Capitolo V

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Capitolo IV Capitolo VI
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V.

Socrate. Uh! fortunato me dunque se m’accetti per scolaro, o uomo maraviglioso: mi abboccherei con Melito, avanti ch’ei si faccia in palese a sostenere la sua accusa, e gli direi ch’io per lo passato ho studiato in religione quanto poteva, e che ora, avendomi egli rimproverato che io fabbrico io Iddii di mia testa, mi son fatto tuo scolaro. Eh! delle due cose è l’una, o Melito; non si scappa, gli direi io: o mi concedi che Eutifrone in queste faccende è bravo di molto e pensa diritto, e allora fa la medesima reputazione di me, e lasciami; o no, e allora pela la faccia al maestro prima che allo scolaro, a lui che ti guasta i vecchi, me e suo padre: me con insegnamenti storti, suo padre con correzioni e con castighi a sproposito. E se mi fa il sordo e non [p. 165 modifica]ismette, o se in cambio di me non accusa te, io queste medesime ragioni dette a lui, gliele canterei in tribunale.

Eutifrone. Se gli venisse in capo di pigliarsela con me, eh lo toccherei ben io nel vivo; e prima di me i conti li avrebbe a saldar lui in tribunale, lui.

Socrate. E io desidero esser tuo scolaro per questo, caro amico, conoscendo che, non che altri, lo stesso Melito non t’ha pesato te, me poi m’ha pesato, e come! lì per lì con una sbirciata d’occhio; e però egli, facendo con me a fidanza, m’accusa com'empio. Ma ora insegnami, per amor di Giove, quel che tu dicevi pare di conoscere così a fondo, dianzi, cioè, che cosa è il santo e che cosa è l’empio, in rispetto all’omicidio o ad altro che sia; perchè il santo non è sempre il medesimo in ogni cosa? e l’empio non è tutto il contrario del santo? e non è anch’esso il medesimo ogni volta? e non ha una cotale idea medesima, quella d’empietà, tutto ciò ch’è empio?

Eutifrone. Benone!