El libro dell'amore/Oratione VII/Capitolo II

Oratione VII - Capitolo II

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Che Socrate fu l’amante vero e fu simile a Cupidine.

Basti avere in fin qui decto dello amore; vegnamo hora a Socrate e Alcibiade. Da poi che e convitati avevano assai lodato lo idio degli amanti, restava a lodare quegli innamorati e quali questo loro idio legiptimamente seguono. Tutti gli scriptori s’accordano che tra tutti gl’innamorati non fu alcuno che più legiptimamente amassi che il nostro Socrate, costui, con ciò sia che per tutta sua vita manifestamente sanza alcuna ipocresia seguissi dietro al carro di Cupidine, nondimeno non fu mai infamato da alcuno che avessi meno che honestamente amato. Costui, perché era di severa vita e spesso riprendeva gli altrui vitii, era già caduto in disgratia di molti e potenti huomini, sì come suole colui che non tace el vero; tre potentissimi ciptadini per questo gli furono adversi sopra gli altri, Anito, Melito, Licone; oltr’a questi tre oratori, Traximaco, Polo e Callia; e tra’ poeti Aristophane comico acramente lo perseguitava. Nondimeno quegli potenti ciptadini, quando per levarsi dinanzi Socrate veridico lo condussono in iudicio, e con falsi testimoni l’accusarono, apponendogli alcuni difecti in tutto da lui remoti, niente parlorono che inhonestamente amassi, e gli oratori suoi nimici non gli rimproverorono mai tal vitio, neanche Aristophane comico di questo sparlò di Socrate, benché molte altre cose da ridere dica di lui nelle sue commedie. Hor credete voi che Socrate nostro avessi potuto schifare le velenose lingue di tali e tanti detractori, se fussi suto macchiato di tanto brutta macchia, anzi se e’ non fussi stato da ogni sospitione di tal vitio remotissimo? Ditemi, optimi viri, ponesti voi mente di sopra a quello che io ho molto considerato, che quando Platone dipinse Cupidine lo ritrasse apunto alla naturale imagine e vita di Socrate? Quasi voglia dire che il vero amore e Socrate intra sé sono molto simili, e per questo Socrate sopra gli altri sia vero e legiptimo amatore. Riducetevi bene nella mente quella pictura di Cupidine e vedrete in essa Socrate figurato. Ponetevi innanzi agli occhi la persona di Socrate, e vedretelo «magro, arido, squalido»: Socrate fu tale perché era per natura melancolico, magro pe ’l digiuno, e per negligenza male acconcio. Oltr’ad questo lo vedrete «nudo», cioè vestito d’uno semplice e vecchio mantelluccio; «co’ piedi nudi»: Phedro appresso di Platone testimonia che Socrate sempre co’ piedi nudi andava; «humile e volante basso»: l’aspecto di Socrate era sempre inverso la terra fisso, come dice Phedone conversava in luoghi vili come se nelle botteghe di certi scarpellatori o di Simon calzolaio; usava vocaboli rustici e grossolani, secondo che gli rimproverò Callicle nel Gorgia, era ancora tanto mansueto che, benche molte volte gli fussino decte parole molto ingiuriose, e alcuna volta sanza colpa verberato, nientedimeno nell’animo mai non si commosse. «Sanza casa»: essendo dimandato Socrate dond’e’ fussi, rispose: «Sono del mondo, quivi è la patria dove è el bene»; non aveva casa che sua fussi, non piuma in lecto, non delicato vivere, non masseritia pretiosa. «Dorme alle porte, nella via, a cielo sereno»: queste cose significano el pecto di Socrate aperto e cuore manifesto a ciascuno; ancora, che si dilectava del vedere e dell’udire, che sono le porte dell’animo; oltr’ad questo che Socrate andava sicuro e sanza paura per tutto, e quando bisognava si dormiva dove lo pigliava el sonno, nel mantelluccio suo involto. «Sempre povero»: chi è quello che non sappia che Socrate fu figliuolo d’uno scarpellatore e d’una che guardava le donne di parto? Etiandio Socrate in sua vecchiaia aveva di sua mano a guadagnare e·vivere scarpellando, e mai non ebbe tanto che nutricassi sé e sua famiglia; e in ogni luogo si vantava d’avere la mente povera: dimandava ognuno e diceva sé nulla sapere. «Virile»: Socrate era di constante animo e di sententia insuperabile, in modo che disprezzava le promesse de’ principi, rifiutava loro pecunia e più volte chiamato non volle a·lloro andare, e tra gli altri sprezzò Archelao Macedonio, Scopa Crannonio, Euriloco Larisseo. «Audace e feroce»: quanta fusse la fortezza di Socrate in facti d’arme copiosissimamente Alcibiade nel Convivio ne narra, e avendo Socrate auto victoria in Potidea el triompho suo volentieri ad Alcibiade concedette. «Vehemente»: era Socrate in parole e gesti molto efficace e prompto, secondo che Zopiro, maestro di giudicare phisonomia, aveva giudicato Socrate essere huomo adventato; spesse volte nel parlare acceso adventare le mani soleva e strapparsi e peli della barba. «Facundo»: Socrate nel disputare trovava argumenti assai equalmente al sì e al no della cosa proposta, e, benché usassi vocaboli rusticani, nondimeno più che Temistocle e Pericle e tutti gl’altri oratori gli animi degli audienti commoveva, secondo che di lui Alcibiade nel Convivio testimonia. «Pone agguati a’ belli e a’ buoni»: ben disse Alcibiade che Socrate sempre gli aveva posti aguati, l’uso di Socrate era questo, che lui era preso facilmente, quasi come da certi insidiatori, da quegli che onesta effige dimostravano, e lui come insidiatore scambievolmente pigliava e belli quasi come con rete, e alla philosophia gli conduceva. «Callido e sagace uccellatore»: che Socrate solesse uccellare dalla forma del corpo alla divina spetie, di sopra è decto assai, e nel Protagora Platone afferma. «Machinatore»: Socrate in molti modi, come mostrano e dialoghi di Platone, confutava e sophisti, confortava gli adoloscenti, amaestrava gli huomini modesti. «Studioso di prudentia»: Socrate fu di tanta providentia e nello antivedere tanto perspicace, che qualunque faceva contro a suo consiglio capitava male, sì come narra nel Theage Platone. «Per tutta sua vita va philosophando»: costui quando si difese nel conspecto degli iniqui giudici, che riprendevano la vita sua philosophica, arditamente disse a’ giudici: «Se voi mi volessi con questa conditione dalla morte liberare, che io non vada più philosofando, io vi dico che più tosto voglio morire che la philosophia lasciare». «Incantatore, abbagliatore, malioso, sophistico»: disse Alcibiade che le parole di Socrate lo commovevano e addolcivano più che le melodie di Marsia e Olimpo excellenti musici. E che Socrate avessi uno dimonio familiare gli amici suoi lo scrivono, e e nemici nella accusatione lo ricordorono, oltr’a questo, Aristophane comico e e nimici di Socrate chiamorono Socrate sophista perché aveva al confortare e allo sconfortare equale potentia. «In mezzo tra la sapientia e la ignorantia»: disse Socrate «Benché tutti gli huomini ignoranti sieno, nondimeno io sono dagli altri in questo differente, che io conosco la ignorantia mia e gli altri non conoscono la loro»; e così era in mezzo tra la sapientia e l’ignorantia, el quale benché le cose non sapesse nondimeno sapeva la ignorantia. Per tutte queste cose decte apparisce Socrate in tutto simile allo iddio Amore, e però amatore legiptimo, sì che meritamente Alcibiade, quando gli altri convitati ebbono lodato l’Amore, giudicò dovere essere lodato Socrate come vero cultore di questo iddio, acciò che noi intendiamo nel lodare Socrate similmente lodarsi tutti quegli che amano come Socrate.

Quali sieno le lode di Socrate qui l’avete udito e Alcibiade tractò copiosamente nel Convivio, e in che modo amava Socrate lo può conoscere qualunque della doctrina di Diotima si ricorda, perché egli in quel modo amava che di sopra insegnò Diotima.