Elementi di economia pubblica/Parte seconda/Capitolo VI
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Cap. VI. — della coltura di altri generi di derrate.
67. Si è veduto, cred’io, ampiamente con quali principj debba regolarsi la coltivazione ed il commercio della derrata di prima necessità. Ve ne è un’altra, che quantunque non sia derrata d’alimento, lo è però di necessaria consumazione; questa è la legna. Sia per l’uso necessario ai bisogni continui della vita, sia per il servizio quasi universale che rende a tutte le arti e manifatture, sembra da considerarsi anch’essa come materia prima di un’arte particolare. Basta ciò per conoscere quanto sia importante l’abbondanza e la facilità del commercio della legna. Prima di esporre i principj con cui una tale economia debb’essere diretta, giova qui premettere alcune riflessioni. In primo luogo si rifletta esservi nessuna proporzione in questo caso tra il valore della materia prima ed il prezzo del trasporto. La legna dove vi siano terre montuose ed inabili ad altre più lucrose colture, suole essere abbondante e sul luogo medesimo vendersi a vilissimo prezzo; ma il lungo trasporto per strade difficili e scabrose, il difetto di canali, che come abbiamo veduto riducono sempre al quinto la spesa d’ogni trasporto, rendono preziosa una merce che naturalmente è a basso prezzo. Seconda riflessione si è, essere tale la varietà delle situazioni e la combinazione fisica delle qualità delle terre, in modo che non siavi territorio nel quale non si trovino molte terre che necessariamente vogliano essere coltivate a boschi a preferenza d’ogni altra coltura; ma appunto la difficoltà dei trasporti, rendendo inutile ai proprietarj una tale coltivazione, fa che trascurino, ovvero distruggano que’ boschi medesimi che le circostanze territoriali richiedevano. Terza riflessione si è, che quando si domanda il buon mercato della legna, non si vuole intendere il vil prezzo di quella, perchè vil prezzo e non coltura sono espressioni politicamente sinonime; ma si dimanda che la legna, l’uso della quale circola per tutte le classi e in tutte le occorrenze, consista: 1° nel valor naturale de’ boschi sul luogo medesimo della coltivazione; 2° in nissun valore intermedio, il quale è dannoso al compratore senza pro del venditore, pesa sopra le arti e non incoraggisce la produzione.
68. Con queste preliminari riflessioni egli è facile di vedere quali siano i principj direttivi della economia de’ boschi; e in primo luogo, noi cominceremo a fissare quelli che essendo dettati dalla ragione delle genti sotto gli auspicj della libertà, meritano la preferenza sopra di quelli che vengono suggeriti dal severo spirito di regolamento. Dunque primo oggetto che deve precedere le proibizioni di tagliare, i divieti d’estrazioni e tutto il resto delle austere prammatiche (sempre contrarie a quello spirito animatore della società, dal quale solo può più aspettarsi, che da tutto l’apparato farraginoso di leggi moltiplici e di regolamenti tortuosi), sarà quello di rendere facili i trasporti, di allargare e consolidare le strade, e di condurre per tutte le possibili direzioni canali navigabili, opere immortali che rendono i sovrani conquistatori della propria nazione; conquiste consacrate dai ringraziamenti e dalla prosperità delle generazioni, non cementate col sangue e coi lamenti delle desolate provincie. Bisogna dunque prima tentare quale effetto nasca dalla libertà avanti di intraprendere le rigorose precauzioni della schiavitù, rendere i boschi utili ai proprietarj, sopprimere tutti i valori intermedj, e allora si vedrà facilmente abbondare una derrata così necessaria e così vantaggiosa.
69. Ciò non ostante, nelle diverse e complicate situazioni delle provincie, secondo i varj rapporti dell’agricoltura col commercio, e le varie direzioni che danno alla coltivazione i regolamenti e le imposte, può accadere che non basti per conservare i boschi l’interesse del proprietario, massimamente se i trasporti siano difficili e difficilmente si possa togliere questa difficoltà: può accadere, dico, che dove i proprietarj non ricavino che uno scarso prodotto netto dalla stentata agricoltura delle proprie terre, ricorrano alla frequente risorsa di tagliare i proprj boschi inconsideratamente, per supplire con un capitale pronto alle continue spese d’un lusso che non è in proporzione della loro ricchezza attuale, ma delle pretensioni del loro rango e della emulazione e gara di ostentazione reciproca. Frattanto la distruzione dei boschi non è così facilmente riparabile, come la distruzione di molti altri generi di coltura. La lenta riproduzione, che non si fa che nel periodo di trenta o quarant’anni, è ben diversa dalla rapida riproduzione delle altre derrate. Dunque in questo tempo possono succedere gravissimi danni ed una considerabile mancanza di una materia prima tanto necessaria per la consumazione e per le arti tutte. Al che si aggiunge, che le altre materie prime possono essere supplite da quelle che sono prodotte ne’ territorj forastieri, di gran lunga più facilmente che non lo possa essere la legna per l’incomodo volume nel suo trasporto. Finalmente ella è massima della più sana politica di evitare di renderci dipendenti nelle cose di primaria necessità, per quanto sia possibile, dalle altre nazioni.
Dunque la conservazione de’ boschi può essere uno di quegli oggetti, che malgrado il sistema generale di un’assoluta libertà, può essere soggetto a qualche regolamento.
70. Mi si obbietterà di primo slancio: qual giustizia d’impedire a ciascheduno di trarre a suo arbitrio quel profitto ch’egli voglia dai proprj fondi? Un tale riclamo nasce dall’opinione dispotica che ciascuno ha delle cose proprie, nutrito dall’alta e profonda idea che della proprietà si è data dagli scrittori politici e giuristi. Si deve ciò non ostante considerare che la proprietà è figlia primogenita e non madre della società; che avanti l’unione più stretta e più intima degli uomini e delle famiglie eravi possedimento ma incerto o precario, uso delle cose ma non proprietà certa ed assicurata, uso di fatto e non di diritto, e che questo diritto e questa proprietà sono nati dalla difesa reciproca con cui gli uomini senza espressa convenzione, ma per tacita adesione di comuni circostanze e di comuni interessi, si sono garantite le attuali loro possessioni, ed accostumati a riguardarle come difese in favore di ciascuno da tutti contro ognuno. Da ciò si vede chiaramente essere la proprietà soggetta alle leggi, siano scritte, siano supposte dal bene universale e dalla salute comune, e che l’indipendenza del proprietario ed il rispetto che si deve alla proprietà sono soggetti a due condizioni. L’una è che tutti siano in eguaglianza di proprietà, vale a dire che non vi siano proprietà più o meno soggette alle leggi, e che perciò le leggi che limitano questa proprietà siano universali in favore di tutti contro di tutti; l’altra è che le dette leggi non rendano frustraneo e dannoso l’uso della proprietà medesima, che in vantaggio di ciascheduno è stata a ciascheduno assicurata. Dunque quando sieno tali condizioni osservate, le proprietà, come le azioni de’ cittadini, saranno soggette alle leggi universali ed ai regolamenti in pro del pubblico bene stabiliti.
71. Se pertanto è dimostrato il fatale inconveniente del libero taglio della legna, sarà pure dimostrato il diritto, la necessità, la convenienza della conservazione de’ boschi. Ma quali saranno i mezzi onde siano conservati, acciò non venga a mancare una sì necessaria derrata? Rispondo, che per conservare qualunque cosa di continuo deperimento e consumo, bisogna che tanto se ne consumi solamente, quanto se ne può sostituire. Dunque tanto taglio si può permettere quanto si riproduce; dunque l’annua riproduzione de’ boschi sarà la misura dell’annuo taglio. Ora se un bosco tagliato può essere riprodotto in trent’anni, l’annuo taglio non sarà che di un trentesimo di detto bosco. E siccome si lasciano per lo più i boschi in balía della spontanea natura, così questa limitazione di taglio produrrebbe un altro effetto salutare, cioè una più diligente coltura ed una più esatta distribuzione.
72. Perciò sarebbe primieramente necessaria una perfetta cognizione di tutti i boschi di uno Stato, e in secondo luogo che il taglio degli alberi dipendesse da una opportuna permissione, oppure, se fosse combinabile, che il bosco distrutto pagasse di più in proporzione della sua distruzione, e il bosco conservato pagasse tanto di meno in proporzione della sua conservazione; in maniera che l’utile del taglio cedesse al danno dell’aggravio, e la diminuzione di rendita nella conservazione cedesse all’utile del sollievo. Io preferirei un tale metodo, perchè più semplice e nato dalla natura medesima dell’oggetto che si ha di mira, ad ogni altro che lascia troppo presa al facile parziale arbitrio.
Queste sono le norme, appresso a poco, da seguirsi intorno alla conservazione de’ boschi esistenti, quando conservati bastino al bisogno della società. Ma quali saranno i provvedimenti dove fossero mancanti ed inferiori al bisogno? Quanta quantità se ne dovrebbe dunque supplire, e come incoraggire ed introdurre una coltura, di cui lontano è il frutto ed il premio al premuroso proprietario?
73. Rispondo col replicare essere i boschi da considerarsi, per ciò che riguarda la consumazione, come una derrata d’alimento, e quindi il bisogno della legna corrispondente al bisogno degli alimenti, cioè universale e ripartibile in tutti gl’individui. Siccome per ciascuno richiedesi una minore quantità, o per dir meglio un minore valore di legna che nel vero alimento, anzi un minore spazio di terreno contiene una più gran massa di materia, e l’uso di questa è proporzionale alla massa intiera senza apparato di coltura e con nessuna preparazione fuori del taglio e del trasporto; e siccome l’esigenza imperiosa del bisogno nell’uso di una tale derrata è più suscettibile di economia e di risparmio, meno soggetta alle vicende della carestia, senza il pericolo che l’estrazione di quella ne esaurisca ad un tratto la sorgente, così premesse tutte queste riflessioni, si troverà che in proporzione di queste differenze deve essere minore la quantità dei boschi, in paragone della quantità de’ terreni messi ad alimento. Se si fa adunque il rapporto dell’annuo alimento d’una famiglia, e che in conseguenza di questo trovisi a quanta quantità di terra corrisponda tale annuo alimento, se si faccia sulla medesima il rapporto della legna di cui abbisogna ciascuno per l’annuo consumo, e ridotti tutti questi calcoli ad adequato, si trovi a quanta minore estensione di terreno questa porzione di legna corrisponda, tali due quantità moltiplicate per il numero delle famiglie ci daranno la proporzione delle terre messe a biade e a pascolo colle terre messe a boschi. Ma il bisogno di molte arti e manifatture ne consuma una parte considerabile, oltre il bisogno domestico. Dunque, in proporzione del bisogno delle arti, converrà crescere la relazione tra i boschi e le altre terre. Pure se si consideri che l’alimento è di consumo distinto e proprio a ciascun individuo, ed il consumo della legna è comune a più individui insieme; se si consideri ancora che i boschi non sono totalmente colture esclusive, mentre molta quantità di legna può esser presa sulle colture inclusive, secondo la sovrespressa distinzione, e se si avrà riguardo al risparmio fatto col carbone, il quale dà un più lungo e più efficace consumo ed un men dispendioso trasporto, si troverà che l’alterazione, che il bisogno delle arti domanda nella proporzione surriferita, non sarà molto grande nè considerabile.
74. L’accrescimento de’ boschi dipenderà appresso a poco dai mezzi che abbiamo indicati. Sarebbe desiderabile il ritrovamento del carbone fossile, il quale produrrebbe l’abbondanza d’una consumazione necessaria, e nel medesimo tempo il risparmio delle terre che ad altre colture sarebbero impiegate, nutrici d’uomini e di arti. L’indolenza divide il suo impero coll’opinione presso il genere umano, ed è forse la negligenza e l’avversione delle cose nuove ed insolite, più che la difficoltà di ritrovarlo, che ci priva del carbon fossile, del quale non dubbie tracce appariscono ne’ nostri monti.
75. Un’altra coltivazione importante e che merita tutta l’attenzione delle leggi è quella dei gelsi, e per conseguenza de’ bachi da seta, coltura che dall’Indie felicissime al tardo Occidente trasportata, fu sul principio un oggetto di un deplorato lusso delle persone opulenti, rifiutata dall’austera filosofia che i rapporti presenti delle cose soltanto riguardo agl’individui considera, e che quantunque dalle antiche leggi romane avvilita e depressa, rese l’orgogliosa pompa degl’indolenti tributaria dell’industria e della fatica; coltura poi avidamente ampliata e promossa dall’Italia, la quale dopo avere estinto il genio truculento di conquista per l’impossibilità di tentarla, e compressa tutta all’intorno dalle risorgenti nazioni, rivolse l’inquieta attività verso le arti pacifiche ma non meno signoreggianti dell’armi, e se non con così pronto successo e con così dispotica influenza, almeno con maggiore e più placida e meno pericolosa sicurezza.
76. Una tale coltura ammette nel suo seno altre colture, e noi vediamo fra i lunghi filari de’ gelsi l’allegra vigna ed il sostenitore frumento crescere e riprodursi. Oltre di ciò in poco tempo non iscarso premio producono i bachi da seta all’attenzione del coltivatore, e quindi vediamo sorgere una folla di arti, che sfendono in mille fogge ed avviluppano il prezioso escremento di un così piccolo animaletto, e quindi spandersi anche nelle minute famiglie l’agio ed il comodo, e nuovi motivi di speranza e nuovi stimoli aggiungersi all’industria, che richiede per la varietà de’ talenti e delle circostanze moltiplici una varietà non minore di opportuni mezzi da impiegarsi.
77. Sotto il felicissimo nostro governo, alla voce rianimatrice di tanti sovrani provvedimenti, si è rinvigorita non poco una tale coltura in questo paese. Fissato il tributo alle terre sull’attuale loro stato di coltura, si è animata dal bisogno e dall’avidità la coltura de’ gelsi, che danno un accrescimento di rendita senza un accrescimento di tributo. Sortiva raccolta la seta dalle mani inoperose de’ nazionali per correre al di fuori ad essere travagliata da mani forastiere e nemiche, che ci rendevano tributarj dei nostri prodotti; l’ostacolo di una gabella ha fermato questa materia prima, che nelle parti tutte dello Stato si diffonde e si lavora da mani cittadine e sociali.
78. Ciò non ostante molti pregiudizj restano ancora da togliersi a’ particolari intorno ad una tale coltura, pregiudizj tanto più nocevoli, quanto che resistono alla voce prepotente dell’interesse.
Intorno alla coltura de’ gelsi, per esempio, alcuno che gli esempj dell’altre nazioni coi nostri paragonasse, e la natura della vegetazione considerasse, potrebbe sospettare che il contadino preferisse la più pronta e la più facile maniera di raccogliere le foglie del gelso, piuttosto che la più durevole e la più utile. Un taglio inesorabile vieta a questo albero di alzarsi all’aperto cielo e di crescere liberamente; per tal modo il vigor vegetabile si dirama più presto, ma nel medesimo tempo il tronco sostenitore s’infievolisce e si logora, e per conseguenza presto la pianta sen muore. Aggiungasi che l’inerzia sostiene un tal metodo, perchè rende più comodo al pigro e disanimato contadino lo sfogliamento degli alberi, dei quali prima l’uno e poi l’altro restano intieramente mutilati degli organi essenziali della vita vegetativa, quando, se si permettesse alla pianta di crescere in altezza, questa più lungamente vivrebbe, e potrebbe somministrare al baco alimenti sempre più teneri e più proporzionati alle diverse sue età. Ella è osservazione fatta sopra i vermi viventi su le piante, che essi dalle cime più lontane dalle radici le più tenere foglie rosicchiando, collo invecchiarsi discendono all’alimento più duro e più forte. Così l’osservazione attenta lungi ci guida dalle strade frequentate e fallaci dell’inconsiderata abitudine, per ricondurci alle vie magistrali e permanenti della natura: il sottrarsi nelle cose naturali ed umane dall’opinione comune fu quasi sempre utile a chi n’ebbe il coraggio. L’ostinarsi a rinchiudere ed a soffocare nell’inelastico vapore d’una stanza animali che la natura organizzò nell’aperto cielo e nell’aria ventilata e mutabile, per sottrarli dall’intemperie delle stagioni, è un sostituire a’ mali fortuiti le cagioni permanenti di molto maggiori malori. Stesi quelli ed annicchiati su d’uno strato di foglie semirose e marcite che fermentano, nutriti di foglie all’età loro disuguali, d’un succo troppo forte e denso nei primi giorni e troppo tenero negli ultimi, e sempre forse soverchio, li rende idropici e gonfi d’un umore che gli uccide o li vizia talmente, che apparentemente voluminosa fanno la crisalide, ma realmente povera di seta e pregna d’umori e di glutine. A rischio d’errore io ho voluto allegar tali esempj perchè la curiosità di alcuno, se non altro per confutarmi, lo muova a fare sperimenti e ricerche, le quali o me guariscano da un pregiudizio, o guidino lui alla diffidenza di ciò che si rispetta unicamente perchè da una fallace tradizione ci viene tramandato.
79. Altri prodotti debbono essere sommamente pregiati in ogni Stato, e principalmente in questo temperato e vario, che offre in ogni luogo diverse situazioni e docile prontezza all’attento coltivatore. Il lino ed il canape possono essere origini di lucrose manifatture ed anche risparmio di considerabili uscite di danaro: possono condurci ad essere per l’Italia, volendo, ciò che l’Olanda e la Slesia sono per l’Europa. Finalmente il vino rallegratore merita tutta la nostra attenzione, come origine d’un tributo considerabile per parte nostra a nazioni ora forastiere per noi. La vigna, il di cui frutto immaturo ancora si raccoglie per sottrarlo all’avida rapacità di chi lo fura, e a cui non si consacrano quasi mai terreni unicamente per la di lei coltura; la vigna, che di presente ci offre un così illustre esempio nella Toscana e nella Francia, alle di cui situazioni molte simili ne esistono nel vario nostro Stato; la vigna, che tanto considerabile consumo suppone, merita le ricerche del saggio ed accorto coltivatore, e l’attenzione di chi s’interessa o per dovere o per iscelta al pubblico bene. Non giova qui l’entrare in più minuto dettaglio di ciò che noi facciamo, di ciò che noi facciam male, di ciò che noi potremmo far meglio. Mille utilissimi vegetabili, come l’ulivo principalmente, poi il zafrano, il cotone, l’indico, l’acacia, ci offrono un’abbondantissima mèsse di osservazioni e di ricerche, onde avere la gloria di essere promotori di cose utili e la lusinghiera approvazione della patria, de’ concittadini e della posterità, ed anche di potere con ragione divenir superiori al disprezzo di quelli, che per imbecillità o per mal talento sorridono dispettosamente a tutte le cose nuove che escono fuori del ristretto circolo delle loro idee.