Favole (Fedro)/Libro quarto/XXV - Il Poeta

Libro quarto: XXV - Il Poeta

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Fedro - Favole (I secolo)
Traduzione dal latino di Giovanni Grisostomo Trombelli (1797)
Libro quarto: XXV - Il Poeta
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FAVOLA   XXV.

Il Poeta.

MOlto ancor mi rimane, e ad arte il lascio
     Pria perchè esser grave ad un, cui molte,
     E varie ingombran cure, io non rassembri;
     Poscia perchè s’a caso ad altri è in grado,
     5Cotai studj seguir, abbiane il come.
     Benchè sia ricca la materia in guisa,
     Che mancar questa anzi che possa a noi,
     Mancar vedrassi chi il lavor ne imprenda.
     Quel premio, che a la nostra brevitade
     10Promettesti, io richieggo, e quel che in voce
     Voler darmi dicesti, al fin mi dona.
     Ogni dì più si fa morte vicina,
     E quando mi prolunghi i doni tuoi,
     Tanto ne ruba il tempo, immantinente
     15Se li rechi, più ancor godronne il frutto.
     Finchè un po’ dunque mi riman d’etade
     Or or mancante, il tuo soccorso appresta.
     Che pro, se mi sovvenga, allor che morte

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     Imminente il comun tributo esiga?
     20Ma perchè mille suppliche t’arreco,
     Quando tu stesso a la pietade inchini?
     Spesso perdono un reo convinto ottenne;
     Il merta ben, se un innocente il chiegga.
     Queste son le tue parti; pria fur d’altri,
     25E passeran con simil giro in altri.
     Risolvi ciò che fe, che il giusto ammette,
     E allegrezza mi arrechi tua sentenza.
     Ma dal confin prescritto io mi dilungo.
     È pur difficil, che colui, cui nota
     30È sua innocenza, rattener si possa,
     Allor che petulante astio l’insegue!
     Tu mi chiedi, qual è? dirallo il tempo.
     Lessi fanciul cotal sentenza: In pubblico
     Far motto a un uom di volgo è di periglio.
     35Fissa in mente starà, fin ch’avrò senno.