Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/173

te, o se in cambio di me non accusa te, io queste medesime ragioni dette a lui, gliele canterei in tribunale.

Eutifrone. Se gli venisse in capo di pigliarsela con me, eh lo toccherei ben io nel vivo; e prima di me i conti li avrebbe a saldar lui in tribunale, lui.

Socrate. E io desidero esser tuo scolaro per questo, caro amico, conoscendo che, non che altri, lo stesso Melito non t’ha pesato; me poi m’ha pesato, e come! lí per lí con una sbirciata d’occhio; e però egli, facendo con me a fidanza, m’accusa come empio. Ma ora insegnami, per amor di Giove, quel che tu dicevi dianzi, conoscere cosí a fondo, cioè, che cosa è il santo e che cosa è l’empio, in rispetto all’omicidio o ad altro che sia; perchè il santo non è sempre il medesimo in ogni cosa? e l’empio non è tutto il contrario del santo? e non è anch’esso il medesimo ogni volta? e non ha una cotale idea medesima, quella d’empietà, tutto ciò ch’è empio?

Eutifrone. Bene!

VI.

Socrate. Adunque mi di’: che cosa è, secondo te, il santo, che cosa è l’empio?

Eutifrone. Ecco, io ti dico che il santo è ciò che io fo ora: chi commette male (ammazzi, rubi sacri arredi, o faccia altre birbonerie) accusarlo, sia padre, madre, chiunque sia: il non far ciò è empio. E che la legge è veramente codesta, non perdonarla a niuno che pecchi,