Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 87
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de’frati eremiti di santo Augu» stino, cd a tutti jjli altri loro conipn^iì, . quando erano a Vignone (A), I. Dev’dera cedergli uniti col legame della carità a Gesù Cristo, per la quale unione non possano da creatura alcuna essere disuniti, esortandoli ad amarsi reciptocamenle con vera e santa umiltà.
II. Gli palesa una sua risiuoe, per la qnale avera inteso da Gesù Cristo il fine delle presenti persecuzioni di santa Chiesa, e l’utile che ne sarebbe seguito.
III. Protesta il zelo che ella ha della salute dell’anime, al quale esorta anco i suddetti padri, tflttttxix 87.
Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
j ^dilettissimi figliuoli miei in Cristo Jesù. Io. misera madre, con desiderio spasimato, ho desiderato di vedere i cuori e gli affetti vostri chiavellati in croce, uniti e legati con quello legame che legò ed innestò Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. Così desidera l’anima mia di vedere i cuorili affetti vostri innestati nel Verbo incarnalo dolce Jesù; sì e per sì fatto modo, che nè dimonia, nè creature vi possano partire; benché io non dubito, che se voi sarete legati ed infiammali del dolce Jesù, se fussero tutti i dimonj dello *S. Caterina. Opere. T. IV. 18
274 _, inferno con tutte le malizie loro non vi potranno partire da sì dolce amore ed unione. Adunque io voglio, poiché è di tanta fortezza cd è di tanta necessità, che voi non vi ristiate mai di crescere legna al fuoco del santo desiderio, cioè legna del cognoscimento di voi medesimi; perocché queste sono quelle legna che notricano il fuoco della divina carità, la quale carità s’ acquista nel cognoscimento e nella inestimabile carità di Dio, ed allora s’unisce l’anima col prossimo suo; e quanto più dà della materia al fuoco, cioè legna di. cognoscimento di sè, tanto cresce il caldo dell’amore di Cristo e del prossimo suo. Adunque state nascosi nel cognoscimento di voi, e non state fuore di voi, acciocché Malatasca non /vi., pigli (B) con lo molte illusioni e cogitazioni l’uno contra.l’altro, e questo farebbe per tollervi l’unione della divina carità; e però io voglio e -vi comando (C), che 1* uno sia subietto all’altro, e l’uno portatore de’difetti dell’altro; imparando dalla prima dolce Verità, che volse essere il più minimo, ed umilmente portò tutte le nostre iniquitadi e difetti: così voglio che facciate voi, figliuoli carissimi, amatevi, amatevi, amatevi insieme, e godete, ed esultate, perocché il tempo della state ne viene.
II. Perocché il primo d’aprile (D) la notte più singularmente Dio aperse i secreti suoi, manifestando le mirabili cose sue sì e per sì fatto modo, che l’anima mia iion pareva che fusse nel corpo, e riceveva tanto diletto e plenitudine che la lingua non è sufficiente a dirlo; spianando e dichiarando a parte sopra il niisterio della persecuzione (E) che ora ha la santa Chiesa, e della rinnovazione ed esaltazione sua (F), la quale die’avere nel tempo avvenire; dicendo che il tempo presente è permesso per renderli lo stato suo, allegando la prima dolce Verità due parole che si contengono nel santo Evangelio, cioè: egli è bisogno che lo scandalo venga nel mondo; e poi soggiunse:. ma guai a colui per cui viene Io scandalo; quasi dicesse questo tempo di questa persecuzione permetto per.divellere le spine della Sposa mia, che è tutta imprunata,.ma non permeilo le male cogitazioni degli uomini!
sai,tu5 come io fo ? io fo come io feci, quando 10 ero nel mondo, che feci la disciplina di funi, e cacciai coloro che vendevano e compravano nel tempio, non volendo che della casa di Dio si facesse spelonca di ladroni: così ti dico, che io fo ora, perocché io ho fatta una disciplina delle creature, e con essa disciplina caccio i mercanti (G) immondi, cupidi, e avari ed enfiati per superbia, vendendo e comprando i doni dello Spirito Santo. Sicché colla disciplina delle persecuzioni delle creature li caóciava fuore, cioè che per forza di tribulazione e di persecuzione li tolleva 11 disordinato e disonesto vivere, e crescendo in me il fuoco, mirando vede\o nel costato di Cristo crocifisso intrare il popolo cristiano e lo infedele, ed io passavo per desiderio ed affetto d’amore e per lo mezzo di loro, ed entravo con loro in Cristo dolce Jesù, accompagnata col padre mio santo Domenico, e Giovanni singulare con tutti quanti i figliuoli miei; ed allora mi dava la croce in collo e l’olivo, in mano, quasi come io volessi, e cosi diceva che io la portasse all’uno popolo ed aH’altro, e diceva a me: Dì a loro: io vi annunzio gaudio magno: allora 1* anima mia più s’ empiva, annegata era co’veri gustatori nella divina essenzia per unione ed affetto d’amore, ed era tanto il diletto che aveva 1’ anima mia, che la fatica passata del vedere l’offesa di Dio non vedeva, anco dicevo!
0 felice ed avventurata colpa ! Allora il dolce Jesù sorrideva e diceva: Or è avventuratoci peccato, che non è caveìle?.Sai tu quello che santo Gregorio diceva, quando disse felice e avventurata colpa»//), quale parte è quella che tu tieni che sia avventurata e felice ? e che dice santo.Gregorio/ Io rispondevo come esso mi faceva rispondere, e dicevo: Io veggio bene, Signore mio-dolce, e bene so che il peccato non è degno di ventura, e. non è avventurato, uè felice.iu sè, ma il frutto che esce del peccato. Questo mi pare che volesse dire Gregorio, che per lo peccato d’Adam Dio ci die’il Verbo dell’unigenito suo Fgliuolo, cd il Verbo die* il sangue; unde dando la vita ci rende la vita con grande fuoco d’amore. Sicché il peccato dunque è avventurato, non per lo peccato, ma per lo frutto e dono che abbiamo d’esso peccato. Or così è; sicché dell’ offesa che fanno gl* iniqui cristiani, perseguitando la Sposa di Cristo, nasce la esaltazione, lume ed odore di virtù in essa Sposa; ed era questo sì dolce, che non pareva che fusse nessuna comparazione del1’ offesa alla smisurata bontà e benignità di Dio, che in essa Sposa mostrava. Allora io godevo ed esultavo, e tanto era vestila di certezza del tempo futuro, che mel pareva possedere e gustare, e dicevo allora con Simeone: Nundimillis servum tuum3 Domine, secundum verbum tuum in pace. Facevansi tanti misteri, che la lingua non è sufficiente a dirlo, nè cuore a pensarlo, nè occhio a vederlo.
non ho detto niente: stentando muojo per desiderio, abbiatemi compassione: pregale la divina bontà e Crislo in terra, che tosto si spazzi. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Annegatevi nel sangue di Crislo crocifisso, e per nessuna cosa venite meno, ma più conforto pigliate. Godete, godete nelle dolci fatiche. Amatevi, amatevi, amatevi insieme. Jesù dolce, Jesù amore.
Annotazioni alla Lettera SÌ.
(A) Le seguenti diciasette lettere iiulirizzale dalla santa a Fra Raimondo suo confessore, erano fuori d’ordine, chi guardi i tempi in cui furono scritte» Or sebbene non sì possa determinare la precisa data di ci.iscbeduna, si è almeno cercato di ordinarle come meglio si poteva, e di torre gfi sbagli ove erano manifesti. F, queste pure dovettero essere in maggior numero, giacché si trova citata dallo stesso Fra Raimondo parte d’una lettera che più non si trova.
£ questa prima non é già diretta a lui ma a Fra Giovanni, detto terzo delTOrdine eremitano, di cui in altro luogo si avrà a parlare.
(B) Acciocché Malatasca non vi pigli. Col nome di Malatasca usa assai di frequente la santa d appellare il demonio, e ad esempio d’essa cost pure lo appellavano fra Ginseppe da Copertine, e la madre Passitea Crogi, fondatrice delle cappuccine, chiari ameudne per eminente virtù; e tuttora usano all’esempio di questa un tal nome le religiose cappuccine di Siena. Il poeta Dante forma aucor egli per simile maniera alcuni nomi a’demon), dicendone l’uno Malebranche, altro Malacoda; anzi ad un tal luogo ddl’inferno dà il nome di Malebolge, dicendo!
Luogo è io inferno detto Malebolge, Il qual nome suona quasi lo stesso cbe Malatasca, non altro significa fido la Toce Tasca che uu piccolo sacco.
(C) E però io voglio e vi comando. Avvegnaccbè amendue questi religiosi fossero d’eminente virtù e dottrina, e più avanzati d’età, pur aulladimeno erano nello spirilo fig iuol e discepoli della santa; la quale perciò comanda loro francamente, onde sì può arguire iu quale altissimo concetto l’avessero di santità; assicurandoci lo stesso Raimondo, che sì e"li, sì gli altri la chiamavano sempre col nome di madre. ^ (D) Perocché il primo dì d’aprile. Da queste parole vedesi chiaro che la paiteuza del bealo Raimondo per Avignone fu prima dell’apiile dell’anno 1376.
(E) Dichiarando a parte sopra il misterio della persecuzione. Cioè della ribellione dello Stato della Chiesa e della guerra, che le faceauo la repubblica di Firenze, e le altre citta con essa allegate, di cui altrove si favellò.
(F) E della rinnovatone ed esaltazione sua ec. Questi felici presagi A ella riforma di santa Chiesa fatti da Cripto Signor nostro alla ‘anta, furono di bel nuovo da lei palesali a Fra Raimondo in Roma, come egli stesso ue lasciò memoria uella leggenda laute volte citata. A que.’ti aunuozj si lieti altro più abbasso ne aggiugne d’uguale contento, cioè quello della conversione degli infedeli a’tempi avTenire; e I’una predizione e l’altra è rapportata da saot’Antouiui nella sua somma istorica; soggiugoeDdo uoo doversi cercare T. IV. ,8* del tempo da avverarsi, dacché la sartia ne favella solamente come di cose de’ tempi futuri. Ciò però non vieta, cbe da altri possa ricercarsene l’avvenimento, eli»; per molti credesi essere di già accaduto. Il padre Daniele Ensehenio, uno de’conliniiatori dell’opera del padre Gio. Bollando nelle annotazioni alla vita della santa, stima che la riforma di.saDta Chiesa preveduta da santa Caterina, sia quella fattasi coll’opera de’sagri canoni del concilio di Trento; e che all’ altra predizione della _ conversione degl’ infedeli desse adempimento il santo apostolo Francesco Saverio, e gli altri uomini apostolici, che lauto s’adoperarono a prò delle anime degl’infedeli, condurendone alla fede sì gran numero nelle parti dell’oriente e nel Nuovo Mondo. Di questo sentimento fu pure il P. Pie’ Irò Maturo nelle sue annotazioni alle opere di s. Antonino, il P. Teofilo Rainaudo, dal quale la salita con voce gentilesca è detta Christi Pythia, come da Cornelio a Lapide vien appellata Teodidacta, ossia ammaestrata da Dio.
((G) E con essa disciplina caccio i mercanti, ec. In molti luoghi di queste lettere e nel suo libro del Dialogo favella la santa con grave sentimento de’viij degli ecclesiastici di que’tempi, come più volte s’è osservato.
(II) Sai tu (juello che santo Gregorio diceva, quando disse felice e avventurata colpa? Qnesto concetto, che per verità sembra ardito, si ha nella cantica della benedizione del cero pasquale secondo il rito romano: Oh jelix culpa etc., e sembra correggersi per quello cbe ivi seguita: quae tantum promeruit Redemptore.m. li qui potrebbe recare meraviglia il vederlo attribuire a s. Gregorio dalla santa, che riporta il colloquio avuto con Gesù Crislo, dacché il Durando (per altro non seguito in ciò nè dal Cavanti nè dal Magri) nel suo liatiouale Divinorum Officiorum, ne fa autore s. Ambrogio.
Ma certamente che almeno il s. arcivescovo non la componesse tale quale sta, anche da ciò solo è evidente, cbe in quella adoperata nella chiesa di Milano, che certamente è del santo arcivescovo, il concetto qui controverso non si trova. Del resto cbe quella cbe or s’ usa nel rito romano, sia di s. Gregorio, è asserito, tra gli altri, da I). Audrea Piscara Castaldo, nel libro: Sacrarnui ccremoniarum juxla Romanum ninni ex jussu clericormn Roiuanoriuu accurata distribuito, dal dott. Arcivescovo di Toledo e cardinale Fra Garzia Loaysa nelle note al IV concilio Toletano addotto da’ pad ri 1’ Abbé e Cosart (Tom. 5 de’Concilj generali), e da Sisto Sanese ( nella Biblioteca santa), ove, spiegando un passo intralciato del Crisostomo s’esprime: l)icemus ea interpretanda forin co sentii quo beatus pontifex Gregorius pronunciavit feliretn fnisse primi parentis quia tnlem ac tantum mentii li ab tre Rede/nptorem.
dello, da antichissimo raaooscrilto esistente nel celebre monisterio di Bobbio, e portante lo stesso titolo della precedente; ma in essa manca il jelix culpa eie. E Io stesso è della farmela del messale goto-gallico pur riportata dal Mabillon.
Da tulio ciò ne sembra dover ennehiodere, che, siccome ne’iari luoghi aveansi diverse forinole nel benedire il cero, e le più antiche eran qnelle di s. Ambrogio e di s. Agostino, s. Gregorio formasse la sua pigliando alcune cose da qoe’dottori, e molie sostituendo.
cene di proprio, Ira cui le paro’e che sono qui io quistione: e questa poi, abbracciata dalle più Chiese, restasse poi qua»i unica ut-li’ uso. _