Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 130
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209 A FRATE ANTONIO DA NIZZA de’ FRATI EREMITANI DI S. AGOSTINO AL CONVENTO DI LICCIETO DI SIENA (A).
I Del fero fondamento che dobbiamo fare sopra la vira pietra Gesù Crislo, cioè come dobbiamo sempre cercare la salute dell’anime e la riforma di santa Chiesa, solo per !a gloria di Dio, e non per ambizione, o propria consolóiiione, nè secondo il modo che a doì più piace, al che esorta il nominato Fra Antonio.
11. Si duole con esso di Fra Guglielmo, che recusava andare a Roma per gli affari di santa Chiesa, come gli era stato comandato dal papa, scusandosi con pretesti di virtù.
Slatterà; ISO.
Al Nome di Jesù Cristo crocifissodi Maria dolce.
I. ilarissimo figliuolo in Cristo dolce Jesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata sopra la viva pietra Cristo dolce Jesù, acciocché 1*edificio che ci porrete su non caggia mai per veruno vento contrario che vi percuotesse, ma tutto solido., fermo e stabile perseverante infino alla morte per la via della velila. O quanto ci é necessario questo vero e reale fondamento, non cognosciuto da 2 1 0 me ignorante, che se io il, cognoscesse in verità, non farei il fondamento sopra me medesima, che son peggio che rena, ma sopra la viva pietra di sopra delta, seguitando Cristo per la via degli obbrobrii, scherni e villanie; io mi priverei d’ogni consolazione per potermi conformare con lui da qualunque lalo elle si vengano, o dentro o. di fuora, non cercarei me per me, ma solo attenderei all’onore di Dio, salute dell’anime e reformazione della santa Chiesa, la quale veggo in tanto bisogno. Misera me, che fo tutto il contrario!
si possa gloriare altro che nelle fadighe, ma pare a me che il lume ci manchi, abbacinali dalle nostre consolazioni, e speranza posta in rcvelazioni, le quali cose
21 ( non ci lassano bene cognoscere la verità Poniamo, che con buona intenzione si faccia, ma Dio, il quale è somnnt ed eterna bontà, ci dà perfetto e vero lume. Non ini stendo più sopra questa materia.
II. Parm secondo la lettera, che frate Guglielmo ni’ha mandata, che nè egli, nè voi ci veniale (C). alla quale lettera io non intendo di rispondere, ma molto mi duole della sua simplicità, perchè ne seguita poco onore di Dio ed edificazione del prossimo, perocché se egli non vuole venire per umilità e timore di non perdere la pace sua, doverebbe usare la virtù dcH’iimililà, chiedendo umilmente e con mansuetudine licenzia al vicario di Cristo, supplicando alla santità sua che gli piacesse lassarlo stare al bosco per più sua pace, rimettendola nondimeno nella sua volontà, siccome vero obbediente, e così sarebbe più piacevole a Dio, e farebbe utilità all’anima sua, ma mi pare che egli abbi fatto tutto il contrario, allegando, che chi è legato all’obbedienzia divina, non debbe obbedire alle creature. Dell’altre poco curarei, ma che egli ci metta il vicario di Cristo, questo molto mi duole, vedendo lui tanto scordare dalla verità, perocché l’obbedienzia divina non ci trae mai da questa, anco quanto più è perfetta quella, tanto è più perfetta questa, e sempre al comandamento suo dobbiamo essere sudditi ed obbedienti infino alla morte; quantunque la sua obbedienzia paresse indiscreta e privasseci della pace e consolazione della mente, noi dobbiamo obbedire, e facendo il contrario, reputo che sia grande imperfezione ed inganno del dimonio. Pare, secondo che egli scrive, che due servi di Dio abbiano avuto grande rivelazione (/?), che Cristo in terra, e chi l’ha consigliato che esso mandi per questi servi di Dio, abbino seguito consiglio umano e non divino, e sia stata più tosto instigazione di dimonio che spirazione di Dio,’ per volere trarre i servi suoi della pace e consolazione loro; dicendo che se voi e gli altri veniste, ancora perdereste lo spirito, e così non potreste sovvenire con l’orazione, nè stare in ispirilo col santo padre. Troppo 31 2 sta attaccato leggiero lo spinto, se per mutare luogo si perde: pare che Dio sia accettatore di luogo, e che si trovi solamente nel bosco, e non altrove nel tempo della necessita. Adunque che diremo, che dall’una parte desideriamo che sia riformata la Chiesa di Dio, siane tratte le spine, e messici i fiori odoriferi de’servi di Dio; e dall’altro lato diciamo, che’l mandare per loro, e trarli dalla pace e quiete della mente, perchè vengano a sovvenire a questa navicella, sia inganno del dimonio. Almeno parlasse per sè medesimo, e non parlasse degli altri servi di Dio, che nei servi del mondo non ci dobbiamo noi mettere. Non hanno fatto così frate Andrea da Lucca (E), nè frate Paulino (F) così grandi servi di Dio, antichi e poco sani, stati tanto tempo nella pace loro, ma subito con loro fadighe e malagevolezza si misero in via, e sono venuti, e compita hanno la loro obbedienzia e come che’l desiderio gli stringa di tornare alle celle loro, non vogliono perciò partirsi dal giogo, ma dicono quello ch’io ho detto sia per non detto, annegando le loro volontà nelle proprie consolazioni, chi viene per sostenere, e non per prelazione, ma per la dignità delle molte fadighe, con lagrime, vigilie e continue orazioni, così debba fare. Or non ci graviamo più di parole; Dio per la sua misericordia ci mandi schietti, e guidici per la via della verilà, e diaci vero e perfettissimo lume, acciocché mai non andiamo in tenebre. Pregovi voi ed il baccelliere (G), é gli altri servi di Dio, che preghiate l’umile Agnello, che mi facci andare per la via sua. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.
Jesù dolce, Jesù amore. Annotazioni alla Lettera 130.
.. t (A) Frale Antonio ila ftura, religioso ancor esso agostiniano, e del saqro eremo di Leccalo, fu carissimo a questa santa Tergine, ed uno dei suoi fedeli discepoli. Era egli della città di ?mzi, che posta di qua dal fiume Varo, ma di là dalle Alpi, rimane in conlesa se spetti all’Italia, o pure alla Francia. Fu compagno nella solitudine e nell’anslerila del vivere a Fia Guglielmo, come ce n’assicura ser Crisloforo di Gano più volle allegato; onde e tifo fu in alta stima di consumata perfezione alle genti, e morto Panno 13Q2, ebbe l’onore d’essere appellato bealo dai suoi religiosi. Tre letlere scritte ad esso da santa Caterina s’hanno, essendo però l’una d’esse comune anche a Fra Guglielmo, e d’esso la santa favella in altre non poche. La presente lettera tro»asf nell’antiche impressioni posta due volte, cioè al numero 7 1 eil al numero m, con fallo strano, singolarmente, se chi si tolse la cura d’adunarle per In stampa, .*i faticò intorno per venti anni, come ne assicura nel primo foglio di quell’opera della impressione d’Aldo; giacché non questo iP unico in cni cadde, atendone trovate altre otto replicate per puro abbiglio. La lettera settantesima prima non variava dalla cenloquarantuna, che nel suo titolo, poiché ove in questa leqgeasi:l nome di frate. Antonio, in quella vedeasi scritto don Antonio senza »ernn altro agomhto, onde quasi egli fosse un monaco, era la lettera posta tra quelle dirizzate a diversi monaci. Ma che di venta non sia essa scritta ad alili fuorché a questo religioso eremitano sarj chiarissimo a chiunque inchinerà gli occhi a leggerla vergendo, ed avere essa connessione colla lettera centovent »ette inviata a frate Antonio ed a Fra Guglielmo, e che anzi sembra la presente lettera scritta al bisogno di Fra Guglielmo, che per necessità che n’avesse frate Antonio, essendone la parte rnagg-ore discesa a riprensione di quello.
(lì) Siccome faceva il glorioso sant’ Antonio. Gli adduce "n esempio sant’Anton’o abate, coi egli assimigliavasi nel nome e nella vita di romito. Questo gran santo a dare ajoto a cri stia o. perseguitati da’ nemici di nostra religione n’ando ’n Alessandria, «bbandonando la solitudine, come narrasi nella sua Leggenda al capitolo decimequinto.
„ (C) Partii* secondo la lettera, che frate Guglielmo m ha mandata, che nè egli-, nè voi ci vernate. Agl’inviti fatti a Fra Guglielmo dalla santa colla lettera 12.7 a?ea questi risposto ricasando d’ uscire dalla solitudine per andarne a Roma, e di questo stesso sentimento era pur anche frate Antonio. ?iè dovrà sembrare altrui strano, che in ciò non s’accordassero la santa e questi buoni religiosi, essendo già a tutti note le dissonanze ne’sentimenti tra s. Pietro e s. l*ao■S.
Caterino. Opere. T. V.. 14 2 l 4 lo; s. Girolamo e s. Agostino, senza lesione veruna della carità, slandò unite le volontà nell’unico fine di piacere a Dio; per nulla dire di quelle tra s. Stefano papa e s. Cipriano; s. Leone e s.Ilario, che riuscirono più strepitose, e per poco non ne sconcertarono ancora gli animi. Che frate Antonio (avvegnaché non fosse egli de’ nominati nel breve del pontefice) soggettasse il suo piacere a quello d’Urbano e di santa Caterina, e si portasse a Roma, ove molto faticasse a prò di santa Chiesa si testifica da monsignor Landacci.
Le sne parole sono le seguenti: Ea prcosfitit doctrince, et virtutum celsitudine, ut ben tee Cathnrince Senensis, et Urbani VI pnpee ad èjus improbissimi seeculi turbines sedandos li Iter is, nuntiisf/ue lìornam accersirelur. Qunrr prò sonda Ecclesia ad vitee usque discrì rnen1 diufiiis, et gloriosius exantlnto labore requievit in Domino anno i3q2.. , (1) Che, due servi di Dio abbiano avuto grande revelazione. Come è d’anima poco pia 1’ ostinarsi a non dar fede alcuna alle rivelazioriì, co*; è d’animo leggere il dar credito a tutto ciò che dicesi aversi, per rivelato; singolarmente se ciò non bene accorditi alle regole che abbiamo per sicurissime. Tali erano queste addotte da Fra Guglielmo a sua difesa per coltrarsi dall’ubbidire al pontefice, essendo chiaro essere ciascheduno in debito di posporre le privale sue contentezze,, anche spirituali, alle fatiche che tornar possano in giovamento a tutta la Chiesa, singolarmente se intervengavi l’autorità del pastore supremo, cui dare ubbidienza tutti tenuti sono, ové ’aperta non veggasi l’offesa di Dio. A buona ragione è per tanto ripreso dalla santa questo religioso di troppa credulità a revelazìoni, le quali o erano finte, o al certo non poteano essere dal cielo.
(E) Non hanno fatto così frat’Andrea da Lucca. Di questo buon romito si «avellerà nell’annotazioni alla lettera i35.
(F) Nè frate Vaulino. Questi, al dire del Landucci, fu della città di Nòia, e romito pur esso di Lecceto, ed agl’insiti del pontefice abbandonò la solitudine quantunque grave d*età, e debile di salute per faticare nella vigna del Signore. Nella bolla o breve accennato di sopra non ù nominato questo Fra Paolino, essendo già fuori di Lecceto, e forse anche di Toscana, onde dovette ricevere altro ordine a. parte.
(G) Il baccelliere. Cioè Fra Guglielmo d’ Inghilterra, di cui»*è favellato di sopra.
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