El libro dell'amore/Oratione VI/Capitolo XII

Oratione VI - Capitolo XII

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Di due amori, e che l’anima nasce formata di verità.

Assai abbiamo parlato della diffinition d’amore; dichiariamo hora qual sia la sua distinctione, la quale appresso a Platone si fa per la fecondità dell’anima e del corpo. Le parole di Platone sono queste: «In tutti gli huomini è pregno el corpo e è pregno l’animo». Nel corpo sono da natura infusi e semi di tutte le cose corporali, di qui per ordinati trascorsi di tempo vengono fuori e denti, escono e peli, spandesi la barba, multiplica la sperma. Se il corpo è fecondo e gravido di semi, molto maggiormente l’animo, che è più nobile che il corpo, debbe esser abbondante e possedere da principio e semi di tutte le cose sue. Adunque da principio l’animo possedette le ragioni de’ costumi, arti e discipline, onde s’egli è bene cultivato mette fuori e fructi sua ne’ tempi debiti. E che l’animo abbia dentro ingenerate le ragioni di tutte le cose sue lo comprendiamo per lo suo appetito, inquisitione, inventione, giudicio, comparatione. Chi negherà l’animo subito dalla tenera età desiderare cose vere, buone, honeste, utili? Nessuno desidera le cose non conosciute, adunque nell’animo sono qualche note impresse di queste cose innanzi ch’e’ l’appetisca, per le quali, quasi come per forme exemplari di decte cose, giudica essere degne che s’appetischino. Questo medesimo si pruova per la inquisitione e inventione in questo modo: se Socrate cerca Alcibiade in una turba di huomini e abbilo qualche volta a ritrovare, è necessario che nella mente di Socrate sia qualche figura d’Alcibiade, acciò che sappia quale huomo innanzi agli altri cerchi, e poi possa nella turba di molti Alcibiade dagli altri discernere. Così l’animo non cercherebbe quelle quattro cose, cioè verità, bontà, honestà, utilità, e non le troverebbe mai, se non avessi in sé qualche nota per la quale cercassi queste cose, in modo da poterle trovare, acciò che quando si scontra in loro le riconosca e da’ contrarii loro le discerna bene. E non solamente manifestiamo questo per lo appetito, inquisitione e inventione, ma etiandio pe ’l giudicio: qualunque giudica alcuno amico ad sé o inimico, conosce quello che sia amicitia o inimicitia. In che modo adunque giudicheremo noi tutto el giorno rectamente, come sogliamo, molte cose vere o false, buone o male, se non fussi a noi la verità e la bontà in qualche modo innanzi conosciuta? In che modo molti rozzi nello edifitio, musica e pictura e in altre simili arte, e nella philosophia, approverebbono spesso e riproverebbono rectamente l’opere di decte facultà, se non fussi loro dato dalla natura qualche forma e ragione di decte cose? Oltr’ad questo, la comparatione questo medesimo ci mostra, perché qualunque comparando el mele co’l vino giudica l’uno essere più dolce che l’altro, conosce qual sia el sapore dolce. E colui che aguagliando Speusippo e Zenocrate a Platone stima Zenocrate essere a Platone più simile che Speusippo, sanza dubio conosce la figura di Platone. Similmente perché noi stimiamo rectamente di molte cose buone l’una essere migliore che l’altra, e perché secondo maggiore o minore participatione di bontà apparisce l’una cosa migliore che l’altra, è necessario che non siamo della bontà ignoranti. Oltr’ad questo, perché spesse volte optimamente giudichiamo tra le varie oppinioni de’ philosophi qual sia più verisimile e più probabile, bisogna che non ci manchi qualche chiarezza di verità, acciò che possiamo conoscere quali sieno le cose a·llei più simili. Per la qual cosa alcuni nella pueritia, alcuni sanza maestro, alcuni con pochi principii da altri presi sono divenuti doctissimi, e questo non potrebbe avvenire se la natura a questo non giovassi molto. Questo abbondantemente dimostrò Socrate a’ tre giovanetti Fedone, Teeteto e Mennone, e chiarì loro che e fanciugli possono, se sono prudentemente dimandati, in ciascune arti rectamente rispondere, con ciò sia cosa ch’e’ sieno dalla natura ornati delle ragioni di tutte l’arti e discipline.