Epistolario di Renato Serra/A Emilio Lovarini - 14 settembre 1904
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Cesena, 14 settembre 1904.
Ill.mo Sig. Pofessore,
dovrei incominciare questa lettera con farle le scuse e del silenzio lunghissimo e più di tante altre cose, di cui forse "fia laudabile tacermi". Ella saprà, o immaginerà facilmente il modo, come ho sciupato il mio tempo l’anno scorso, a Bologna, invece di attendere ai lavori, anche i più necessari. Onde ormai che la cosa è passata (e voglio sperare seppellita per sempre) mi dispenso dal parlarne più, e penso invece ad approfittare della sua tanto sperimentata cortesia, per consigliarmi e aiutarmi contro le difficoltà che mi combattono.
Ella intende ch’io voglio parlar della mia tesi; della quale fino ad ora non le ho mai fatto parola, se non così in aria, per vergogna di doverle scoprire la mia lunga trascuranza. Dunque, il lavoro che io l’anno scorso avevo immaginato era uno studio su La poesia allegorica d’argomento amoroso, considerata specialmente nelle sue relazioni col provenzale. Argomento non nuovo, ma sul quale io speravo di poter raccogliere ed esporre alcune mie osservazioni in un modo forse nuovo; chiarendo la esistenza di quella poesia come genere letterario a sè, la sua importanza per la cultura e il risorgere dell’erudizione in Italia, la sua efficacia su la letteratura poetica: prendendo le mosse dai Siciliani, occupandomi specialmente dell’intelligrnza, del Fiore, dei Poemi di Fr. da Barberino, per finire con un breve accenno dei Trionfi considerati come la conchiusione di quel genere.
Questo lavoro abbisognava di una lunga e diligente preparazione: spoglio dei [ms. canc.] provenzali e della lett. che si lega al Roman de la Rose; classificazione dei molti manoscritti italiani e zibaldoni di materia, dicò così, erudita; esame della lett. allegorica in latino, degli accenni che nella poesia narrativa, francese, dei sec. XII E XIII si notano verso le forme che furono poi di questi poemi, etc. etc.; lavoro che io, pur avendo molto materiale già raccolto alla rinfusa, non ho compiuto in nessun modo. Sì che, quando a maggio pensai che dovevo pur presentare una tesi di laurea, mi acconciai a mettere insieme alla spiccia un discorso sui Trionfi. Non so se per fortuna, o per disgrazia, mentre stavo distendendolo mi capitò una questione con Brizio1, che non mi volle lasciar dare il suo esame alla prima sessione, e ho dovuto rimetter la laurea a ottobre.
Venuto a Cesena, nelle prime settimane sono stato assorbito dagli studi e dalle letture per lungo tempo intermesse; e verso la metà di agosto ho rivolto il pensiero alla tesi, che in questi giorni sto raccogliendo di su le carte sparse e scrivendo seguitatamente, con l’intenzione di venire, agli ultimi del mese, a Bologna per corredarla delle note più necessarie e ricopiarla.
Ma intanto vorrei esporne a Lei il contenuto, per sentire se, così com’è, le paia, o meno, conveniente a una laurea. Lavoro erudito non è, perchè m’è mancato il tempo e, stando a Cesena, il modo di consultare molte opere necessarie; sì che non so nè meno se le idee che vi espongo siano nuove - non conoscendo per intero quel che altri hascritto su l’argomento.
Io comincio con l’avvertire che la mia non è se non una preparazione a uno studio compiuto sui Trionfi; quale non sarà possibile se non dopo determinatone con sicurezza l’ordine e la lezione del testo. Io, non conoscendo lo stato dei codici, se non di seconda mano, lascio fuori queste questioni contentandomi ai resultati maggiori della critica moderna - dal Pasqualigo al Mestica all’Appel (di cui per fortuna ho e conosco bene la grande edizione critica dei Tr. Ma non conosco i lavori, che devono essere usciti ultimamente, di Fl. Pellegrini. Saprebbe ella indicarmeli?).
Osservo poi che il giudizio che il Petr. ebbe a fare della sua produzione volgare (raccolgo tutte le testimonianze; il nome spregiativo che dà a’suoi versi: fragmenta, nugellae, rime sparse; accuse di varietatem e ruditatem stili; luoghi di lettere in cui ne parla con dolore e disprezzo etc.) in confronto della latina, a cui sola affidava la sua fama (cfr. lett. al Boccaccio etc.), pur sincero, non restò sempre immutato. Un son. cui nessuno ha posto mente in particolare, delle r. in morte (293), "S'io avessi pensato che sì care", considera le rime volgari come datrici di fama ed esercizio d’arte, e compiange di non averle fatte "più spesse e in stil più rare"; e segna un cambiamento profondo dai son. in vita 24 e 166, in cui si duole dell’amore perchè l’ha distolto dalle cure della gloria e dell’arte - cio è della poesia latina.
Di questa nuova concezione artistica, e dei desideri che gli svegliava in mente per incarnarla in un’opera ("or vorrei ben piacer") un documento prezioso è in una ep. latina (1360, l.I, 10) dedicatoria dei suoi versi latini giovanili; in cui parlando dell’amore che lo ispirò, con parole che rispecchiano fedelmente il son. proemiale "Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono" e l’altro "S’io avessi pensato", dice: tu, cui piacquero più di me le tenuia che le seria, accogli bene questa Musa giovanile incolta e discinta; ora essa attende a specchiarsi e ad ornarsi; e forse presto ti si farà innanzi in forma più degna; e finisce - dum maiora parantur....
Qui dunque è significato l’intendimento di fare, in volgare e su materia amorosa (la musa giovanile) non più fragmenta; ma un’opera grande regolare seguita; classica in somma e degna di un dotto. Saranno i Trionfi. I quali, prima non sono inclusi nella ediz. definitiva che il P. fece, vivo, delle sue rime (cod. vat. 3195 a); poi, sono nominati, separatamente dal Canzoniere, da contemporanei, poco tempo dopo la morte del P. - Se bene poi editori e critici li abbiano considerati come un’appendice, o parte III del Canzoniere.
I critici moderni dal Leopardi in poi hanno visto nei Tr. un ritorno alle ispirazioni amorose giovanili, una ripresa a freddo di vecchi motivi; un’opera mortificata dalla fredda erudizione medievale, avvivata qua e là di lampi lirici.
Io voglio dimostrare invece che il P. li pensò e lavorò con l’intendimento di fareun’opera, che nel volg. avesse nobiltà e dignità classica; che tiene quel posto, nel secondo periodo della sua vita letteraria, che ebbe l’Africa nel primo.
E’ noto: I: ch’egli la adornò con i più cari "fiori" della sua anteriore produzione artisticaa (che fino ad ora aveva tenuto ben da più che la volgare: poesis, carmina, versus; fragm., rime); in vero egli prende all’Africa la gemma dell’episodio di Masinissa e Sofonisba; ma anche dal l.VI tutta la myrtea silva degli amanti; e dal l.II (come notò
) tutta la concezione morale dei Trionfi - il Tempo che tr. delle cose mondane, l’Eternità del Tempo - e imagini e altro; così dal l. Rerum memorandarum etc.II: egli prese la sua materia dalla tradizione letteraria più eletta e più nobile delle nuove genti; intendo la concezione della storia del mondo, ordinata all’efficacia dell’amore; idea tutta provenzale. Inoltre, - ciò che ne spiega la popolartà immensa; molti più codici dei Tr. che del Canzoniere (Appel) - le forme di quel poema allegorico, che fa servire gli episodi e ornamenti eruditi a un insegnamento morale. Ma che "materia arida" e "morta erudizione"! Non c’era nulla, allora, di più vivace e interessante; (e qui mi valgo brevemente della materia dello studio altra volta disegnato; e cerco di mostrare il luogo che spetta ai Tr. nella lett. dotta, che aveva es. insigni in fr. il Roman de la Rose (letto dal P., com’ei dice; e forse ne trasse il quadro del sogno), in pr. le Corti d’Amore etc, in italiano, più oscuri, il Il Tesoretto, Intelligenza, Doc. d’Amore etc. E mi fermo a mostrare come, nelle forme, il P. abbia riprodotto quell’ordinamento degli episodi, come fregi e istorie di una galleria dipinta, introdotto nella poesia narrativa dai poemi della gesta classica che avevano gli scudi - le pitture della reggia di Didone, etc. - per ornamento; che ebbe luogo sempre più importante e finì per essere magna pars della poesia allegorica. Si ritrova nella sua purezza nella Intelligenza, nei Doc. d’Amore; ma è anche in Dante (esempi del Purgatorio); e poi nel Bocc., Amorosa Visione. Finisco col notare i rapporti che legano il Petrarca a quella antica poesia - e specialmente al da Barberino che come al Bocc. dovè esser noto a lui, per la iconografia, dirò così, dell’Amore e della sua corte.
La menzione di Dante e del Bocc. mi costringe a cercare di determinare i rapporti dei Trionfi con la Com. e l’Amorosa Visione - dalle quali egli ha ripreso la tradizione della poesia nobile in volgare. Le quali due opere ebbero una parte importantissima nella genesi dei Trionfi; i quali derivano essenzialmente dal c.V. dell'Inferno, in cui D. affigurò la valle dell’Amore, piena di antichi e moderni innamorati. Il disegno è identico nei versi di D.; anime ... Ch’amor di nostra vita dipartille -, e del P.; vidi l’anime triste di coloro Ch’anzi tempo di vita eran divisi (corretto poi per scemare la somiglianza in: Che per sua man ...). - Ma il P. non conobbe, afferma il Carducci su la fede di una sua ep., la Com. prima del ’59; il Trionfo d’Amore, sappiamo da una postilla autografa che fu incominciato qualche tempo prima del ’57, mostra come possibile e probabile ch’ei conoscesse quel canto "staccato" (e questo ci spiega molte altre cose).
Da D. dunque prende la terzina, il disegno del Tr. d’Amore, le determinazioni astronomiche in principio dei canti (diverso dal Canz.) e molti ricordi dissimulati qua e là nei versi - che io raccordo, come mi pare, quasi tutti - e anche in certe rime nuovamente usate, che paion proprio un ricordo della Com. (l’abitudine delle rime è la stessa sì nel Canz. sì nei Tr., ma certe novità sembrano eco di Dante).
Poi istituisco un cfr. a bastanza minuto col Boccaccio; ambedue trattarono la stessa materia, ma quanta distanza! La cultura e la rappresentazione nel Bocc. è tutta medievale, a cominciar dai nomi latini in -usse; nel P. invece è classica. E mi si apre la via alla parte III [poi cancellato].
III: il P. pose la novità dell’opera sua, in confronto a D., al Boccaccio, al Canzoniere, nella imitazione materiale e formale, dei grandi poeti latini (in una ep. egli nega ogni imitazione nelle rime volgari; non già nelle op. latine, di cui, secondo le teoriche del tempo, la dottrina e la imitazione classica costituiscono il maggior pregio. - Nei Tr. imita scopertamente).
E valendomi specialmente del Castelvetro e delle note dell’Appel, che raccoglie anche i più moderni, noto le imitazioni: da Lattanzio che ricorda un Tr. Cupidinis - e che è nel I Canto del Tr.d’Am. tradotto ad literam, da Prudenzio - battaglia della Pudicizia; gli elegiaci, e sp. Properzio per il disegno, e da Virgilio, Ovidio, Cicerone, Seneca (e Livio, Orazio, Giovenale), Lucano etc. per tutta quanta la materia. Onde i Trionfi si possono dire quasi una galleria di tutti i più rari "dipinti" della letteratura latina.
Ma non solo. Il P. non solo ha trattato di così nobili e dotte cose in volgare, ma ha voluto proprio far prova delle forze della lingua riproducendo da vicino i modi stessi dell’arte latina. I poeti sono tradotti quasi letteralmente, e in modo ben diverso da come gli elegiaci e Virg. sono spesso ricordati dal Canzoniere.
Che anzi tutto quanto lo stile e il tono dei Tr. è improntato dell’intendimento di serbare, come fu detto, nobiltà e dignità classica nel volgare.
I Tr. in vero confrontati al Canz. mostrano: nel lessico, una copia incomparabilmente maggiore di termini latini o latineggianti (ben diversamente da D. nel Paradiso, che lo fa per argomenti di teologia e di scienza) - fuor di rima; nella sintassi, una maggiore lunghezza e complessità del periodo poetico; uso tutto nuovo del relativo, staccato e lontano dal nome; descrizioni senza verbi finiti, per efficacia rappresentativa ("4 destrier vie più che neve bianchi" etc.); uso dell’accusativo di relazione ("vergine bruna i begli occhi e le chiome"; "faciem decorus et nigrum capillum" Or.) etc. etc. (modi non tutti nuovi, nelle traduzioni dal latino del 300; ma nuovi per l’intenzione e l’uso).
Eccole i luoghi capitali del mio discorso sui Trionfi; che ha due mancamenti maggiori: difetto di note e citazioni precise nella parte seconda; ignoranza dei lavori di Melodia (Studio sui Tr.), Scarano (Fonti provenzali dei Tr. in Atti dell’istit.nap. etc.), Proto (Studio sui Tr. in Strudi di l. it. di Zing. e Pèrcopo), di cui io non conosco che una buona recensione del bibl. di Padova2) per l’ultimo, e le citazioni dell’Aooel per i due primi. Conosco a bastanza bene invece i comenti del cinquecento, e li scritti su Dante e il PEtrarca di I. Mazzoni, Borghini etc.; e in generale, se non mi mancherà il tempo, l’ultima parte (III) credo che mi verrà non troppo male.
Io da Lei desidererei, se ha avuto la pazienza infinita di leggermi sin qui, un giudizio, d’impressione, sul lavoro; e che mi dicesse anche se le pare cosa nuova, o s’io ripeta, senza saperlo, altri. Fare il lavoro con maggior diligenza e, diciamolo pure, onestà letteraria, oramai non mi è possibile. La prego anche di non giudicarlo con quella finezza acuta e scrupolosa, che Le è abituale, e che certo desidererei se si trattasse di un lavoro da stampare, o di una tesi per cui io desiderassi una splendida votazione. No: il mio lavoro è fatto col solo intendimento di passare non troppo male, se bee non si può, l’esame. E quel che solo temo è di aver fatto, lavorando da solo e di testa mia, senza tenec onto d’altro quasi se non delle opere del Petrarca, una cosa a dirittura inaccetabile.3
Se dunque Ella avrà avuto tempo e voglia di dare un’occhiata a tutte queste chiachiere, me ne scriva poi a suo agio; e anche se non abbia potuto occuparsi di quanto Le chiedo; chè la Sua conversazione sarà per me sempre un vero regalo.
Mi scusi per la seccagine, e riceva, anche a nome della mia famiglia, e per la Sua, i più rispettosi saluti dal Suo.
P.S. Scusi anche la scrittura frettolosa e scorretta.
Note
- ↑ Edoardo Brizio, professore di Archeologia nella R. Università di Bologna.
- ↑ Andrea Moschetti, Direttore della Biblioteca Civica di Padova.
- ↑ Questa tesi fu pubblicata da ALFREDO GRILLI in "La Romagna", Imola, anno XVI; e subito dopo, con l’aggiunta di questa lettera e dell’altra del 22 gennaio 1905 diretta allo stesso suo professore, fu ristampataa a parte col titolo: RENATO SERRA, Dei "Trionfi" di F. Petrarca, con bibliografia, introduzione e appendice di ALFREDO GRILLI, Bologna, Zanichelli, 1929.