Er portoncino
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER PORTONCINO
Caso1 volessi uprì cquarc’ostaria
Bbisoggna sempre procurà, Ffichella,
Che llì accosto ce sii ’na portiscella,
Pe’ n’essempio, ecco llà, ccome la mia.
Questa te serve ggià per annà via:
Però la ppiù2 rraggione de tienella3
È ppe’ ffà entrà la ggente in ciampanella4
La festa, e ccojjonà la Pulizzia.
Chi ccià5 sta porta, se po’ ddì a ccavallo.6
Si ppo’7 er fruss’e rrifrusso de la ggente
Dàssi8 a sull’occhi e tte cojjessi9 in fallo,
Tu nun te stà10 a smarrì: nun ce vò ggnente.
Bbast’a ttoccà la mano11 ar maresciallo12
E mmannà13 un bariletto ar Presidente.14
17 marzo 1834
Note
- ↑ Caso-mai: se mai.
- ↑ La maggior.
- ↑ Tenerla.
- ↑ In fraude. Imperocchè è legge che alla mattina de’ giorni festivi, niuna bottega (e Dio guardi le osterie ed i caffe!) possa tenersi aperta durante le ore degli uffici divini. Multe, carcerazioni ed altre pene ad arbitrio, seguono subito il fallo, sin minus, ecc.
- ↑ Ci ha.
- ↑ Essere a cavallo, vale: “aver conseguito l’intento.„
- ↑ Se poi.
- ↑ Dasse.
- ↑ Cogliesse.
- ↑ Non ti stare.
- ↑ Toccar la mano, cioè: “fargli sdrucciolare una moneta.„
- ↑ Al maresciallo de’ carabinieri, succeduti, mutato nomine, agli antichi gendarmi.
- ↑ Mandare.
- ↑ Al Presidente regionano di polizia. Anche questi quattordici magistrati sono gli eredi, mutato nomine, delle attribuzioni dei già Commissarii. Vedi il Sonetto... Così i Ricevitori son divenuti Preposti, ecc., e l’odio della cosa si è estinto sotto la mutazione del nome.