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10. A Francesco Cancellieri.
Recanati 15 Luglio 1815

Stimatissimo Signore.

Era gran tempo che cercava l’occasione di richiamarmi in qualche modo alla sua memoria, giacché ella non era partito dalla mia. Il timore d’incommodarla, e di turbare indiscretamente i suoi troppo gravi studj, fece che io dilazionassi sino al momento, in cui giudicai di dovermi far superiore ad ogni scrupolo, pensando che avea finalmente a fare con un uomo, il quale fra tante cose aveva anche imparato a sopportare le molestie senza impazienza.

Riceverà dal mio Sig. Zio Cav. Antici, in mio nome, il disegno in abbozzo di una lapide con iscrizione mutilata. L’originale in marmo è qui presso di noi. La parola «Iustinian.» che vi si legge, e la seguente semiparola «...eratore», che significherà se non erro, «Imperatore», mostrano che abbiamo in esse un iscrizione [sic] del medio evo. Come tale infatti essa manca totalmente di quello, che il Card. Garampi chiamava legittimo sapore di sasso, e di bronzo. Nondimeno avrebbe potuto esser grata al raccoglitore delle iscrizioni di quel tempo il Sig. du Fresile. Tre lettere basteranno per racconciare la prima parola di cui nella iscrizione si legge solamente «...oria». Leggeremo dunque «Memoria» poiché alla prima parola della linea seguente mancano tre lettere cioè «Imp». Se volessimo prendere la parola «Dificatus» in significato di «Deificatus» non ci mancherebbono argomenti per appoggiare la nostra congettura. Nella lapide stessa avremmo l’Aquila, il famoso segno della Consecrazione. Potremmo osservare ciò che è già molto noto, che si continuò a divinizzare anche sotto gl’imperatori Cristiani. Se gli esempi di questo costume che il Panvini ha raccolti non vanno più oltre dell’impero di Graziano, ciò non mostra che dopo il tempo di questo Imperatore la consuetudine rimanesse abolita, ma solo che il Panvini non ebbe monumenti per continuar la sua serie. Curioso sarebbe il rimarcare, che il furbo Giurisconsulto Tri[p. 14 modifica]boniano dava ad intendere appunto a Giustiniano, che egli non morrebbe, ma in carne, ed ossa sarebbe trasportato in cielo a guisa degli antichi Semidei; il che equivale ad una specie di Divinizzazione. La cosa è riferita da Esichio Milesio, che vivea al tempo dello stesso Giustiniano, e da lui l’ha appresa Suida.

Ma forse tutte queste prove poco varrebbono, poiché probabilmente «dificatus» non è che una semiparola, e deve leggersi «edificatus» prendendo la e, dalla precedente semiparola «...eratore». Ella deciderà con un occhiata [sic], e scioglierà in un momento quei dubbj, che io non potrei porre in chiaro con un mese di studio. La lapide non mostra segno di contraffazione. Essa ci fu portata da un uomo di campagna, e il prezzo che questi ne richiese fece vedere che nè egli, nè alcun suo corrispondente l’avea contraffatta. E coperta di quel leggiero strato, o patina come sogliam dire, che caratterizza i monumenti antichi: e manda un odore disgustoso, il quale sembra mostrare che essa è stata dissotterrata.

Ella farà della copia di questa lapide quell’uso che più le piacerà.

Forse essa non avrà alcun pregio, e sarà solamente atta a fare inarcare le ciglia alle genti di provincia. In ogni caso io gli sarò sempre tenuto per avermi data occasione di trattenermi qualche momento colla sua persona benché di lontano. Io apprenderò da lei a giudicar delle cose, e in cambio di un insulsa [sic] iscrizione, riceverò dei solidi ammaestramenti, e delle utili istruzioni.

La prego dei miei distintissimi ossequj al Sig. Cav. Akerblad, di cui non conosco che il nome, la fama, e la bontà che ha usata verso di me. Ella può credere che non dimenticherò mai i sentimenti giustissimi che per lei ho concepiti, e che non in parole, ma in realtà sarò sempre

Di lei Stimatissimo Signore

Devmo Obblmo Servo
Giacomo Leopardi