Fior di Sardegna/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII

../Capitolo XXII ../Capitolo XXIV IncludiIntestazione 26 febbraio 2017 100% Da definire

Capitolo XXII Capitolo XXIV
[p. 100 modifica]

XXIII.


Don Salvatore era salito su sin dalla mattina con due servi, due cavalli carichi di provviste e un codazzo di amici a cui imbandiva un magnifico pranzo nel bosco...

La stanzetta fu invasa da un esercito di gente che per tutta la mattina mise alla prova la prodigalità dei Manna. Mentre i servi e le serve accudivano al pranzo, donna Margherita, il marito e Pasqua facevano gli onori di casa in quella stretta e bizzarra sala da ricevimento, e Lara brillava per la sua assenza. Infatti la fanciulla, a cui tutta quella moltitudine e quel rumore dava un fastidio infernale, se l’era svignata sin dall’alba e non era ritornata neppure alla messa cantata. Dov’ora? Nessuno lo sapeva. Donna Margherita credeva facesse parte di una spedizione di ragazze e giovanotti, partiti per visitare una grotta e gli avanzi di un castello spagnuolo, — ma in realtà Lara si trovava nella capanna del suo vecchio amico pastore, donde scorgeva tutta la gente che saliva alla chiesetta. — Chi aspettava? Neppur lei lo sapeva; però a mezzodì ritornò col volto triste alla stanzetta, perchè non aveva visto Massimo; e rimase fredda, muta, pallida durante il pranzo rumoroso e brillante.

A un tratto però, verso la fine, si animò tutta, diventò rosea e sorridente e, mentre di «tavola» in «tavola» si cantavano le solite poesie estemporanee, ella si alzò e ritornò nella stanzetta deserta. Il disordine più grande regnava là dentro; però Lara trovò bene il modo di fare una splendida teletta fra i dolci e le bottiglie rovesciate e le chicchere e le tazze ancora a metà piene di caffè e di vino.

Aveva visto Massimo ad una tavola vicina alla loro.

Dunque era arrivato? Venuto! Venuto! Oh, come il cuore batteva forte a Lara, come si sentiva felice, come si seppe ben vestire per piacere al giovine! Indossò un abito nero guarnito di nastri rosa pallido e pose un nodo dello [p. 101 modifica]stesso colore nei capelli; un costume che in tutto poteva costare quaranta lire e che sulla sua personcina elegante e slanciata figurava come un vestito di quattrocento lire. Una lieve tinta rosea le colorì il viso, e gli occhi diventarono più grandi e foschi sotto la ombreggiatura dei ricci rifatti e ben disposti sulla fronte. — Quando uscì, trovò una delle serve in stretto colloquio con uno dei servi, ma non osò disturbarli; mise invece la pace fra l’altra coppia che si bisticciava acremente, perchè Bastiano, il servo di Barbagia, aveva voluto applicare un bacio sulla guancia rossa di Peppa, l’altra serva, la quale lo aveva ringraziato dandogli un calcio solenne. Bastiano strillava:

— Sei una bestia! Eh! la tigre, che non si vuol toccata!...

— Vieni qui! vieni qui! «Su diabulu chi tin de hat battidu!» — imprecava Peppa ch’era di Orune, armandosi di un grosso randello, con tutte le cattive intenzioni possibili.

Lara riuscì a metterli in pace; poi tornò allegra e svelta verso la tavola. Si assise su un masso e fe’ vista di ascoltare con piacere la disputa dei poeti; ma in realtà era immersa nella contemplazione di Massimo.

Non udì don Salvatore che parlava male del giovane col suo vicino di tavola, e non si accorse che Marco Ferragna la divorava cogli occhi. Verso le due, tre ragazze vennero e la pigliarono con loro alla «festa da ballo».

Il ballo non tardò infatti a cominciare. A poco a poco tutta la folla si riunì nella spianata e le donne che avevano voglia di ballare si assisero su tronchi e sassi disposti intorno alla «sala». Prima si eseguì il ballo tondo, a cui presero parte tutte le belle popolane dai costumi smaglianti, poi l’organino intonò un’allegra mazurka. I giovinotti si avanzarono verso le signorine... Fu in quel momento che avvenne una cosa la più strana del mondo.

Massimo Massari aveva invitato a ballare Lara Mannu, e Lara aveva accettato! — Se un fulmine fosse piombato sul bosco, le persone che conoscevano l’inimicizia delle due famiglie non si sarebbero atterrite di più! Si credè di sognare! Persino il bosco tacque pieno di meraviglia e di sorpresa. Quando tutti, persone e fronde, poterono [p. 102 modifica]ripigliare l’uso della favella, figuratevi i commenti che sussurrarono.

Tutti gli occhi corsero in cerca di don Salvatore, ma non lo si trovò; videro solo Marco Ferragna, che, arricciandosi gli eleganti baffetti con la punta delle dita bianchissime, sorrideva leggermente. Aveva compreso: era questa la burla promessa da quell’ardito e spregiudicato di Massimo; e se non avesse pensato alle tristi conseguenze che potevano avvenire, alla collera che si sarebbe scatenata su Lara, chi certo non aveva neanche saputo ciò che si facesse, Marco avrebbe applaudito l’azione di Massimo. — Questo fatto diede che dire a X*** per un mese almeno: si credè che finalmente la pace fosse decisa fra i Mannu e i Massari; ma visto il contrario, si conchiuse con Ferragna che Massimo aveva soltanto fatto una burla e che Lara non aveva neppure saputo quel che si facesse!

Invece! — Quando Massimo s’era inchinato dinanzi alla sua piccola nemica, dicendole con voce commossa: — Signorina, favorisce un giro?... — Lara sentì il capogiro e il cuore le battè forte forte come la sera del primo sorriso del giovine.

Riflettè: — Forse mio padre mi uccide! ma che m’importa, se morrò dopo essere stata fra le sue braccia?... — Si alzò e prese sorridendo il braccio del giovane: tremavano entrambi. Oh, i dolci momenti trascorsi! Lara e Massimo non vedevano la folla che susurrava di loro, non ricordavano nulla; i loro cuori battevano vicini vicini, il capo bruno di Lara, il suo viso, i suoi occhi sentivano l’alito ardente del biondo nemico; Massimo stringeva al suo seno la fanciulla che adorava come un Dio e laggiù, laggiù, nei recessi oscuri della boscaglia, fra le rupi tinte di sangue e le grotte un di testimonie dei truci drammi delle vendette sarde, l’angelo dell’amore scacciava a colpi di frusta il demone dell’odio, dicendogli: — Il tuo regno è finito. — Fammi largo!...

— Vorrei dirle due parole a quattro occhi... — mormorò Massimo all’orecchio di Lara, — domani sera alle quattro, sotto «L’elce del castello...»

— Sì! — rispose lei risolutamente.

Non dissero altro. Nell’accettare l’appuntamento di [p. 103 modifica]Massimo, Lara non ebbe alcuna indecisione, nessuna paura, certissima che il giovine la voleva là in quel sito solitario, solo per parlarle d’amore. E dopo?... Lara vedeva bene l’abisso in cui sprofondavasi, ma non aveva alcuna paura, nè di don Salvatore, nè del mondo intero. Il novello amore le dava una energia strana, un coraggio sovrumano; il coraggio di chi non ha più alcuna speranza. Forse Lara correva incontro alla morte, ma tanto meglio! Morire!... Sì, morire, ma essere amata da Massimo!

Con sua somma meraviglia, nessuno, neanche don Salvatore, le fece osservazione per la mazurka ballata con Massimo. Si aspettava dal padre un terribile rabbuffo, qualcosa di simile alla scena fattale per Nunzio; l’aspettava senza tremare, a fronte alta, tranquilla, e quando vide partire il padre senza dirle la menoma parola su ciò, ne provò quasi dispiacere. Pensò che forse don Salvatore, poco amante dello scandalo, si riserbava l’amarezza ad un altro giorno: ma cenando, quella notte, donna Margherita le disse: — Hai fatto bene a ballare con Massimino Massari; forse esso andava in cerca di una scusa per farci chissà qual dispetto e credeva che tu rifiutassi. Ma tu l’hai saputa più lunga di lui. Tuo padre ne è stato contento....

— Non bisogna mai dimostrare le proprie passioni davanti alla gente! — sentenziò Lara, alzando le spalle con indifferenza.

L’indomani, verso le tre e mezza, Lara uscì dalla stanzetta con un libro sotto il braccio e s’internò nel bosco; camminò per un dieci minuti, superando svelta e leggera come una gazzella, i massi, i rovi, i fossi, e si fermò sotto l’elce del castello. L’albero, così chiamato, non sappiamo perchè, grandissimo, secolare, dal tronco tappezzato di musco e d’edera, sporgeva fra due rupi le più scoscese e selvagge che si possano immaginare. Il sito era orribilmente bello! le roccie si ergevano a picco, nere, sovrapposte le une alle altre, tanto che parevano reggersi solo per un miracolo di equilibrio, e fra le loro screpolature sbucavano fuori grandi grappoli di vegetazione selvaggia dal verde cupo, rovi, liane, edere, eriche silvestri, robinie ondeggianti al vento.

Fittissimo il bosco, il suolo granitico, dirupato, coperto [p. 104 modifica]di foglie secche, di erbe strane, bionde, rosse, dai forti profumi. Gli alberi parevano crescere sul granito e infatti le grosse radici nodose, vestite di musco, si diramavano sulle rocce. L’ombra, qua e là indorata da un raggio di sole filtrante attraverso le folte chiome del bosco, regnava in quell’angolo di montagna, ove nessuno si avventurava se non per ammirar l’immenso elce del castello, intorno a cui vagavano vecchie e misteriose leggende, abitato solo dalle capre e dagli uccelli silvani, adattatissimo per un delitto o per un convegno d’amore.

Come Dio volle, Lara arrivò lassù; trovò un magnifico divano di musco e vi si assise comodamente, stanca del faticoso cammino. Fu sorpresa della semi-oscurità che la circondava, e quando si fu riposata provò un fremito di paura.

Il silenzio, le rupi erte e selvagge, l’elce misterioso che stendeva le sue braccia nere ed immense, che ricordava atroci storie di amori fatali e di vendette feroci, le fecero risovvenire l’odio della sua famiglia con quella dell’uomo che doveva arrivare là fra pochi istanti... Sussultò, quasi destandosi da un sogno spaventoso. Perchè era venuta? Chissà se Massimo non meditasse un dramma invece di un idillio! Perchè era venuta?

Almeno avesse portato con sè un'arma, un coltello, uno spillo... Nulla, nulla! Era là, inerme, debole, assisa fra i precipizi, nell’ombra, in un luogo ove invano avrebbe chiesto aiuto... Ahi, che stoltezza! Uno spavento gelido, immane, le agghiacciava il cuore; vedeva fantasmi orribili sporgere la testa ossea dalle cime frastagliate delle rocce, eppure non si moveva, non faceva un moto. Si pentiva di essere venuta, si chiamava pazza, leggera, temeraria, e pensava a fuggire, ascoltando intensamente se mai udisse il passo di Massimo e mormorando a fior di labbro: — Come tarda! Son più che le quattro, ora! — Alfine risonò il galoppo di un cavallo in lontananza; era lui! Il cuore di Lara cominciò a battere; gli occhi a risplendere sul volto pallido e la paura a svanire, mentre, secondo ogni probabilità il pericolo si avanzava.

Il galoppo cessò. Lara, scordandosi che un cavallo non poteva penetrare lassù, credè di essersi ingannata e ricominciò a disperarsi, mormorando: — Forse non verrà [p. 105 modifica]più! Ma questo è un sogno! È proprio vero che lui mi ha pregato di aspettarlo qui? È un sogno, è un sogno! —

In quel momento Massimo scavalcò un masso e si slanciò verso di lei, con le mani tese, esclamando: — Grazie!...