Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 132

Lettera 131 Lettera 133

[p. 220 modifica]220 A FRATE JERONIMO DA SIENA dè’frati eremiti di s. augustino (A).

I i «. ’ 1 ,1 Olii.(»*). r ! ’. t, I. Desidera far con esso la pasqna desiderata già da Gesù Cristo, cioè di cibarsi alla mensa della croce dell’Agnello svenato ’ * ’, per nostro amore, mostrando come per far questa pasqna è necessario spogliarsi dell’ amor proprio e vestirsi della vera carità, quale s’acquista col conoscimento di sè

della divina bontà in sè: onde s’accende in noi il desiderio di patire per Gesù Cristo.


II. L’ esorta all’amore della croce, all’ obedìenzia ed altre virtù.

III. Desidera vederlo seminatore della parola, solo per «uà gloria e per salute dell’ anime, non per propria utilità, dimostrando il modo d* amare perfettamente le creature.

ÀI nome di Jesu Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I- voi, dilettissimo

carissimo padre e figliuolo in Cristo Jesù. Io Catarina, serva c schiava de’ servi di Dio, scrivo nel prezioso sangue suo, risovvenendomi della parola del nostro Salvatore, quando disse ai discepoli suoi: Con desiderio io ho desiderato di fare la pasqua con voi prima che io muoja; così dico a voi, frale Jeronimo, padre e figliuolo mio carissimo. E se mi domandaste che pasqua desidero di fare con voi, rispondovi: non ci è altra pasqua se non quella del-, l’Agnello immacolato, cioè quella medesima che fece egli di sè a dolci discepoli. O Agnello dolce, arrostito

[p. 221 modifica]al fuoco della divina carità ed allo spedone della santissima croce. 0 cibo suavisissimo pieno di gaudio e di letizia, e consolazione. In te non manca cavelie, perocché all’anima che ti serve in verità, tu gli se’fallo mensa, cibo e servitore: bene vediamo noi che il padre c’è una mensa, ed è letto dove l’anima si può riposare; e vediamo il Verbo dell’ unigenito suo figliuolo che l: s’è dato m cibo con tanto fuoco d’amore.

Chi le l’ha porto? il servitole dello Spirito Santo, e per lo smisurato amore che egli ci ha non è contento che siamo servili da altri, ma esso medesimo vuole essere il servitore. Ora a questa mensa desidera 1’ anima insiememenle con voi di far pasqua prima che io muoja, perocché passata la vita non la potremo fare; e sappiate, figliuolo mio, che a questa mensa ci conviene andare spogliati e vestiti: spogliati dico d’ oj ni amor proprio e piacimento del mondo, di negligenzia, e d) tristizia e di confusione di mente, perocché la disordinata tristizia disecca l’anima; e dobbianci vestire dell’ardentissima sua carità; ma questo non possiamo avere se l’anima non apre l’occhio del cognoscimento di sè medesima, sicché vegga sè 11011 essere e come siamo operatori di quella cosa che non è, e perchè noi non cognosciamo in noi la infinita bontà di Dio, perocché quando 1’ anima ragguarda il suo Creatore e tanta infinita bontà quanta trova m lui non può fare che non ami, e 1 amore subito il veste delle vere e reali virtù, ed innanzi eleggiarebbe la morte che far cosa contraria a colui che elli ama, ma sempre cerca con sollicitudin

di far cosa che gli sia in piacere, unde subito ama ciò che elli ama,,ed odia ciò che egli odia, perocché per amoie egli è fatto un altro lui. Questo è quello amore che ci tolle ogni negligenzia, ignoranzia e tristizia, perocché la memoria si leva a fare festa col padre, ritenendo nella memoria sua i benefìzj di Dio, lo intendimento col figliuolo, unde con sapienzia, e lume, e cognoscimento cognosce, c ama la volontà di Dio, e leva subito l’a*

[p. 222 modifica]more ed il desiderio suo, e diventa amatore della somma ed eterna Verità, intanto che non. può, nè vuole amare altro, nè desiderare se non Cristo crocifisso, e non gli diletta altro, se non di portare gli obrobrii e le pene sue, e tanto gli diletta e gli piace, che elli ha sospetta ogni altra cosa: le pene, gli scherni, e le persecuzioni del mondo e del dimonio se le reputa gloria a sostenere per Cristo.

II. Accendete dunque, accendete il fuoco del santo desiderio, e ragguardate l’Agnello svenato in sul legno della santissima croce; perocché in altro modo non potremo mangiare a questa dolce e venerabile mensa!

fate, che nella cella dell’anima vostra stia sempre piantato e ritto l’arbore della santissima croce, perocché a questo arbore coglierete il frutto della vera obbedienzia, della pazienzia e della profonda umilità, e morrà in voi ogni piacimento ed amore proprio, ed acquistarete la fame d’essere mangiatori e gustatori dell’anime, vedendo che per fame della salute nostra e dell’ onore del padre eli» s’è umiliato e dato sè medesimo all’obbrobriosa morte della croce, siccome pazzo ebbro ed innamorato di noi (./?). Or questa è la pasqua che io desidero di fare con voi.

III. E perchè abbiamo detto, che dobbiamo essere mangiatori e gustatori dell’anime, questo desidera l’anima mia di vedere in voi, perchè sete banditore della parola di Dio: voglio dunque che siate uno vasello di elezione pieno di fuoco d’ardentissima carità a portare il dolce nome di Jesii, e seminare questa parola incarnata di Cristo nel campo dell’anima; ma iuvitovi, e voglio, che. ricogliendo il some, cioè, facendo frutto nelle creature, "voi il riponiate nell’onore del Padre Eterno, cioè, dando l’onore e la gloria a lui, e perdendo ogni gloria e piacimento di voi medesimi, perocché altrimenti saremo ladri, e furarono quello che è da Dio, e daremolo a noi, ma credo cli

perla grazia di Dio questo non tocca a noi, che certa mi pare essere, che il primo movimento e principio è solo per

[p. 223 modifica]223 onore di Dio e salute delle creature; ma bene ci cade spesse volte, cioè, alcuno piacere di noi nella creatura; ina perchè io voglio che siate perfetto, e rendiate frutto di perfezione, non voglio che amiate neuna creatura, nè in comune, nè in particulare, se non solamente in Dio; ma intendete in che modo io dico, che io so bene che voi amate in Dio spiritualmente, ma alcuna volta, o per poca avvertenzia, o perchè l’uomo ha natura che lo inchina, come avete voi, ama spiritualmente, e nell’amore piglia piacere e diletto, tanto che alcuna volta la sensualità ne piglia la parte sua pur col colore dello spirito. E se mi diceste: a che me ne posso avvedete, che ci sia questa imperfezione? Dicovelo, quando voi vedeste quella persona che è amata mancasse in alcuna cosa verso di voi, cioè, o che non vi facesse motto, secondo i modi usati, o che vi paresse che amasse un altro più che voi, se allora vi cade uno sdegno ed uno colale mezzo dispiacimento, allentando l’amore che prima v’era, tenete di fermo, che questo amore era ancora imperfetto. Che modo ci è dunque di farlo perfetto? ?son vi dico altro modo, figliuolo carissimo, se non quello che una volta la prima Verità disse ad una sua serva, dicendo: Figliuola mia carissima, io non voglio che facci come colui che trae il vasello pieno d’acqua dalla fonte, e bevelo poiché l’ha tratto fuore, e così rimane voto e non se n’avvede, ma voglio, che, empiendo il vasello dell’anima tua, facendoci una cosa per amore ed alleilo con colui che tu ami per amore di me, noi tragga punto di me fonte d’acqua viva, ma tiene la creatura, che tu ami per amore di me, siccome vasello nell’acqua, ed a questo modo non sarà voto nè tu, nè cui tu ami, ma sempre sarete pieni della divina grazia e del fuoco dell’ardentissima carità, ed allora non vi cadrà nè sdegno nè dispiacimento alcuno, perocché colui che ama, perchè vedesse molti modi, o dilungare dalla sua conversazione, mai non n’ha pena afiliggitiva., purché elli vegga e senla, che viva con le dolci e reali virtù, perocché l’amava [p. 224 modifica]22/j.

per Dio, e non per sè. Bene sentirebbe nondimeno una santa piccola tenerezza, quando si vedesse dilungare da quella cosa che ama. Or questa è la regola ed il modo eh io voglio che teniate, acciocché siate perfetto. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore.

... *.. t ’ i.. ’ [p. 225 modifica]225 Annotazioni alla Lettera 132.

(J) Qnesto fra Gerolamo da Siena religioso eremitano «li s. Agostino Don potè esseie figlio di Nicolò Bnrtolino dell’ illustre famiglia de’ Bonsignoii di Siena come «svisò monsignor Lan1 ucci nell’elogio che forma di costui. Poiché quel Fra Gerolamo della famiglia de’ Bonngnori, di cui parla il Landucci, fece la sua professione nel 1433, come consta da scritta che serbasi in quel convento, e morì nn giugno del 149^ d’anni 99, di che dorrebbe esser nato del 396, cioè 16 anni poi la morte della scinta ec. Bisogna credere adunque che questi fosse altri da colui, sebbene somigliante di nome, di patria e di ordiue ec. Del resto di lui parla il Griffe ri ni nel processo fatto del 1411, e ne parla come d’uomo di molto credito e tuttora mente nel mooistero di Lecceto.

(Z?) Siccome pazzo ebbro ed innamorato di noi. Questo modo di dire usato dalla santa nel parlare dell’amore di Cristo verso gli uomini vnolsi intendere dell eccesso di carità onde, poiché aievamo provocala l’ira d lui, a tanto suo costo ei ci volle ricomperare!

de’ somiglianti occorrono non rado iie’ferrorosi trasporti d’altri santi.