Elegie romane/III/La sera mistica
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LA SERA MISTICA
(SUL TEVERE, ALL’ALBERO BELLO)
Anima, non è questa la pia solitudine amica,
2l’alta cte noi cercammo riva letèa d’oblio?
Regna il Silenzio i luoghi. Nel vespro il Tevere splende:
4l’onda perenne ei reca de la sua pace al mare.
Guardano il padre fiume le querci immote, ch’ei nutre,
6spiriti ne la dura còrtice meditanti;
esseri paghi: bevono l’acqua con l’ime radici,
8godon raccorre i soffi tiepidi ne le chiome.
Dicono a me le querci: — Noi molti vedemmo dolori,
10truci dolori umani, piangere lungo il fiume.
Sorgere udimmo al cielo gridi ultimi di morituri.
12Ebri di morte, quelli chièsero ai gorghi oblìo.
Anima stanca, vieni. Benefica è l’ombra. Ne l’ombra
14è la saggezza. Vieni. Solo ne l’ombra è pace.
Vieni. A noi caro è l’uomo pensoso. Qui Claudio si piacque
16mescere ai grandi nostri pensieri i suoi. —
Dicon le querci. A specchio del fiume rosseggia, tra ’l bosco
18memore, la deserta casa del Lorenese.
Claudio, pittor sereno, voi forse udite? Anche forse
20abita il vostro dolce spirto la dolce casa?
Forse lo sguardo esplora ne l’umido ciel le fuggenti
22nubi che in su le tele nobilitò la mano?
O, testimone eterno, contempla il fiume che passa?
Tacito passa il fiume, tacito come il Lete.
Regna il silenzio. È questa la pia solitudine amica,
l’alta che noi cercammo riva letèa d’oblìo?
Suon di campane i vènti le recano, unica voce.
Questa da te le giunge unica voce, o Roma.
— Ave. La pace è in alto. Nel cuore de l’umile scende.
Anima triste, prega. Dà la preghiera oblìo. —
Alzan di lungi fiamma, come ardui cèrei, le torri.
— Ave — risponde il vinto umiliato cuore.