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sè. — Aveva ragione l’altra sera il mio amico Antonio: Lara ha veramente occhi meravigliosi. È più simpatica della piccola. E sarà lei che... — pensò alquanto, poi sorride e mormorò:
— Sarà curiosa!... Una burla assai curiosa, assai...
XX.
Una mattina ai primi di agosto donna Margherita si svegliò pensando:
— L’anno scorso non si potè adempiere, ma quest’anno è necessario che si faccia... Sì, sì Lara è guarita: dunque la faremo!
Voleva dire la novena promessa a «Nostra Donna della Neve» per la guarigione di Lara.
Molte volte, forse troppe, mi è avvenuto di parlare di un costume graziosissimo invalso nelle popolazioni della parte montuosa della Sardegna, ed ora ne riparlerò, essendo ciò necessario al presente racconto, — ed essendo anche nella natura delle cose radicata l’abitudine di parlare sovente di quello il cui ricordo più ci diletta e ci colpisce.
Voglio parlare dell’uso di salire alla cima di un monte o scendere al fondo di una valle, a certi tempi fissi, ogni anno, per festeggiare un santo o una Madonna là, per nove, dieci, quindici giorni, sotto gli alberi verdi e silenti, elci o pioppi, fra le rocce, le borraccine e i lentischi, — uso vivente da secoli e secoli, eguale nel Logudoro come nel Marghine, come in Barbagia, nella pianura e nelle montagne.
La leggenda sfiora quelle vecchie chiese brune e cadenti, circondate di stanzette oscure, polverose, mute e gelide per undici mesi e mezzo dell’anno, ma il cielo azzurro lampeggia in alto attraverso le chiome argentee dei pioppi o le rame di smeraldo delle querce e fa scordare le vecchie storie ricordate con monotono ritmo dai versi delle laudi, — il santo o la santa sorridono nell’ombra degli altari e col dito indicano il cielo ai credenti che attraversarono burroni e vallate per venirli a pregare; ma le fanciulle, mentre guardano la volta oscura della chiesa, odono fuori nella spianata la musica stridula di un orga-