Federconsorzi: storia di un'onta nazionale/II/5
Questo testo è da formattare. |
◄ | II - 4 | II - 6 | ► |
Il documento che ha innescato le reazioni a catena tra le quali è divampata la disputa sul “compromesso emiliano” è costituito da poco più di una paginetta di enunciazioni pesino generiche per chi avesse dimenticato l’insanabile antagonismo che ha contrapposto per trent’anni Partito comunista e Federconsorzi, che appaiono estremamente significative appena si rievochino le tappe fondamentali dei rapporti tra le due parti
Abbiamo ricordato che è stata una paginetta dattiloscritta a scatenare quella serie drammatica di vicende che ha segnato la cronaca del “compromesso agricolo” tra Emila Romagna e Federconsorzi. Ma quale è il contenuto della paginetta che infiamma, da un mese, le più acrimoniose dispute interpretative?
Il testo controverso
Dopo avere richiamato i “ripetuti incontri” realizzati tra esponenti della Giunta e rappresentanti della Federconsorzi “per “esaminare i problemi di comuni interesse relativi alla presenza e alla piena utilizzazione di importanti strutture di conservazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli nel territorio regionale” il documento che ha innescato l’affaire emiliano dichiara la “comune convinzione”delle due parti sulla “necessità di avviare un processo concreto di razionalizzazione delle strutture ricordate” al fine di “favorire una piena utilizzazione degli impianti” quindi “un uso rigoroso e programmato del denaro pubblico”, entro il quadro, sottolinea lo stesso testo, “del programma agro-alimentare del ministro Marcora”.
Alle premesse segue l’enunciazione degli impegni reciproci che assumono le parti:
“La Federconsorzi… si impegna a condizionare le proprie strutture e le eventuali nuove iniziative nel territorio regionale alla programmazione regionale”.
La Regione assume, per parte propria, “l’impegno …di assicurare un reale processo di programmazione e di piena utilizzazione degli impianti favorendo un nuovo rapporto tra le organizzazioni dei produttori agricoli, le organizzazioni cooperative, per la utilizzazione, tramite opportune convenzioni, delle strutture della Federconsorzi e dei Consorzi Agrari provinciali sulla base del reciproco vantaggio”.
Nel paragrafo successivo le parti enunciano l’obiettivo della più “ampia partecipazione” di tutte le forze operanti in agricoltura, dichiarano di convenire sull’utilità dell’apertura dei Consorzi agrari all’ingresso di nuovi soci, così da giungere ad un “allargamento della loro base sociale e a una adeguata presenza di tutte le componenti agricole nei consigli di amministrazione”.
Questo il contenuto del documento: sono enunciazioni succinte e anodine, sufficienti comunque perché si debba riconoscere al testo, nella sua sinteticità, la capacità di toccare i nodi principali di quella “questione” Federconsorzi, per tanti anni l’epicentro degli attriti più insanabili tra le forze protagoniste della politica agraria nazionale: per alcuni di quei nodi il riferimento è esplicito, per altri esso è, invece, implicito, ma deducibile con il semplice impegno di un’elementare logica interpretativa.
Agli elementi espressamente enunciati, e a quelli direttamente deducibili dal testo, se ne devono aggiungere altri, la cui connessione al documento può essere ricostruita sulla base delle circostanze che hanno accompagnato le trattative sviluppate tra le parti.
Gli impegni palesi Direttamente leggibili dal testo risultano gli impegni che nello stesso documento le parti dichiarano di assumere. Per parte sua la Federconsorzi si impegna:
- -ad accettare la programmazione regionale come quadro di riferimento delle proprie attività e della promozione di nuove iniziative;
- -ad aprire i libri sociali dei Consorzi agrari ad agricoltori di matrice estranea alle forze che tradizionalmente detengono l’esclusiva della partecipazione sociale e della rappresentanza nei consigli di amministrazione.
Sono, entrambe, concessioni tali da modificare radicalmente la strategia che l’organismo federconsortile ha perseguito per trent’anni senza concessione né cedimenti. Il rifiuto più intransigente di qualsiasi interferenza o controllo, politico o amministrativo, sui propri programmi operativi o di investimento, e la drastica chiusura dei libri sociali a qualunque richiedente che non possedesse la tessera della Coldiretti o della Confagricoltura sono le linee di condotta in cui si possono identificare le ragioni degli attacchi più violenti che le forze della Sinistra hanno diretto, per trent’anni, all’organizzazione federconsortile.
La Regione si impegna, per parte sua:
- -ad assicurare, nel quadro dei propri programmi settoriali, la piena utilizzazione degli impianti della Federconsorzi e dei Consorzi agrari;
- -a garantire che l’utilizzazione degli stessi impianti da parte delle altre organizzazioni si realizzi sulla base del “reciproco vantaggio”.
Non sono, neppure queste, concessioni prive di significato. Anche se, apparentemente, di rilievo minore rispetto agli impegni assunti dalla Federconsorzi, esse non rappresentano aperture prive di significato. La prima si traduce, di fatto, nell’impegno della Regione ad impedire che iniziative nuove di organizzazioni diverse, quindi, in particolare, della cooperazione cattolica e di quella marxista, vengano realizzate nelle aree in cui già sussistano impianti dell’organizzazione federconsortile, entrando con esse in competizione ed erodendone lo spazio operativo. La seconda costituisce, nel suo apparente ermetismo, il riconoscimento di quella logica del profitto aziendale che rappresenta tradizionalmente il criterio operativo e la chiave della forza della Federconsorzi: in essa può leggersi altresì l’impegno della Regione a non interferire nei criteri di gestione degli organismi che fanno capo all’organizzazione federconsortile.
Le deduzioni logiche
Se pure, tuttavia, sul piano formale, le concessioni a carico della Federconsorzi potrebbero apparire più impegnative di quelle assunte dalla Regione, il bilancio del dare e dell’avere tra le due parti risulta spostarsi a favore della Federconsorzi quando dall’esame delle clausole espressamente enunciate nel testo si passi a quello degli impegni che ne sono deducibili secondo il più stretto rigore di logica. Essi sono fondamentalmente due, ed entrambi a carico della Regione. Il primo è costituito dal riconoscimento, da parte della Regione, del diritto della Federconsorzi a realizzare, alla sola condizione della coerenza ai piani settoriali regionali, nuovi impianti e investimenti nel territorio emiliano: discende logicamente da questo riconoscimento l’ammissione che nessuna prevenzione sussiste, da parte della Regione, alla fruizione, da parte dell’organizzazione federconsortile, dei benefici previsti dai regolamenti sull’attività del Feoga per la realizzazione di impianti di conservazione e trasformazione dei prodotti agricoli, una fruizione posta attualmente sotto il controllo dell’amministrazione regionale, cui compete l’esame preliminare di ogni pratica da inoltrare a Bruxelles.
Il secondo è costituito dall’accettazione, da parte della stessa Regione, dei vincoli tra Federconsorzi e Consorzi agrari, che il documento cita ripetutamente usando l’esplicito binomio “la Federconsorzi e i Consorzi agrari”, riconoscendo in modo estremamente trasparente l’appartenenza della prima e dei secondi ad un unico conteso istituzionale.
Il riconoscimento, che pure ho ritenuto di collocare tra quelli non immediatamente leggibili , ma tra quelli deducibili dal documento, è tra gli elementi più densi di conseguenze del testo pubblicato dalla Confcooperative: esso segnerebbe la rinuncia, di fatto, al disegno di spezzare i legami tra Federconsorzi e Consorzi agrari cui risultano essere ispirati alcuni degli articoli del progetto di legge sulla riforma dell’Aima voluta dal Partito comunista e da quello socialista.
I contenuti impliciti
Analizzati gli impegni palesi e quelli logicamente conseguenti dobbiamo affrontare l’esame degli elementi dell’accordo non desumibili, né direttamente né indirettamente, dal testo sfuggito al controllo delle parti interessate: prima di ampliare l’orizzonte della nostra indagine al di là dei termini letterali del testo è giocoforza, tuttavia, confrontarsi con gli interrogativi sul significato formale del documento. Pubblicandolo, l’Unione emiliana della Confcooperative lo definiva una “proposta di intesa”. L’assessore Ceredi, pure riconoscendo, in una conferenza stampa appositamente convocata il 12 dicembre, di avere inoltrato alla Federconsorzi “la richiesta di una preliminare disponibilità politica”, e di avere inoltre dato “informazione di questa nostra posizione al Ministro dell’Agricoltura e ad alcuni colleghi assessori regionali (Piemonte, Lombardia, Veneto)”, definiva la presa di posizione dell’Unione Cooperative fondata “su più o meno fantasiosi castelli di carta scritta”.
Quale la verità tra le tesi contrapposte? Dopo avere potuto accertare, mediante il confronto tra una pluralità di fonti, la corrispondenza del testo diffuso dall’Unione delle Cooperative a quello inviato dall’Assessorato emiliano alle parti citate da Ceredi come destinatarie della propria comunicazione, e verificato che il documento al centro della disputa non portava la sottoscrizione delle parti, ma era comunque accompagnato da una lettera ufficiale di Ceredi, la strada per identificare la natura del testo non può consistere che nell’esame obiettivo dei suoi caratteri formali.
Ma l’esame del carattere e della forma del documento rendono oltremodo difficile definirlo altrimenti che come “bozza di accordo” quale lo ha definito l’Unione regionale della Confcooperative. La sinteticità, la concisa chiarezza, l’evidente, accurata scelta di ogni parola, rivelano nel testo il frutto di una lunga paziente trattativa, l’elaborato nato da un’intensa negoziazione, pronto alla sottoscrizione delle parti che in esso hanno ricercato l’accordo compensando gli interessi reciproci a chiusura di un antico, molteplice contenzioso.
La disputa sul valore formale del documento, quella disputa che nello scontro sul “compromesso emiliano” ha oscurato, per la violenza della polemica, la stessa sostanza dei problemi, si riduce, a questa constatazione, a mera contesa verbale, diretta, comprensibilmente, a celare dietro una cortina di fumo i temi reali sui quali la trattativa era stata condotta, riconoscere la cui natura costituiva, nella chiassosa contesa, obiettiva ragione di disagio.
Inviando la bozza alla Federconsorzi la Regione si dichiarava, palesemente, disponibile a sottoscriverla appena la controparte avesse espresso la medesima disponibilità. Non di accordo si trattava, quindi, e confutando la Confcooperative Ceredi sapeva di giocare sulle parole sfidandola a produrre “firme e bolli” del documento, ma di testo pronto per l’accordo, per perfezionare il quale non mancava, ormai, che la ratifica della Federconsorzi, essendo implicita l’adesione di chi del testo aveva steso l’ultima versione.
Per una conclusione
Conclusa, nei termini che paiono più coerenti e meglio fondati sugli elementi a disposizione, l’analisi del documento al centro della disputa, resta da affrontare la terza parte dell’indagine che ci eravamo proposti, quella sugli elementi dell’accordo che non risultano né direttamente leggibili né indirettamente deducibili dal testo di Ceredi, ma che lo svolgimento della vicenda ed il suo esame all’interno del quadro della politica agricola regionale e nazionale consentono di connettere alla drammatica serie di eventi che hanno segnato la disputa sul “compromesso emiliano”.
E’ solo considerando tali elementi ulteriori che è possibile, infatti, ricostruire, nella complessità delle sue implicazioni, il quadro politico dell’accordo che stava maturando, e che gli eventi seguiti alla denuncia della Confcooperative paiono avere interrotto rendendone più ardua, se mai posibile, anche la conclusione futura.
Un esame, anche quello che ci resta da compiere, complesso e molteplice, tale da richiedere un capitolo specifico della ricostruzione che della vicenda emiliana siamo venuti fino ad ora realizzando.
Terra e vita n. 5, 4 febbraio 1978 Rivista I tempi della terra