Emanuel Licha Nothing Less Nothing More/Casa-corpo

casa-corpo

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[p. 5 modifica]Gabi Scardi
casa-corpo



Molte cose è casa; è riferimento primo dell’identificazione individuale e sociale, luogo fisico ma anche mentale, capace di comunicare il nostro vivere e il nostro inconscio; è spazio della sicurezza, delle relazioni più profonde, della condivisione più intima, dei momenti di solitudine e di affettività; simbolo primario della nostra immaginazione, la casa è contenitore assimilabile al corpo femminile: sta per matrice, per ventre materno. Casa è, con le parole di Olivier Marc in Psicoanalisi della casa, la più perfetta espressione del Sé.
La casa, intesa come luogo riservato e protettivo, è stata il soggetto di molte opere di Emanuel Licha. Canadese di nascita, francese di adozione ma appartenente a una famiglia di origini variegate, l’artista indaga, attraverso il tema dell’abitare, la relazione dell’uomo con la parte più profonda, più intima di sé, con le proprie radici, con le proprie origini culturali e biologiche.





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Blow up, progetto per Careof, aprile 2004.

L’aria compressa liberata nell’opera
spinge verso l’alto la tappezzeria.


[p. 8 modifica]Per Licha la casa è fatta di muri che separano ciò che è privato da quello che è pubblico, che ci consentono di distinguere l’interiorità dall’esteriorità preservando ciò che si nega all’estraneo per accordarlo solo a chi vogliamo far entrare nel nostro profondo. Il suo sguardo di artista, uno sguardo da voyeur, ha cercato per anni di penetrare pareti al fine di cogliere quella dimensione privata, quei segreti profondi che ognuno di noi desidera sottrarre all’esposizione.
Ma da alcuni anni le case che compaiono nel lavoro di Emanuel Licha hanno perso ogni aspetto deduttivo, ogni carattere di armonia; fatte ormai di materiali da costruzione riciclati, sono diventate oggetti paradossali, incapaci di accogliere.
Si tratta di case-trappole che si aprono all’improvviso lasciando il loro abitante esposto e indifeso per poi richiudersi ingabbiandolo; che respirano come ventri materni, ma così facendo il loro interno si estroverte e si rende inabitabile; o che esplodono verso l’alto a mo di stantuffo come ad espellere i propri inquilini. E’ questo il caso di Blow up, un’installazione consistente in una casa quadrata, una sorta di rifugio, fatta di materiali di recupero come lamiere metalliche, senza ingresso e senza tetto. Troppo spesso, dice l’artista, le guerre lasciano gli edifici in questo stato: i muri resistono, ma il tetto brucia e sprofonda all’interno.
La construzione di Licha è tappezzata all’interno di un materiale tessile che riprende motivi tipici delle tappezzerie da interno. Un meccanismo di insuffiaggio è nascosto sotto la costruzione e si attiva nel momento in cui uno spettatore entra nella sala facendo pulsare violentemente [p. 9 modifica]il tessuto e spingendolo verso l’alto. Se all’interno della casa fossero rimasti degli abitanti, dice Licha, in questo momento verrebbero irrimediabilmente espulsi. Si passa dunque da una situazione in cui la casa è abitabile e può ancora proteggere, a uno stato in cui è inabitabile, in cui si viene espulsi, consegnati agli agenti esterni.
Anche in Sans se retourner ciò che normalmente è destinato ad essere interno diventa esterno; Sans se retourner è infatti una serie fotografica tratta da un intervento dell’artista a Sarajevo: Licha fissa sull’esterno di una casa ferita e spaccata dalla guerra una tappezzeria a fiori delle più tradizionali, di quelle destinate normalmente a coprire e rendere accoglienti gli ambienti domestici più intimi e riservati. Creando una dimensione ambigua, un non più né dentro né fuori, l’artista sottolinea alcuni effetti della guerra, il sovvertimento del limite tra spazio pubblico e privato, l’aggressione dell’individuo, l’intrusione violenta nella dimensione privata, il sovvertimento di ogni aspetto della vita quotidiana, l’impossibilità di trovare riparo e protezione, di difendere una posizione personale.
“Costruire la propria casa significa creare un luogo di pace, di calma e di sicurezza a immagine del ventre materno, dove ci si può ritirare dal mondo e sentire battere il proprio cuore; significa creare un luogo dove non si rischia l’aggressione, un luogo di cui si sia l’anima. Oltrepassata la porta, assicuratisi che sia ben chiusa, è dentro di sé che si entra” scriveva Olivier Marc nell’opera già citata. Ma nel 2000 Emanuel Licha ha intrapreso il primo di una serie di viaggi nella Bosnia Erzegovina. In questa area sconvolta dall’etnonazionalismo, il paesaggio appariva e, a più di dieci anni dalla guerra, continua ad apparire, disseminato di spettri:

[p. 11 modifica]scheletri abbandonati di edifici sventrati, con i muri ripetutamente squarciati dai colpi delle granate e sfarinati da piogge di proiettili.

Qui, nella Bosnia Erzegovina, la guerra aveva lasciato poche porte da varcare, poche finestre da cui affacciarsi; divelte le porte, divelte le finestre, dei muri esterni delle abitazioni non restavano, in molti casi, che tragici frammenti; dall’esterno lo sguardo poteva penetrare tra pareti un tempo interne, ormai improtette ed esposte agli sguardi e agli agenti esterni. Corpo devastato e sconfitto, qui, nei Balcani la casa è diventata teatro e oggetto delle peggiori violenze. Se ancora oggi nelle città molto spesso gli appartamenti recuperati all’interno degli edifici si alternano a quelli da recuperare, e tutti sono accomunati dai muri esterni ancora crivellati di colpi, in molte aree di campagna che furono sconvolte e razziate non una casa resta in piedi.





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San se retourner, 2003-04. Ricoprimento delle case distrutte dalla guerra con l’affissione di tappezzeria sulle facciate. Gli abitanti sono stati cacciati e la loro intimità violata. La tappezzeria fissata all’esterno sottolinea l’effetto di rivoltamento.

Sans se retourner, 2003-04. Recouvrement par du papier peint de façades de maisons détruites en temps de guerre. Les habitants ont été chasseés, leur intimité mise à nu. Le papier peint tapissé à l’extérieur souligne l’effet de retournement.
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Qui la vita e la dignità umana sono state aggredite e, in molti casi, annientate. Gaston Bachelard afferma, nella sua Poetica dello spazio, che la casa protegge l’intimità di chi la abita consentendogli di “sognare in pace”; la casa è, per Bachelard, lo spazio della rêverie, delle immagini di chi ci vive, quasi l’estensione fisica della sua anima. Colpendo le case si sono colpiti a fondo coloro che le abitano; ma questo non è bastato. Al fine di azzerare ogni forma di identità, di memoria, di possibile continuità, nei Balcani ogni edificio, di qualunque tipo, è stato colpito con accanimento. Superare il limite di una possibile ricostruzione ed eliminare la possibilità di ritorno da parte degli abitanti significava, per gli aggressori, sradicare del tutto una cultura. Così, nell’intento di colpire il corpo sociale, la pulizia etnica ha preso anche la forma dell’urbicidio.

Le case di Licha sono disperatamente inagibili. In Inside out, del 2002 è di nuovo un loculo cubico fatto di [p. 13 modifica]


materiale riciclato il cui interno è foderato di tessuto da tappezzeria. Il tessuto non aderisce però ai muri, ma ne viene continuamente spinto fuori creando un prolungamento, come una protesi della casa, che raddoppia così il proprio volume ma diventa inaccessibile. '“L’interno vero e proprio di questa costruzione si trova tra le pareti della parte solida e quella della parte tessile e non è possibile accedervi. Quando si crede di essere all’interno si viene subito espulsi dalla membrana che si rivolta. Non si è mai all’interno di questa “casa”, si resta sempre al suo esterno” spiega Licha, sottolineando così come l’opera giunga a negare il senso stesso dell’architettura. Che queste estroflessioni e contrazioni alludano ad una corporeità connotata in senso sessuale è evidente: “è un’architettura che si penetra ed esce da se stessa, disabitata, inabitabile. Ciò nega il senso stesso dell’architettura e quindi dei suoi abitanti.” La casa appare appunto così, come una sorta di corpo più grande, ma deturpato, violato, svuotato, invivibile. [p. 14 modifica]Ancora più esplicito è il riferimento al corpo nel video dal titolo In & Out:

“Ho individuato a Sarajevo un edificio distrutto dalla guerra, probabilmente era stato una scuola elementare. Oggi è una rovina che viene utilizzata dagli adolescenti per riunirsi; i ragazzi più grandi la usano come campo di calcio. Ho collocato un tubo di velluto rosso in modo da bloccare un buco causato da una granata nel muro esterno. Entro nell’edificio attraverso questo buco dopo essere penetrato nel tubo.”

Informe come un ectoplasma, rossa come il sangue denso, questa sorta di organicissima membrana si muove attraverso il varco dai contorni imprecisi creato dall’aggressione della guerra. Vi entra, contraendosi ed allungandosi in movimenti convulsi, per subito riuscirne, rendendo sensibile l’impressione di un corpo che penetra un grembo squarciato, che ne esce come attraverso una lacerazione: la reiterazione di questa dolorosa esplorazione esprime sia il moltiplicarsi spaventoso di tragici orrori negli anni della guerra, sia il loro continuo ripresentarsi alla memoria. Il momento in cui la guerra ha inferto la propria ferita sull’edificio, sul corpo sociale rappresentato dalla scuola, si ripete ossessivamente, intermezzato da momenti di vuoto, di stasi, di buio minaccioso: l’effetto stroboscopico del video evoca la sensazione provata da chi, durante la guerra, ha vissuto i bombardamenti. Il carattere del luogo – una scuola, dunque un luogo di formazione e punto di riferimento fondamentale della comunità - è evocato da un sonoro di voci di adolescenti intenti al gioco. In assenza di figure umane, le voci sembrano però essere emesse dai muri stessi, quasi che il luogo stesso fosse animato da una memoria inalienabile, indistricabilmente legata ai muri


[p. 17 modifica]stessi. Del resto anche in Listening (in)to you, un’opera del 2002, voci e suoni evocanti una normale quotidianità fuoriuscivano, tramite tubi di plastica, da una casa in mattoni completamente sigillata. I muri sembravano trattenere all’interno una vita resa forse impossibile dalla guerra, e nell’immagine della casa sigillata da cui fuoriescono a sprazzi stralci di suoni Licha rende sensibile il sovrapporsi, nella nozione di casa, di luogo domestico e luogo interiore.





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Inside out, 2002, Nacionalni muzej Crne Gore, 4. Biennale di Cetinje. I custodi del museo, azionando un semplice meccanismo di cavi e pulegge, fanno entrare ed uscire la tappezzeria dalla costruzione.

Inside out, 2002, Nacionalni muzej Crne Gore, 4. Biennale de Cetinje. Les gardiens du musée actionnent un mécanisme de câbles et poulies qui font continuellement entrer et sortir le papier peint de la construction.