certo un sentimento di gioia: sentì anch’egli un vago terrore e guardò con dolore la disperazione di Lara.
Quella piccola creatura, a cui tutto doveva sorridere, piangeva come colta da una terribile sciagura... piangeva per lui che non poteva dirle: Taci! domani sarai felice!
Non potè resistere. La prese fra le braccia e stringendola al suo cuore, le copri il volto di baci ardenti, asciugandole le lagrime con le labbra e cercando di rassicurarla.
— Non piangere, Lara, non piangere! Non aver paura! Non ti hanno riconosciuta, e quando anche ciò fosse, non parleranno... te lo giuro, non parleranno! Taci, Lara mia, non piangere, mia adorata Lara, non piangere... È inutile! Come tremi! Hai freddo? Ah, sei malata... quanto sono miserabile! ti ho resa infelice... io che vorrei vederti felice e lieta come una regina... Forse m’odierai... ti sei già pentita d’esser venuta, non è vero?... Perdonami! Ah, dimmi che mi perdoni... non piangere.... Lara! Come potrei vivere, se tu mi odiassi? — Suvvia, taci, dimmi che mi perdoni... Lara? non mi senti? Parla! Guardami almeno!... Lara! Lara! se tu sapessi come t’amo!...
Parlò così per un quarto d’ora con frasi tronche, ansanti, coprendo di baci la fanciulla che lasciava fare, sempre piangendo, tremando come le foglie degli elci scosse dalla brezza della sera che si avanzava. Perchè erano là da più di tre ore e il giorno moriva senza che essi se ne accorgessero. Oh, le ore d’amore scorrono ben rapide sul quadrante della vita!
Le parole di Massimo rassicurarono Lara; perchè dunque proseguiva a piangere e tremare? Tremava di freddo; un freddo misterioso causato dal luogo, dall’ora e dal riflesso della paura provata, un freddo che non la lasciò mai più. Ma in quanto alle lacrime erano causate più dalla voluttà che dal dolore; una voluttà ben triste e casta se volete, ma così intensa, che faceva piangere la fanciulla. Esser baciata da Massimo!... Dacchè aveva cominciato ad amarlo, Lara non aveva desiderato che di sentire le sue mani strette fra quelle di lui, che dovevano esser ben morbide e ardenti; il suo sogno non andava oltre e le pareva che ciò fosse la sua suprema felicità. E invece ora Massimo la baciava! le carezzava il volto, i capelli, le mani, le asciugava le lagrime con le labbra così belle e infuocate! Oh, era troppo! così di sicuro si doveva godere in paradiso! Anzi a un tratto parve a Lara di esser morta e di trovarsi per sempre in cielo e che la sua felicità non dovesse più finire; sicchè trasalì e cessò di piangere quando il giovine le disse:
— È ora di separarci! Dimmi che mi perdoni, Lara!...
— Cosa devo perdonarti?
— E mi ami? — Lara lo guardò meravigliata; era strano che dopo tutto Massimo ne dubitasse ancora.
— Se non ti avessi amato, non sarei stata qui!
— E mi amerai sempre?
— Sempre!....
— Me lo giuri?
— Te lo giuro!
Si strinsero la mano guardandosi in silenzio, poi Lara partì; Massimo l’accompagnò per un tratto, aiutandola a superare i massi, la baciò prima di separarsi e rimase a guardarla finchè non sparì lentamente sotto il bosco, e dietro le rupi. Poi risalì a cavallo e tornò a X***, immerso in profondi pensieri. Lara ripiombò nella tristezza! I baci di Massimo le avevano schiuso nuovi orizzonti; sogni mai più venuti nel suo cervello la rendevano pensosa e febbricitante. Il ricordo delle labbra ardenti del giovane, di cui conservava ancora la impronta sulle guance, sulla bocca e sui capelli, le dava le vertigini, perchè, come scrisse un’illustre autrice, le voluttà più grandi dell’amore consistono nel ricordo...; e quella sera, nella vecchia chiesetta piena di leggende e di profumi, non vagò più dietro immagini bianche svolazzanti fra paesaggi fantastici e cieli argentei, nè pregò, nè invidiò le bambine che cantavano spensierate le melanconiche e monotone lodi della Madonnina bionda dai grandi occhi azzurri. — Erano la gioia e la tristezza confuse insieme, il vero amore con tutte le sue lagrime e i suoi sorrisi, quello per Nunzio non essendo stato che un semplice prologo, l’alba bianca o scolorata che annunzia il levarsi del sole.
Nella notte Lara ebbe la febbre; pure l’indomani si trascinò per il bosco, rivide quel «sito» ove lasciava il suo cuore, diede l’addio alle rupi, agli alberi, al cielo, — fece l’ultima sua preghiera ai piedi dell’altare e scrisse la data del giorno e del mese vicino all’iscrizione che nel primo giorno le aveva fatto immaginare un romanzo perfettamente simile a quello che poi le era accaduto.