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9. A Francesco Cancellieri.
[Recanati 15 Aprile 1815]


Stimatissimo Signore

Avendo inteso che ella si era compiacciuta di destinarmi in dono una sua nuovissima opera, io mi disponeva a renderle somme grazie di questo inaspettato favore, ed attendea con impazienza il libro, per gustare il piacere della sua lettura. Io non avrei mai osato d’immaginarmi di vedere in esso parola di me. Di gratissima sorpresa mi fu il ricevere la desiderata opera, ma nel trovarla accompagnata da una obbligantissima lettera, e nel ravvisarvi entro il mio nome, io fui confuso, e sopraffatto di riconoscenza. Un uomo affatto sconosciuto, e che non può attendere una miglior sorte, vedendosi onorevolmente rammemorato in una egregia opera, non può non concepire sentimenti di gratitudine verso il benevolo autore. Egli ha diritto di sperare, che il suo nome giunga alla posterità con quello dell’insigne Scrittore, che ne ha fatta menzione. Noi non conosceremmo Achille, se Omero non ne avesse parlato, ma la immortalità del poeta garantisce quella dell’Eroe. Io mi veggo cosi assicurato di vivere alla posterità nei suoi scritti, come i grandi uomini vivono nei proprj. Ma io nomino Achille, e dovrei piuttosto rammentare Tersite. Non altro infatti che il luogo di questo infimo Greco, mi conviene nella sua opera, in cui infiniti esempj di prodigiosa dottrina, ricercati con ammirabile diligenza, e verificati con esat[p. 12 modifica]tezza geometrica s’incontrano ad ogni tratto. Io mi anniento nel vedermi innanzi a quei grandi personaggi, che abbracciavano tutto lo scibile colla estensione del loro sapere, e che la natura suol lasciare nel loro secolo senza competitore, in quella guisa che tolse Lucrezio dal mondo nel giorno, in cui Virgilio depose la pretesta, e Galilei nell’anno della nascita di Newton. Io ho divorato il suo libro; che non può essere letto altrimenti; come il librorum helluo, di cui ella parla. Ogni linea mi è sembrata preziosa, ad eccezione di quelle, in cui è fatta menzione di me. Non altri che il suo buon cuore potè farle dar qualche prezzo alle mie tenui fatiche, che non poteano attendere se non di esser sepolte nell’obblivione, e non altri che un insensato potrebbe dimenticare la gratitudine, che le debbo. Frattanto poiché si è compiacciuta già di farmene l’apertura, desidero che ella mi accordi il diritto d’incommodarla ancora qualche volta. Il commercio coi dotti non mi è solamente utile, ma necessario, ed io cercherò con ogni studio di profittare delle istruzioni, che ne riceverò. Sommo favore mi farà ella se vorrà significare all’illustre Sig. Cav. Akerblad i miei più vivi ringraziamenti per l’esame, che ha preso cura di fare del mio libro, e per il giudizio veramente giusto, e sensato, che non ha sdegnato di pronunciarne. Ella mi creda che conserverò verso di lui, egualmente che verso la sua persona una gratitudine immortale, e desidero che la mia età possa garantirmi dal sospetto di simulato. Spero che ella, e l’egregio Sig. Cav. non avranno a noja di esaminare similmente qualche altra debole produzione, che sarei in grado d’inviar loro. Il mio Sig. Padre, ch’ella m’impose di salutare nella sua compitissima, le ritorna i suoi più distinti ossequi, e si unisce meco a renderle grazie di ciò che ella ha voluto fare in mio favore. Se vorrà onorarmi dei suoi comandi, io profitterò con trasporto della occasione per accertarlo della verità delle mie espressioni, e della profonda stima, con cui mi dichiaro

Di Lei Stimatissimo Signore

Devm̃o Obbm̃o Servitore
Giacomo Leopardi

Recanati 15 Aprile 1815