Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 99
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A FRATE RAIMONDO DA CAPUA dell’ordine DI SANTO DOMENICO !N PISA. (A).
I. Desidera vederlo illuminato col vero lume della verità, dimostrando quanto sia necessario, e quali effetti produca nel‘ l’anima nostra, e l’esorta ad annunciare tal rerilà senza alcun timore, servile, incipriandosi del sangue di Gesù Cristo a tratto dalle mammelle di santa Chiesa.
1 I. Desidera vederlo ritornare al servizio della medesia santa Chiesa.
di nome di Jesà Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I. Ilarissimo padre in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato d’uno vero e perfettissimo lume, acciocché nel lume di Dio vediate lume, perocché vedendo, cognosceretla Verità sua, cognoscendola l’amarete, e così sarete sposo fedele della Verità. Senza questo lume andareste in tenebre, e non sareste fedele, ma infedele sposo della Verità; perocché questo lume ò quello mezzo che fa 1’ anima fedele: dilungala dalla bugia della propria sensualità: falla correre morta per la dottrina ui Cristo crocifìsso, d quale é essa Verità!
nella fatica non si muove per impazienzia, nè per consolazione o prosperità con disordinata allegrezza, ma
si trovarebbe con disordinala tristizia. In ogni male è allo a cadere colui che privato del lume, e per lo contrario, colui die nel lume di Dio ha veduto lume, è disposto e allo a venire a grande perfezione, e vienesi con sollicitudine con odio santo di sè, ed amore della virlù esercita la vita sua, ma in altro modo no’, anco sarebbe tutla imperfetta c corrotta la vita sua. E però considerando, carissimo padre, quanto ci è necessario il lume, dissi ch’io desideravo di vedervi illuminalo d’uno vero e perfettissimo lume; e sapete quanto d desidera l’anima mia, quanlo desidera di levarsi dalla tenebre, e unirsi e conformarsi con la luce. Pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, e di quella dolce madre Maria, che voi vi studiate, giusta al \ ostro potere, di compire in voi la volontà di Dio, ed il desiderio del1’anima mia, che allora sarà ella beala.
II. Non è più tempo da dormire, ma è da destarsi dal sonno della negligenzia, e levarsi dalla cicchila dell’ignoranzia, e realmente sposare la verità coll’anello della santissima fede, ed annunciare la verità, non tacendola mai per veruno timore, ma la rga e liberale a disponersi a dare la vita se bisogna, tutto ebbro di sangue dell’ unnle ed immaculalo Agnello, traendolo dalle mammelle della Sposa sua della santa Chiesa, la quale Sposa vediamo tutla smembrata, ma spero nella somma ed eterna bontà di Dio, che Je i G8 renderà i membri sani e non infermi, odoriferi e non putridi, e fabbrica ranai questi membri sopra le spalle de’veri servi di Dio amatori della Verità, con molle fatiche, sudori e lagrime, umili e continue orazioni, e nelle fatiche riceveremo refrigerio, rallegrandoci nella reformazione di questa dólce Sposa. Or tiene silenzio, anima mia, e non parlare più (Z?).Non voglio mettere mano, carissimo padre, a dire quello che con pena non potrei scrivere, nè con lingua parlare; ma il tacere vi manifesti quello eh’ io voglio dire. Non dico più: grande desiderio ho di vedervi tornalo in questo giardino, acciocché siate ajulatore a Irarne le spine, ec.
Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore. g9 Annotazioni alla Lettera 99, (A) Questa lettera fu scritta dalla santa, ch’era già io Roma, al beato Raimondo, che stava a Fisa in occasione dell’andare sno in Francia d’ordine d Urbano V I al re Carlo V, per informarlo di sua elezione legittima, contro a quello che nt divulgavano da per tatto i cardinali di Clemente. Seguì la partenza di Fra Raimondo da Roma ne’ primi giorni del decemhre dell’ anno 137S * poiché tuttora in qnella città dimorava, quando vi giunse la sanla il di 28 di novembre, e n’era già partito ai i3 dell’altro mese, come s’ha dill’Ep’stola 54 indirizzata a don Bartolomeo Serafini, priore de/la Certosa d, Gotgona, in occasione d’ inviargli la santa un breve del pontefice, la cui data è dei i3 di dicembre del ì’ò-jS.
Tenne il beato Raimondo il viaggio suo per mare, ed alquanto tempo indugiò a Pisa, onde ne andò poi a Genova, com’egli sIpsso ce ne fa fede nella leggenda della santa. In questo archivio de padri di s. Domenico di S ena haitnosi molti brevi del pontefice Urbano in raccomandazione di Fra Raimondo, che appella ìuo peni* tenziere. e di Jacomo Ceva dottore di Legge, cavaliere e maresciallo della curia romana, ebe inviava suoi ambasciatori al re di Francia. Tra questi, due ve ne sono dirizzati al re francese e spediti a 21 di novembre del i3)8, nel primo mostra d’aver collocata ogni sna speranza in es«o, e nel secondo, ch’è dello stesso giorno ed anno, gli accenna d’avere a que’due aggiunto altro ambasciatore, cioè Guglielmo vescovo di Valenza e di Digné, che stava olire monti, inviandogli for*e addoppiati per non esser sicuro, «e questi volesse addossarsi un tal carico. (ìli altri brevi sono indirizzati al dnca d’Angiò, al cardinale anglico Grimoaldo, al Cardinal Pietro di Monternco, del titolo di santa Anastasia all’ universitd di Parigi, e Bernardo vescovo di Condom, a Guglielmo vescovo d’Amt’ìns, ed a Filippo di Mazzeris, consigliere del re di Franc’a, e questi brevi sono tutti de1 21 di novembre del 1378, .tando il pontefice a santa Maria in Trastevere, ove erasi portato sul principio di settembre nel suo ritorno da Tivoli. Altro breve, cb’ è pur dello stesso giorno, fu consegnato a Fra Raimondo, ed era per Guglielmo vescovo di Valenza e di Digné, in cu! »i prega dal pontefice quel prelato a voler portarsi al re d Franai insieme col Ceva e con frate Raimondo, sperando che egli, ch’era stato presente alia «ua elezione, e meglio d’ogni altra erane informato, potesse giovar mollo a porgar la mente di quel re dalla sinistra opinione impressagli altronde. Riano di questi brevi potè ess«*r consegnato, essendo andata a voto l’ambascei J- come di poi diremo, onde da Raimondo furono con altre memore lasciai a questo convento di s. Domenico di Siena.
S. Caterina. Opere- T. V.. 5 (B) Or tiene silenzio, anima mia, e non parlare più, Per qnesta forma di parlare mostra la santa, di non esser paga delle opera* «ioni d’Urbano VI; per le quali egli davasi ognor più a conoscere direno da quello cb’essa il biamava e che s’erauo immaginato pnr gli altri quando lo elessero.