Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 162

Lettera 161 Lettera 163

[p. 92 modifica]A DANIELLA DA ORVIETO VESTITA DELL* ABITO DI SANTO DOMENICO (A), Alla quale la santa scrisse la lettera 124, che trovasi nel tomo HI di queste Epistole a pag. 181., diretta a Fra Guglielmo d Inghilterra, colla giunta che segue appresso.

I. In questa aggiunta dimostra prima il contento e la pace interna, che godono quelli che hanno mortificata la propria volontà conformati a quella di Dio.

II. Di due cose che impediscono la perfezione, contro le quali esorta la suddetta’donna; e prima del giudizio de’prossimi, vedendo qualche loro difetto, e che modo si deve tenero in tali occasioni. * III. Dell’altro impedimento alla perfezione che si deve fuggire, cioè del giudizio du’servi di Dio in vederli camminare per vie differenti dalla nostra, onde c’ è necessario il lume per liberarci da’ sopraddetti impedimenti.

I. edi dunque (B) che costoro gustaro l’arra di vita eterna in questa vita, ricevono l’arra, ma none il pagamento, ma aspettando di riceverlo nella vita durabile, dove ha vita senza morte, sazietà senza fastidio, e fame senza pena, perocché di lunga è la pena della fame, perocché essi hanno compitamente quello che essi desiderano; e di lunga è il fastidio della sazietà, perocché egli è cibo di vita senza alcuno difetto. È vero cli

in questa vita si comincia

[p. 93 modifica]a gustare l’arra a questo modo, che 1* anima comincia a essare affamata del cibo e dell’ onore di Dio e della salute dell’anime, come ella ha fame, cosisene pasce, cioè, che 1’ anima si notrica della carità del prossimo, del quale ha fame e desiderio; quello è uno cibo, che notricandosene, non se ne sazia mai. E insaziabile, e però rimane la continua fame; siccome l’arra è uno comincio di sicurtà che si dà all’uomo, per la quale aspetta di ricevare il pagamento, non che l’arra sia perfetta in sè, ma per fede dà certezza di giognere al compimento; cosi l’anima innamorata di Cristo, che già ha ricevuta.arra in questa vita della carità di Dio e del prossimo in sè medesima, non è perfetta, ma aspetta la perfezione della vita immortale.

Dico che non è perfetta questa arra, cioè, che 1’ anima che la gusta non ha ancora la perfezione che non senta le pene in sè ed in altrui: in sè per l’offesa che fa a Dio per la legge perversa che è legata nelle membra nostre; ed in altrui per l’offesa del prossimo!

è bene perfetto a grazia, ma non a quella perfezione de’ santi che sono in vita eterna, come detto è; perocché i desiderj loro sono senza pena, ed i nostri sono con pena. Sai come sfa il vero servo di Dio che si notrica alla mensa del santo desiderio? Sta beato e doloroso, come stava il Figliuolo di Dio in sul legno della santissima croce, perocché la carne di Cristo era dolorosa e tormentata, e 1’ anima era beata per l anione della natura divrna: così noi dobbiamo essare beati per l’unione del desiderio nostro in Dio, ed essare vestiti della sua dolce volontà; e dolorosi per la compassione del prossimo e per tollare a noi delizie e consolazioni sensuali, affliggendo la propria sensualità.

Ma attende, figlinola e suora carissima: io ho parlato a te ed a me in generale, ma ora parlarò a te ed a me in particulare.

II. Io voglio che due cose singolari facciamo, acciocché l’ignoranza non c’ impedisca la nostra perfeS.

Caterina. Opere. T. VI. 7 [p. 94 modifica]94 ...

zione, alla quale Dio ci chiama, ed acciocché lo dimonio collo mantello della virtù e della carità del prossimo non notricasse dentro nell’ anima la radice della presunzione, perocché da questo caderemo nei falsi giudizj, parendoci giudicare dritto, e noi giudicaremo torto: e andando noi dietro al nostro vedere, spesse volte il dimonio ci farebbe vedere molte verità per condurci nella bugia, e perchè noi ci facessimo giudici delle menti delle creature, la quale cosa solo ’ Dio 1’ ha a giudicare. Questa cosa è una di quelle due dalla quale voglio che noi al tutto ce ne leviamo; ma voglio che sia appreso con modo e non senza modo.

Il modo suo è questo, che se già Dio spressamente, non pur una volta, nè due, ma più non manifesta il diletto del prossimo, nella mente nostra, noi noi dobbiamo m,ai dire in particulare a cui elli tocca, ma in comune correggiare i vizj di chi ci venisse a giudicare e piantare le virtù, e caritativamente e con benignità, nella benignità l’asprezza, quando bisogna; e se paresse che spesse volte Iddio ci manifestasse i difetti altrui, se non fosse espressa revelazione, come detto è, attienti alla parte più sicura, acciocché fuggiamo lo inganno e la malizia del dimonio, perocché con questo amo del desiderio ci pigliarebbe. Nella bocca tua dunque stia il silenzio o uno santo ragionamento delle virtù e spregiamento del vizio: il vizio che ti paresse cognosciare in altrui, ponilo insiememente, ed a loro ed a te, usando sempre una vera umilità; e se in verità quello vizio sarà in quella cotale persona, elli si correggiarà meglio, vedendosi compreso così dolcemente; e dirà quello a te, che tu volevi dire a lui, e tu ne sarai sicura e tagliarai la via al dimonio. che non ci potrà ingannare, nè impedire la perfezione dell’anima tua. E sappi che d’ogni vedere noi non ci dobbiamo fidare, ma dobbianceli ponere dopo le spalle, e solo rimanere nel vedere, e nel cognoscimento di noi: e se alcune volte venisse caso che pregassimo particularmen’te per alcune creature, e nel pregare noi [p. 95 modifica]vedessimo in colui per cui è pregalo, alcuno lume di grazia, ed in uno,altro no, che è pur servo di Dio; ma paressetel vedere con la mente avviluppato e sterile, noi pigliare però per giudizio di difetto di grave colpa in lui, perocché potrebbe essare che’l tuo giù*, dizio sarebbe falso. Che alcuna volta addiviene, che pregando per una medesima persona, e l’una volta il trovarò con uno lume e con uno desiderio santo dinanzi da Dio, intanto che dello suo bene, pare che l’anima ingrassi; e un’altra volta il trovarai, che parrà che la mente sua sia dilonga da Dio, e tutta piena di tenebre e di molestie, che parrà che sia fadiga a chi prega di tenerlo dinanzi a. Dio. Questo addiviene alcuna volta che può essare per difetto, che sarà in colui per cui è pregato, ma il più delle volte non sarà per difetto; ma sarà per sottraimento che Dio averà fatto di sè in quella anima, cioè, che si sarà sottratto per sentimento di dolcezza e di consolazione, ma non per grazia; unde sarà rimasta la mente sterile, asciutta e penosa, la quale Dio fa sentire a quella anima che ne prega; e questo fa Dio per grazia di quella anima che riceve l’orazione, acciocché insiemement

con lui aiti a dissolvere la nuvola. Sicché vedi, suora mia dolce, quanto sarebbe ignorante e degno di. reprensionc quello giudizio che noi per questo semplice vedere giudicassimo che’l vizio fusse in quella anima: e però se Dio cel manifestasse cosi torbo e tenebroso, dove noi già abbiamo veduto, che elli non è privato di grazia, ma del sentimento della dolcezza del senlimenlo di Dio. Pregoti dunque te e me, ed ogni servo di Dio, che ci diamo a cognosciare perfettamente noi, acciocché più perfettamente cognosciamo la bontà di Dio; sicché col lume abbandoniamo il giudizio del prossimo, e pigliamo la vera compassione con fame d annunziare le virtù e di riprendere il vizio, e in noi ed in loro per lo modo detto di sopra.


111. Detto abbiamo dell’ una, ma ora ti dico delT altra, la quale io ti prego che noi riprendiamo in [p. 96 modifica]\ 9e ....

noi; se alcuna volta il (limonio o il nostro pessimo parere, ci molestasse di voler mandare o‘ vedere andare tutti i servi di Dio per quella via che andiamo noi, perocché spesse volte addiviene, che vedendosi andare per la via della molta penitenzia, tutti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi vada, ne piglia dispiacimento e scandalo in se medesimo, parendoli che non facci bene, ed alcuna volta addiverrà, che farà meglio colui e più virtuoso sarà. Poniamo che non facci tanta penitenzia quanto quello che mormora, perocché la perfezione non sta m macerare ed in uccidere il corpo, ma in uccidere la propria e perversa volontà; e per questa via della volontà annegata sottoposta alla dolce volontà di Dio, dobbiamo desiderare che tutti vadano. Buona è la penitenzia ed il macerare del corpo, ma non mel pollare per regola a ogni uno, perocché tutti i corpi non sono agguagliati; ed anco, perchè spesse volte addiviene, che la penitenzia che si comincia per molti accidenti che possono addivenire, si conviene lassare.

Se il fondamento dunque, o in noi o in altrui facessimo, o facessimo fare sopra la penitenzia, verrebbe meno, e sarebbe sì imperfetto, che mancarebbe la consolazione e la virtù nell’anima, perchè sarebbe privato di quella cosa che elli amava, e dove elli aveva fatto il suo principio, e parrebbeli essare privato di Dio; e parendoli essare privato di Dio verrebbe a tedio ed a grandissima tristizia ed amaritudine, e nella amaritudine perderebbe 1’ esercizio e la fervente orazione la quale soleva fare. Sicché vedi quanto male ne seguitarebbe per fare solo il suo principio nella sua penitenzia, perocché noi saremmo ignoranti e caderemmo nella mormorazione, e verremmone a tedio ed a molta amaritudine, e studiaremmo di dare solo operazione finita a Dio, che è bene infinito, il quale ci richiede infinito desiderio. Convienci dunque (are il fondamento in uccidare ed in annegare la propria e perversa volontà,

con essa volontà sottoposta alla t

[p. 97 modifica]97 volontà di Dio, daremo dolce, ed affamato, ed infinito desiderio in onore di Dio e salute dell anime; e così ci pasciaremo alla mensa del santo desiderio detto, il quale desiderio non è mai scandalizzato nò in sè, nè nel prossimo suo, ma d’ ogni cosa gode e trae il fruito. Dolgomi, io miserabile, che non seguitai mai questa vera dottrina, anco ho fatto il contrario, e però mi sento d’ essare caduta spesse volte in dispiacere ed in giudizio del prossimo; unde ti prego per amor di Cristo crocifisso, che in questa ed in ogni altra mia infirmità ponga rimedio; sicché io e tu cominciamo oggi ad andare per la via della verità, alluminate in fare il vero fondamento nel desiderio santo, e non fidarci de’nostri pareri e vederi; perocché leggiermente non escissemo di noi e giudicassimo i difetti del nostro prossimo, se non per compassione e reprensione generale. Questo faremo, notricandoci alla mensa del santo desiderio; in altro modo non potremo, perocché del desiderio abbiamo il lume, ed il lume ci dà desiderio, e l’uno notrica l’altro. E però dissi ch’io desideravo di vederti con vero lume. Altro non dico. Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesi, amore. [p. 98 modifica].Annotazioni alla Lettera. 162.

(A) Questa suor Daniella d’Orvieto, come si può vedere dalle lettere della santa, fu donna di gran bontà di vita, e singolarmente intenta ad affliggere il corpo colle penitenze, nf d’ essa in’è giovato far diligeuza per averne altra notizia. Quattro lettere le scrisse santa Caterina, uia tre sole erano poste nell’ ordine dovuto loro nelle antiche impressioni. Poiché la prima, per essere in parte indii izzata ancora a Fra Guglielmo d’Inghilterra, fu posta tra le altre, cbe sono a’religios’ eremitani, ed era la 135, ma ora ’ la 124.

(B) Vedi dunque. Questa lettera essendo propriamente una giunta ad altra già posta al numero ia4, e con quella legandosi, è ben naturale che potesse incominciare con tal forma che accenna e si richiama al precedente: Vedi dunque. La presente lettera adunque è parte d’una lunghissima indirizzata a suor Daniella; e volendola altri per intero, può prendere quella già,accennata ch’è ora al numero 124, e poi la lettura d’essa contiuuare a scorrere questa, che tutta così V atcrà per iutero.