Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 141
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260 A MISSEU MATTEO . * * * P RETTORE DELLA CHIESA DELLA MISERICORDIA DI SIENA ’ MENTRE CHE ESSA ERA A PISA.
I. l/esorta ad infiammarsi nel fuoco d’nna vera carila, mostrando come questa virtù c’ unisca ■ perfettamente con Dio, e da essa ne nasca la car ta verso i prossimi, e Io stimola singolarmente ad ajutare coll’orazioni gli estremi bisogni di janta Chiesa, privandosi d’ogni amor proprio ed annegandosi nel sangue di Gesù Cristo.
/Il nome eli Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I* voi, dilettissimo e carissimo figliuolo in Cristo Jcsìì. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi infiammato tutto d’amoroso fuoco, sì e per sì fatto modo, che diventiate una cosa colla prima dolce Verità; e veramente l’anima, che per amore ò unita e trasformata in lui, fa come il fuoco, che consuma in sè 1’ umido delle legna, e poi che sono bene riscaldate sì l’ardeconverte in sè medesimo, dandoli quello colore e caldo, c potenzia, che egli ha iti sè medesimo: così l’anima, che ragguarda il suo Creatore e la sua inestimabile carità con la quale comincia l’anima a sentire il caldo del cognoscimento di sè medesimo; il quale cognoscimento consuma ogni umido
261 d’ amore proprio di sè medesimo, crescendo il caldo, giltasi coll* afforcato desiderio nella smisurata bontà di Dio, lo quale trova Mi sè. Allora parlicipa del caldo e della viri# sua, perciocché subito diventa gustatore e mangiatore delle anime, ed ogni creatura ragionevole converte in sè medesimo per amore e desiderio il colore e sapore delle virtù, che egli ha tratto dal legno della santissima croce, che è l’arbore venerabile dove si riposa il frutto dell’Agiiello immaculalo Dio ed uomo.
Or questo è quello frutto suavissimo, il quale vuole dare all’anima per participare col prossimo suo, e veramente così, è, che non potrebbe nè dare, nè producere nitro frutto, che quello che abbia tratto dall’arbore della vita, perocché s’è innestalo d’amore e desiderio in esso arbore, perchè era veduta e cognosciuta la larghezza della smisurata sua carità. 0 figliuolo dolcissimo e carissimo.in Cristo Jesù, questo desidera l’anima mia di vedere in voi, acciocché il desiderio di Dio e mio sia adempiuto in voi: si vi prego e vi comando, che sempre siate sollicito di consumare ogni umidezza d’amore proprio di negligenzia e d’ignoranzia; cresca il fuoco del santo e smisurato desiderio inebrialo del sangue del Figliuolo di Dio. Corriamo come alfamali dell’ onore suo e della salute della creatura: arditamente li folliamo il legame, con lo quale fu legalo in sul legno della santissima croce, leghiamoli le mani della sua giustizia. Ora è il tempo di gridare, di piagnere, di dolerci: il tempo è uoslio, figliuolo, perocché è perseguitata la Sposa di Cristo da’cristiani falsi membri e putridi (//), ma confortatevi, che Dio non dispregierà le lagrime, sudori e sospiri, che sono gittali nel cospetto suo. L anima mia nel dolore gode ed esulta, perocché tra le spine sente l’odore della rosa, che è per aprire. Dice la prima e dolce \ erità, che con questa persecuzione adempie la volontà sua (B), ed i desiderii nostri; ancora godo cd esulto del dolce fruito, che s’è fallo in Crislo in terra sopra i falli del sanlo S. Caterina. Optre. T. V. 17 262 passaggio (C), ed ancora di quello che è fatto e fa qui, ed è per fare (Z) per la divina grazia. Ajutatemi, figliuolo mio; inebriatevi nel sangue dell’Agnello. Non voglio dire più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio, facendo sempre riposo ai rami dell’arbore vero della santissima croce. Jesù dolce, Jesù amore. ’ i?» i *.. * Annotazioni alla Lettera 111.
(A) Va cristiani falsi membri e putridi. Cioè da’popoli ribelli alla Chieda, e da quei che le aveano mossa gneira al tempo di Gregorio \l, e che perciò erano incorsi nelle «agre censore del pontefice.
(Z?) Con questa persecuzione adempie la volontà sua. I disordini dell Italia, cioè la ribellione delle città ch’erano soggette alla Chiesa, e la guerra della repubblica di Firenze col pontefice ebbero gran parte in fare che Gregorio XI desse ad effetto l’antico proponimento di rimettere la sedia apostolica nella città di Roma dopo esserne stata settanf anui in Aviguone.
(C) Sopra i fatti del santo passaggio. Assai volte s’ è accennato come sempre il pontefice Gregorio \l ebbe in cuore la gnerra contro agl’ infedeli, dandosi talora qualche principio ad alcuna spedizione di genti alla volta dell’Oriente, ma senza vernn buon effetto. In qneste imprese dierono prove grandissime del loro valore i Sanesi, essendovi andati non una sola volta a guerreggiare gli infedeli, ftella prima mossa delle armi cristiane si segnarono a croce mille Sanesi, o come altri scrivono dne mila capitanati da Bonifacio Gricci nobile di questa città, e si unirono alle geni’, che conduceva il bravo Boemondo principe di Calabria e di Puglia. Cinquecento giovani nobili vi passarono Panno 1146, seguendo le insegne delTimperadore Corrado e del re Luigi il giovine di Francia.
Altri 5oo della nobiltà più fiorita a proprie spese si crociarono Panno 11S7, andandone nell’armata pisana a lavorare i disegni dell’ i inperadore Federigo I, avendo per condottieri dne de’pritni signori di questa città Giovanni Ugorgieri e Stefano Aldobrandini degli Arsocchi. Il 1217, a’conforti del pontefice Onorio HI, che scrisse a quesl’effetto un breve a questo pubblico, tolsero la croce 900 Sanesi comandati da Guido del palazzo de’Bandintlli, che fu pel suo valore fatto cavaliere, e ne ottenne la palla azzurra, enlroii un cavaliere armalo in atto di correre la lancia, da aggingnere all’arma gentilizia. In ulti no il pontefice Pio lì, mentre «li persona volea fare il passaggio accompagnalo da buon numero de’suoi concittadini sMiesi, mancò di vita in Ancona, e con esso si morirono le speranze della cristianità afflitta, che tutto si prometteva del coraggio e dalla prudenza di si degno pontefice.
(D) Di quello eli e fallo e fa qui, ed è per fare. Si portò santa Caterina del t3)5 a Pisa, non pel suo viaggio d’Avignone, come ad allro Inogo s’avvrsò, ma alle calde istanze di molte divole persone e d’ordine di Cristo Signor nostro, come riferiste il beato Raimondo; e v’ indugiò parecchi de’ mesi alle preghiere di quell arcivescovo che n’aiea rirhiesto lo stesso generale, come ella accenna nella lettera 106. To questa lunga dimora molto s’ adoperò a beneficio dell’ anime, riportandone copiosa ricolta ’/ come eràle stalo promesso dal Signore^ e no dà. testimonianza il beato Raimondo che le fu compagno. Tenne la città in divozione del pontefice contra gP inviti de’Fiorentini, e molli d’ essa le si dierono per discepoli nello spirito.