Faust/Parte seconda/Atto quinto/Nel giardinetto
Questo testo è completo. |
Traduzione dal tedesco di Giovita Scalvini, Giuseppe Gazzino (1835-1857)
◄ | Atto quinto - Aperta campagna | Atto quinto - Un palazzo | ► |
NEL GIARDINETTO.
A tavola in tre.
Bauci. Affè che fu proprio un prodigio! e ne provo oggi ancora un affanno indicibile: chè il modo onde ciò fu visto a succedere non mi pronostica nulla di buono.
Filemone. Che male ha fatto l’Imperatore a rinunziargli codesta spiaggia? Non trasse forse un araldo a leggere ad alta voce il decreto? Le prime tracce vennero prese poco discosto dalla nostra duna, — e là sorsero lende e capanne! — nè andò molto che di mezzo alle frasche fu costrutto un palagio.
Bauci. Fin ch’era giorno, s’affannavano indarno gli operai, trattando pale e picconi, a raddoppiare con grande frastuono colpi su colpi; nella notte poi, vedevi a serpeggiare qua e là vive fiammelle; e la dimane — che è? che non è? — V’era un argine bell’e fatto. È da credere che vi fossero sacrificii di umano sangue, tanto e sì forte e angoscioso era il gridare che udia nottelempo, e così rosse scorrevano le acque dalla parte del mare: allo spuntar dell’alba ce n’avea un grosso canale. Gli è un empio, non v’ha che dire; la nostra capanna e l’attiguo boschetto gli fanno gola, e gli adocchia con tanta avidità che lo miri standoci da presso allargar le ali: e a noi poverelli ne tocca andarcene a capo basso.
Filemone. N’ha egli per altro offerta nel nuovo paese una terra molto bella!
Bauci. Di campi rubati alle acque non ti fidare poco nè assai; tienti cara la tua casetta sull’altura.
Filemone. Avviamoci alla cappella, dove ne fia dato contemplare l’ultimo raggio del Sole. Suonata la campana, piegato a terra il ginocchio, ci abbandoneremo con fervorose preci alla santa guardia del Dio antico.