Fior di Sardegna/Capitolo XX
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capitolo XIX | Capitolo XXI | ► |
XX.
Una mattina ai primi di agosto donna Margherita si svegliò pensando:
— L’anno scorso non si potè adempiere, ma quest’anno è necessario che si faccia... Sì, sì Lara è guarita: dunque la faremo!
Voleva dire la novena promessa a «Nostra Donna della Neve» per la guarigione di Lara.
Molte volte, forse troppe, mi è avvenuto di parlare di un costume graziosissimo invalso nelle popolazioni della parte montuosa della Sardegna, ed ora ne riparlerò, essendo ciò necessario al presente racconto, — ed essendo anche nella natura delle cose radicata l’abitudine di parlare sovente di quello il cui ricordo più ci diletta e ci colpisce.
Voglio parlare dell’uso di salire alla cima di un monte o scendere al fondo di una valle, a certi tempi fissi, ogni anno, per festeggiare un santo o una Madonna là, per nove, dieci, quindici giorni, sotto gli alberi verdi e silenti, elci o pioppi, fra le rocce, le borraccine e i lentischi, — uso vivente da secoli e secoli, eguale nel Logudoro come nel Marghine, come in Barbagia, nella pianura e nelle montagne.
La leggenda sfiora quelle vecchie chiese brune e cadenti, circondate di stanzette oscure, polverose, mute e gelide per undici mesi e mezzo dell’anno, ma il cielo azzurro lampeggia in alto attraverso le chiome argentee dei pioppi o le rame di smeraldo delle querce e fa scordare le vecchie storie ricordate con monotono ritmo dai versi delle laudi, — il santo o la santa sorridono nell’ombra degli altari e col dito indicano il cielo ai credenti che attraversarono burroni e vallate per venirli a pregare; ma le fanciulle, mentre guardano la volta oscura della chiesa, odono fuori nella spianata la musica stridula di un organino, e i loro piedi fremono e l’anima vola al ballo tondo, all'amante che le aspetta al rezzo degli alberi per offrire loro il braccio o mano per la danza. — Belle notti dei boschi e delle valli! Chi, chi vi può scordare, e chi non vi ricorda con un sorriso di poesia sulle labbra? Chi può scordare il susurro dei boschi nel silenzio della notte azzurra, la massa nera degli alberi fremente alla brezza della sera, e ii murmure del torrente che cadendo di rupe in rupe canta la poesia delle montagne solitarie, e la vecchia chiesa disegnata nell’ombra come gli avanzi di un castello distrutto; e il canto misterioso degli uccelli notturni, il mare placido steso all’estremo orizzonte come una striscia di raso verde, o viola, o rosa sullo sfondo del cielo bianco, la luna d’oro che tramonta nell’occidente di smeraldo, proiettando le ultime sue scintille sulle foreste e sulle montagne lontane, le stelle splendide sui firmamenti azzurri, il tintinnio eguale, argentino delle campanelle delle gregge pascolanti nella notte, vibrato nel silenzio immenso dell’oscurità profumata dalle rose montane, dalle ellere fiorite e dalle giunchiglie crescenti lungo i ruscelli d’argento?
«Nostra Signora della Neve,» la chiesetta dove donna Margherita aveva promesso di far la novena per la salute di Lara, ergevasi fra le creste granitiche di una montagna qualche ora distante da X***. — La leggenda narra che esistevano una volta due fratelli entrambi innamorati di una bella fanciulla fidanzata ad uno di essi. Una bella notte l’altro fratello, spinto dall’amore e dalla disperazione, uccise il fidanzato e si diede ai boschi; ma perseguitato dal rimorso e dalla passione sempre crescente, finì coll’uccidersi, lasciando detto ai suoi parenti che coi beni aviti ergessero una chiesa in suffragio non dell’anima sua, perduta per sempre, ma per quella del fratello assassinato!
Strana riparazione! La chiesetta venne costrutta sul sito dove il fratricida erasi suicidato, e dopo... i buoni abitanti dei dintorni vi aggiunsero varie stanze e logge all'ingiro e per secoli e secoli risero, danzarono e pregarono per tutti, fuorché forse per l’anima dei due fratelli. Nostra Signora della Neve fu chiamata così perchè per vari mesi dell'anno resta coperta e attorniata di neve, essendo, come si è detto, posta in cima a una montagna abbastanza fredda nella sua sommità. Il luogo è selvaggio e pittoresco, gli alberi altissimi e folti, le rocce coperte di muschio, il suolo disuguale nascosto da una folta vegetazione silvestre. Le felci d’oro ondeggiano alla brezza dei boschi, l’ellera, le aline, i rovi verdeggianti e le borraccine dai fiori rossi tappezzano le rupi erte, gli enormi massi tagliati a picco, dalle cui cinte si godono immensi orizzonti stendentesi sino al mare sotto la curva di un magnifico cielo, paesaggi verdi, vallate bionde, ondulate, nude, montagne e altre montagne ancora, villaggi azzurreggianti nella lontananza, finchè l’occhio si stanca nella nebbia che vela l’orizzonte dietro cui sorridono le pianure del sud inondate di sole e di verzura. I ruscelli cadono mormorando sul granito e i giunchi crescono nell’umidità, all’ombra degli alberi susurranti, e le gazze cantano allegramente nell’azzurro di quei boschi non ancora profanati dalla scure dell’uomo.
Non ci voleva di meno per commuovere Lara. — Sulle prime aveva resistito, sorridendo amaramente della promessa di sua madre, e dicendosi fra sè che avrebbe fatto meglio a farla morire, la Madonna; poi aveva chinato il capo. Tanto! tutto per lei era lo stesso; andando in campagna o rimanendo a casa, il tempo doveva lo stesso trascorrere. — Si fecero i preparativi, perchè non si va così a tali luoghi come ad una semplice passeggiata. Bisogna portar su le provviste per due settimane di vita, gli attrezzi necessari per la cucina e per il sonno, i dolci, ecc. ecc. Ogni giorno affluisce lassù una gran folla di gente, da tutti i villaggi vicini, che sale la mattina e scende la sera, come il sole, ed ai «novenanti» tocca fare i dovuti onori di casa, invitando a pranzo gli amici. Lara odiava tutti questi costumi, sicchè, prevista una gran noia, si munì di libri, decisa di svignarsela fra i boschi e restar sola leggendo il più possibile.
Salirono agli ultimi di agosto. La stanza destinata a loro era la più ampia e la più bella, cioè la meno distrutta. Le pareti, nere, corrose, il tetto di grosse travi e di canne pur esse nere, il pavimento di terra, una vecchia finestra e una porta più vecchia ancora: ecco la casa che la famiglia intera, cioè Lara e Pasqua, donna Margherita e due serve (perchè don Salvatore, rimasto a X***, sarebbe salito su solo tre volte alla settimana) doveva abitare per quindici giorni. Quando Lara si avvide di ciò, provò un brivido; guardò bene e vide che i ragni tessevano magnifiche cortine sul tetto, sulla finestra, da per tutto; che il suolo screpolato, sfossato dimostrava come e qualmente nell’inverno trascorso quella stanza fosse stata abitata da una famiglia di... porci, e il suo disgusto crebbe. Come, come passare due settimane in quella stamberga? Era certa che vi sarebbe morta: al paragone la loro vecchia casa di X*** era una reggia, e Lara, non ancora riposata dal lungo viaggio, anelava già ritornarvi. Entrò in chiesa, i capelli, gli abiti coperti di polvere e il disgusto impressi nel viso, pensando che in realtà erano due grosse bestie ignoranti le due serve che non sapevano contenersi dalla gioia che provavano a trovarsi lassù. La chiesa giaceva nella penombra; alte pareti bianche, una vôlta pure bianca, un umile altare con la Madonna bianca dai grandi occhi pallidi azzurri, il pavimento di lavagne, due banchi di legno nero, una porta piccina al fianco e una grande in fondo, sormontata da una finestra gotica da cui pioveva una strana luce azzurrina, polvere e silenzio da sepolcro, ecco tutto! Fu una nuova disillusione per Lara, che credeva trovare un po’ di arte e di ricchezza nella chiesa; tuttavia al medesimo tempo la calma fredda e solenne di quella vecchia casa di Dio si introdusse nel suo cuore. Si inginocchiò sui gradini freddi dell’altare, la testa appoggiata alla balaustrata di legno, e pregò. Chissà che disse! Preghiere a fior di labbro, avemmarie susurrate da un’anima fredda ed oscura al pari di quella chiesa; — il fatto sta che, appena levatasi, Lara si diede a frugare con una curiosità poco religiosa su e giù per l’altare. Trovò la tovaglia magnifica, ma il libro molto vecchio. Le ampolline asciutte, i candellieri senza ceri, la polvere, dimostravano che da molto tempo nessun prete pregava in quell’altare. La lampada spenta diceva come i Mannu fossero i primi a salire per la novena. Molte cose trovò Lara, ma nessuna la commosse quanto qualche parola scritta col lapis su una parete, sotto la pila dell’acqua santa. Diceva: — Addio, Madonnina bianca, con te lascio la mia felicittà! — Il doppio «t» della felicità fece sorridere Lara, ma lentamente, quel sorriso sfumò, e un pensiero triste, fisso, brillò nei suoi occhi. La sua mente costruiva un romanzo davanti a quelle parole. Certo, la mano che le aveva vergate, doveva essere di una donna, una fanciulla che aveva trascorso giorni felici lassù, e che dopo l'ultima sua preghiera, dopo l'addio ai boschi, ove forse..., aveva dato anche l’addio alla signora dei luoghi testimoni della sua avventura. — Chissà! forse dopo non era stata mai più felice. E il pensiero di Lara corse ai bagni, alla parete della sua camera ove anch’ella aveva scritto la parola «addio!» — e sorrise di nuovo, ma amaramente, col suo straordinario sorriso che le dava l'aria, secondo il parere di Pasqua, di un predicatore indignato contro il mondo intero!
Uscita di chiesa, Lara visitò le altre stanze, tutte aperte in attesa dei nuovi ospiti, tutto in peggiore stato della loro, e studiò la «località». Gli alberi fremevano intorno: le capanne di frasche, rovinate, gli avanzi dei fuochi da lungo spenti, rottami di stoviglie e di bottiglie indicavano la novena dell’anno scorso; pareva un piccolo villaggio disabitato, e una melanconia immensa gravava col silenzio e la solitudine. Una cosa fece ridere Lara: la campana appesa ad un tronco, posto attraverso l'inforcatura di due alberi. — Ecco il campanile! pensò. La assalì l'idea di suonare, ma le fu impossibile, perché la campana mancava di corda, e tirò via.
Camminò a lungo, badando ai massi e agli alberi che lasciava indietro per non smarrirsi, e benché non volesse confessarlo a sè stessa, trovò che il bosco ampio e pittoresco ricompensava davvero la strettezza della «catapecchia,» ove era condannata a vivere due settimane. Oh, che bei divani di musco, che splendide cortine d’edera e di fiori! E la vôlta? La magnifica vôlta di cristallo azzurro che si vedeva attraverso gli arabeschi frementi delle verdi chiome degli alberi?
Si arrampicò su una rupe e vi trovò un superbo seggiolone di granito; si assise e guardò. Ai suoi piedi i boschi si stendevano per la china della montagna, e il panorama più sopra descritto sorrideva inondato di sole, di tinte vaghe e splendenti. Giù, giù, la valle ombrosa taceva, tacevano i lontani villaggi, taceva il cielo azzurro e i boschi sottostanti, ma lì vicino, fra l’edera e le rose pallide di montagna, due gazze innamorate cinguettavano allegramente, sfacciate e ciarliere come due popolane irritate.
Lara abbandonò la testa sul musco e le ascoltò. Trovava tutto bello e affascinante, ma la solitudine la spaventava, le dava uno spasimo indescrivibile. Chiuse gli occhi e fu per mormorare: — Dio mio, fatemi morire, ora, qui! — ma si corresse e pensò: — Ah, se ci fosse qui Mariarosa, se potessi come «laggiù,» correre con lei sotto gli alberi e ammirare il cielo, quanto sarei felice!...